"E venne un uomo..." Anno 2012-2013 Ciclo liturgico "C"

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Re: "E venne un uomo..." Anno 2012-2013 Ciclo liturgico "C"

Messaggioda Sandro » mer mag 29, 2013 7:17 pm

Domenica 2 Giugno 2013 - SANTISSIMO CORPO E SANGUE DI CRISTO - Solennità (Anno C)



Prima Lettura Gen 14,18-20
In quei giorni, Melchìsedek, re di Salem, offrì pane e vino: era sacerdote del Dio altissimo e benedisse Abram con queste parole:
«Sia benedetto Abram dal Dio altissimo,
creatore del cielo e della terra,
e benedetto sia il Dio altissimo,
che ti ha messo in mano i tuoi nemici».
E [Abramo] diede a lui la decima di tutto.

Melchisedek è stato visto da tempi immemorabili come prefigurativo del Messia (il geovismo direbbe che è un antìtipo) non solo perché era re e offrì pane e vino ma anche per il fatto che la Bibbia non accenna alla famiglia da cui discende. In dissimilitudine Gesù ha una famiglia umana ma, come Figlio di Dio, è anche trascendente, Sacerdote e re, di qui l'accostamento. Ma la grande differenza da Melchisedek è che Egli, sotto le apparenze di pane e vino, offre se stesso, la sua vita; e che tale offerta non è solo di lode-adorazione al Padre ma anche di redenzione-riscatto per l'umanità peccatrice.


Seconda Lettura 1 Cor 11,23-26
Fratelli, io ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso: il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: «Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me».
Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: «Questo calice è la Nuova Alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me».
Ogni volta infatti che mangiate questo pane e bevete al calice, voi annunciate la morte del Signore, finché egli venga.

Tutti sanno della inaccettabile manovra perpetrata dal CD dei TG ai danni di questo passo biblico e relativi paralleli (nei Sinottici) in cui Gesù istituisce la celebrazione Eucaristica (dai TG detta "Commemorazione della morte di Cristo").
Al di là del fatto che nel geovismo tale celebrazione viene fatta una volta l'anno, cercando di situarla nel giorno esatto in cui Gesù fece l'ultima cena (che sarebbe il 14 del mese di Nisan, corrispondente quasi sempre al nostro Giovedi Santo); al di là del fatto che il geovismo la considera un semplice ricordare mentre il "memoriale" è biblicamente anche un rivivere e attualizzare l'evento storico; il fatto grave nel geovismo sta nell'aver modificato il senso delle parole di Gesù, facendo violenza al testo che dice in tutti i casi sia in relazione al pane che al vino "questo è il mio corpo... sangue" e non "questo significa".
L'intento dichiarato è quello di voler dare ad intendere che Gesù parlava simbolicamente. E per questo il pane e il vino (chissà da dove hanno ricavato poi che deve essere rosso!) sono definiti nel geovismo "emblemi", vale a dire meri simboli; mentre nel cattolicesimo e ortodossia sono definiti "specie", cioè apparenze sotto le quali si cela il mistero della trasformazione sostanziale di quelle realtà fisiche in Corpo e Sangue di Cristo.
La comprensione "realistica" di tale presenza di Cristo sotto le sacre specie (gli emblemi geovisti non sono "sacri" perché non vengono consacrati da nessuna formula e perché nel geovismo non esiste sacerdozio ministeriale come nella cristianità) viene da noi ricavata dalla coerente comprensione e collegamento biblico di tre distinti momenti che attengono all'Eucaristia. Li ricordiamo rapidamente:
1) Dalla promessa di Gesù che avrebbe donato il pane della vita; spiegando che si sarebbe trattato del suo Corpo e del suo Sangue. Questo avvenne a Cafarnao (cf. Giovanni 6,48-58). E il senso realistico di quella presenza fu confermato dallo scandalo che ne ebbero i giudei e il grosso dei discepoli di Gesù che, dopo aver obiettato e aver ricevuto non una correzione sull'intendimento ma una conferma che avevano capito bene, si dissociarono da Gesù (tranne gli apostoli che, uniti al bellissimo e commovente attestato di fiducia espressa da Pietro al Maestro, gli credettero);
2) Dalla realizzazione di tale promessa. Che avvenne appunto nell'ultima Cena e che fu espressa con parole che indicavano realismo, anche perché inserite nel contesto della nuova Pasqua e Nuovo Patto che ricordava il sacrificio non simbolico dell'Agnello. E, fatto degno di nota, l'evento fu riportato da tutti e tre i sinottici e quasi con le stesse parole, a conferma della sua importanza;
3) Dal fatto che, dopo la morte di Gesù, si cominciò a celebrare la Cena (e non una volta l'anno!) nella quale si aveva la coscienza di mangiare il Corpo e bere il Sangue di Cristo, cioè del Santo Redentore, e pertanto si doveva essere puri altrimenti si mangiava e beveva la propria condanna rendendosi rei della sua profanazione. Questo dice infatti il testo di questa lettura nel suo immediato prosieguo (cf. vv. 27-29).
E va notato che questo testo ha una triplice valenza, rispetto agli altri perché: a): è fonte di rivelazione essendo scrittura ispirata; b) è testimonianza-conferma, pure ispirata e perciò infallibile, di come il senso della celebrazione della Cena era stata intesa dalla Chiesa nascente; c) è un testimonio della iniziale Tradizione Apostolica (tradizione=trasmissione) che si era formata con la predicazione (la Lettera ai Corinti è dell'anno 55); il che legittima e dà autorevolezza alla Tradizione come strumento di ttrasmissione e comprensione del pensiero di Gesù.



Vangelo Lc 9,11b-17
In quel tempo, Gesù prese a parlare alle folle del regno di Dio e a guarire quanti avevano bisogno di cure.
Il giorno cominciava a declinare e i Dodici gli si avvicinarono dicendo: «Congeda la folla perché vada nei villaggi e nelle campagne dei dintorni, per alloggiare e trovare cibo: qui siamo in una zona deserta».
Gesù disse loro: «Voi stessi date loro da mangiare». Ma essi risposero: «Non abbiamo che cinque pani e due pesci, a meno che non andiamo noi a comprare viveri per tutta questa gente». C’erano infatti circa cinquemila uomini.
Egli disse ai suoi discepoli: «Fateli sedere a gruppi di cinquanta circa». Fecero così e li fecero sedere tutti quanti.
Egli prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò su di essi la benedizione, li spezzò e li dava ai discepoli perché li distribuissero alla folla.
Tutti mangiarono a sazietà e furono portati via i pezzi loro avanzati: dodici ceste.

Gesù, ovviamente, non consacrò quei pani e pesci trasformandoli nel suo Corpo. La celebrazione eucaristica non era ancora stata istituita. Quindi il brano è accostato a quello della seconda lettura solo perché la moltiplicazione dei pani e dei pesci fu un simbolo e una profezia di tale celebrazione. Ecco alcuni paralleli-simbologie che permettono l'accostamento tra i due eventi:
- il miracolo della moltiplicazione, avvenuto nel deserto, indica che Gesù non cessa di salvare dalla morte nutrendo i suoi fedeli, e lo fa mentre loro sono nel "deserto" (deserto del mondo senza speranza, ove si sperimenta solitudine, aridità, vuoto, asprezza e incertezza del tragitto);
- tale nutrimento Gesù lo realizza donando il suo Corpo e il suo Sangue (quindi non meri "emblemi" come nel geovismo) per chiunque lo voglia (quindi viene bocciato il favoritismo geovista che riserva gli "emblemi" ai soli rimanenti dei 144.000);
- lo fa soprattutto a favore dei suoi seguaci, cioè di chi è in cammino verso la terra promessa del cielo, affinché non si scoraggi, non ceda alla tentazione di farsi un... vitello d'oro, sostitutivo idolatrico del Dio vivente.
- in pratica, come ad Elia esausto l'angelo disse: "Alzati e mangia perché hai una cammino ancora lungo da percorrere" così la Chiesa, ricalcando la Bibbia, dice a noi: "Mangiate! Chi mangia di questo pane giunge al monte di Dio, ha la vita eterna e il Signore lo risusciterà nell'ultimo giorno".

La Chiesa, come è noto, è cresciuta attorno alla celebrazione eucaristica. Essa è convinta di ricavare dal Corpo e Sangue del Signore tutta la sua energia/forza/ragion d'essere e, insieme, tutta la sua efficacia di opera apostolica evangelizzante e santificante. Quell'opera che tende a rendere l'uomo capace di offrire eucaristicamente se stesso, insieme al Figlio di Dio; nel che si raggiunge la vetta più alta che l'uomo possa ambire nella sua situazione di creatura sulla terra: l'adorazione perfetta di Dio.
Il Vaticano II ha detto lapidariamente che l'Eucaristia è per la Chiesa "il culmine della sua azione e la fonte da cui promana tutta la sua efficacia" (cf in nota). Dal che si capisce l'immensità del danno che i TG – figli e vittime di un pensiero maturato dalla Riforma protestante - fanno a se stessi privandosi di questa forma assolutamente superiore di "comunione" con Dio stesso. Chiunque, cattolico, è stato presente alla "Commemorazione della morte di Cristo", celebrata nelle Sale del Regno, ha potuto vedere la sterilità del gesto di ogni TG, a cui viene presentato il vassoio con gli emblemi (ma che non può "assumere" se non si ritiene Unto, di passare il vassoio con gli emblemi del pane e del vino al proprio vicino, con indifferenza e quasi il timore di toccarli. Tra i TG cioè non esiste neanche l'assunzione dei simboli che c'è nella Cena dei fratelli separati. Tutta la celebrazione si riduce a un ricordo dell'evento dell'Ultima cena, qualche esortazione, e qualche canto. Gli unici deputati a poter "assumere gli emblemi" sarebbero i circa 10.000 Unti rimanenti sulla terra (ma ormai è un numero che va preso con le molle perché variabile) ed è chiaro che, essendo essi sparsi per tutto il globo, è fortunato chi riesce a incontrarne uno...
E concludo rimandando volentieri alle assai più significative parole che il Vaticano II dice della Celebrazione liturgica, di cui quella eucaristica è la più significativa.*
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* "La sacra liturgia non esaurisce tutta l'azione della Chiesa" - che comprende la predicazione, la purificazione dai peccati, la costruzione in santità dei figli di Dio con la preghiera e l'esercizio delle opere di pietà - "Nondimeno la liturgia è il culmine verso cui tende l'azione della Chiesa e, al tempo stesso, la fonte da cui promana tutta la sua energia". (Sacrosanctum Concilium, n. 10) E questo semplicemente perché in essa è la potenza stessa del Cristo risorto e vivente che agisce.
"Cristo è sempre presente nella sua Chiesa, e in modo speciale nelle azioni liturgiche. E' presente nel sacrificio della messa, sia nella persona del ministro, essendo egli stesso che, «offrendosi una volta sulla croce, offre ancora se stesso tramite il ministero dei sacerdoti», sia soprattutto sotto le specie eucaristiche. E' presente con la sua virtù nei sacramenti, al punto che quando uno battezza è Cristo stesso che battezza. E' presente nella sua parola, giacché è lui che parla quando nella Chiesa si legge la sacra Scrittura. E' presente infine quando la Chiesa prega e loda, lui che ha promesso: «Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, là sono io, in mezzo a loro». (Mt 18,20)". (ivi, n. 9 – ma è da leggere tutto da 6 a 11).



SPUNTI DI APPROFONDIMENTO RELATIVI A DOMANDE CHE I TG POTREBBERO FARE CIRCA LA NOSTRA FEDE NELLA PRESENZA REALE DI CRISTO NELL'EUCARISTIA
Prima di elencarli bisogna far capire ai nostri interlocutori che la Chiesa, è convinta che la filosofia da noi utilizzata non è una rivale che gioca a confondere le idee divine o a falsificarle, ma è una utile serva della teologia (ancilla theologiae) perché serve a farle capire meglio il senso della rivelazione; e questo lo si può fare con opportuni esempi che mostrano come anche la WT, pur negando a parole di fare teologia e pur demonizzando a parole l'uso della filosofia, di fatto, quando "spiega" la Parola di Dio non fa che esporre la propria teologia sul pensiero divino e lo fa utilizzando sia termini filosofici che la logica, che è appunto un ramo della filosofia.
La teologia quindi non è altro che la riflessione umana sui dati di fede, sul contenuto della rivelazione, guidata da logica e analogia (che è pure un criterio suggerito dalla logica!). E logica vuole che, laddove nella rivelazione non vi siano disposizioni tassative date da Dio su cosa si debba credere e fare (il che è oggetto di ciò che noi chiamiamo "diritto divino", intoccabile, irreformabile), si deve supporre che Gesù (l'ultimo perfetto rivelatore di Dio) lasci alla sua Chiesa la libertà di indicare a modo suo ciò che si debba credere e fare (il che forma l'oggetto di ciò che chiamiamo "diritto ecclesiastico", emanato e abrogato in base a un criterio di opportunità pastorale che può variare nei tempi e nei luoghi).
Tanto per esemplificare, nel rito della Messa noi riteniamo di diritto divino sia l'obbligo della sua celebrazione, sia che si faccia con pane e vino, e che vi sia la consacrazione delle specie e la manducazione-comunione ecc... mentre riteniamo che rientri nel diritto ecclesiastico stabilire la frequenza della celebrazione, il contornare quella essenzialità usando altare, candele, fiori, preghiere varie, predica, canti, musica, processione, gestualità del celebrante e dei fedeli, divisione della celebrazione in parti ecc...
Similmente crediamo che sia di diritto divino che la Chiesa abbia un Vicario di Gesù nella persona del successore di Pietro (il Papa) e che questi sia da ritenere capo visibile di tutta la Chiesa, mentre, non avendo Gesù dato disposizioni al riguardo, riteniamo che sia libertà di diritto ecclesiastico la forma che la Chiesa sceglie nei secoli per la modalità di elezione del Papa. Anche in questo caso non è difficile far notare al TG che presso di loro esiste una struttura analoga. Il CD dei TG, fa infatti da "papa" collegiale ed è ritenuto di diritto divino che esso ci sia; esso è creduto il successore dello "Schiavo fedele e discreto" del primo secolo. Mentre rientra nel loro diritto "congregazionale" il numero dei componenti che lo formano e la modalità con cui i membri vengono eletti; cose che appunto hanno variato nella storia.

Ora, credendo alla capacità di discernimento fornita dallo Spirito Santo e all'ufficio giuridico e pastorale affidato da Gesù alla sua Chiesa (cosa che di pari passo crede il CD per la Congregazione dei TG che dice guidata "teocraticamente" dalla "forza attiva di Geova" o "spirito santo"!) noi riteniamo che quando una riflessione teologica sul dato rivelato porta a una formulazione di intellegibilità di esso e/o a una sua spiegazione che la Chiesa ritiene non contraddicente l'idea che essa si è fatta della verità da Dio comunicata tramite quel mistero rivelato, allora tale formulazione e tale spiegazione teologica rientrano nel contenuto di fede da credere in relazione a quel mistero. Così il dire che "nel pane e vino consacrati vi è la presenza reale e totale di Cristo vivo", è la formulazione del mistero creduto; mentre le spiegazioni relative al come si realizzi tale presenza (fino al limite in cui esse sono possibili!) rientra nella spiegazione teologica di esso. Ed è a questo livello del come che si situano le domande e le spiegazioni che seguiranno. Sono domande che richiedono di utilizzare la nostra filosofia e teologia, e sono suscitate dalla creduta presenza reale di Gesù sotto le sembianze del pane e del vino consacrate, cioè nell'Eucaristia.
Va infine ricordato che il termine "Eucaristia" ha un doppio significato: quello di celebrazione della Messa (e significa "azione di grazie"), e quello di specie eucaristiche quali sono il pane e vino consacrati durante quella celebrazione. Per associazione di idee si chiama Eucaristia anche il solo pane, in forma di ostie, che si conservano e vengono consumate dopo la celebrazione (in momenti successivi, portate ai malati ecc...). Le domande e risposte sono relative dunque a questa seconda accezione:

D- Come fa il Cristo ad essere presente totalmente in ogni singola ostia e perfino nei frammenti di essa?
R- Perché la sua presenza si realizza secondo la modalità della sostanza (ad modum substantiae), la quale è indipendente dal fattore quantità. E' sostanza di pane sia l'intera pagnotta che un boccone di essa. La sostanza è la realtà che sub-stat (sta sotto, oltre) le qualità sensibili (dette "specie" dal latino che significa "apparenze") che sono variabili, contingenti, accidentali. Perciò la conversione della sostanza del pane in quella di Corpo di Cristo è definita "transustanziazione".

D- Perché Gesù sarebbe presente anche oltre la celebrazione eucaristica?
R- Per lo stesso motivo di cui sopra. La sostanza di pane – e pertanto anche quella del corpo di Cristo che la sostituisce - rimane fin quando esso non viene trasformato in altra sostanza, smembrato e diluito in ciò che non è più pane. In pratica dunque la presenza eucaristica di Cristo segue la trasformazione delle "specie", rimane vioè finché le "specie" perdurano nell'essere apparenze di pane. Di qui l'usanza (antichissima) di portare l'Eucaristia ai malati con la fede di portare loro il Corpo di Cristo; di qui l'usanza della adorazione Eucaristica fuori della Messa, del recare Gesù eucaristico in processione, e (cosa che lodevolmente alcuni ancora fanno) del trattenersi in adorazione qualche tempo oltre la Messa fin quando lo stomaco non abbia assimilato, trasformandole, le specie del pane ecc...

D- Perché si usano delle ostie anziché il pane normalmente inteso?
R- Perché, essenzializzando il concetto di pane, si è d'accordo nel considerarlo un impasto cotto di acqua e farina. Le ostie rispondono alla esigenza di questa essenzialità. Il fatto che poi il loro uso sia anche più pratico e igienico rientra in una valutazione di ovvietà logica ma non è il fattore che ne ha determinato l'uso.

D- Perché ci si ritiene comunicati al Corpo e Sangue di Cristo anche assumendo una sola delle due specie? Non si disobbedisce così a una chiara disposizione biblica?
R- No, perché il concetto comunicato da Gesù è stato quello della sua presenza di persona viva. Quindi "corpo e sangue" sono un modo per indicare il tutto di Lui (che comprende infatti anche "anima e divinità" come diciamo nel catechismo). Gesù non poteva voler dire che il suo Corpo era senza sangue (come, sit venia verbi, disseccato o liofilizzato). Non esiste da nessuna parte un corpo umano vivo senza sangue né un sangue vivo che non circoli in un corpo. La teologia ha chiamato questa correlazione obbligata tra corpo e sangue "principio della compresenza reale". Perciò la Chiesa ritiene che si assuma Cristo (nella comunione) anche solo con una specie. (Commovente la testimonianza del defunto Card. Van Thuan che, in prigione, celebrava a volte la Messa con una sola goccia di vino tenuta nel palmo della mano!)

Abbiamo già detto che questo modo filosofico-teologico di "spiegare" per quanto è possibile la presenza di Cristo vivo risorto, sotto le specie del pane e del vino consacrate, facendo riferimento ad una presenza "sostanziale" è stata definita dalla Chiesa "transustanziazione". Certa teologia moderna ha tentato tempo fa di liberarsi da tale concezione parlando di "transignificazione" e di "transfinalizzazione" per sottolineare che quello che nella normalità è nutrimento del corpo, viene con la consacrazione transignificato e transfinalizzato a nutrimento dell'anima. Ma in tal caso si cade nel mero simbolismo. C'è stata un'enciclica di Paolo VI (la Mysterium Fidei, di cui ovviamente si consiglia la attenta lettura a tutti) che ha precisato che solo basandosi su questa verità (che è dogma di fede) della transustanziazione – fenomeno che attiene alla ontologia, alla realtà oggettiva delle cose - si può assegnare al pane eucaristico la funzione di significare e di essere finalizzato a nutrimento spirituale; concetti questi che, senza quella realtà diversa che Cristo realizza, rimarrebbero nella sfera dei concetti pensati, del mero simbolismo.
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Re: "E venne un uomo..." Anno 2012-2013 Ciclo liturgico "C"

Messaggioda Sandro » sab giu 08, 2013 10:16 am

Domenica 9 Giugno 2013 - X DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (Anno C)



Prima Lettura 1Re 17,17-24
In quei giorni, il figlio della padrona di casa [la vedova di Sarepta di Sidòne] si ammalò. La sua malattia si aggravò tanto che egli cessò di respirare. Allora lei disse a Elìa: «Che cosa c’è tra me e te, o uomo di Dio? Sei venuto da me per rinnovare il ricordo della mia colpa e per far morire mio figlio?».
Elìa le disse: «Dammi tuo figlio». Glielo prese dal seno, lo portò nella stanza superiore, dove abitava, e lo stese sul letto. Quindi invocò il Signore: «Signore, mio Dio, vuoi fare del male anche a questa vedova che mi ospita, tanto da farle morire il figlio?». Si distese tre volte sul bambino e invocò il Signore: «Signore, mio Dio, la vita di questo bambino torni nel suo corpo».
Il Signore ascoltò la voce di Elìa; la vita del bambino tornò nel suo corpo e quegli riprese a vivere. Elìa prese il bambino, lo portò giù nella casa dalla stanza superiore e lo consegnò alla madre. Elìa disse: «Guarda! Tuo figlio vive». La donna disse a Elìa: «Ora so veramente che tu sei uomo di Dio e che la parola del Signore nella tua bocca è verità».

"La vita": la versione CEI precedente diceva "l'anima" e lo stesso troviamo nella NM (che però scrive anima indifferentemente, e confusionariamente, ogni volta che incontra il vocabolo nèphesh nell'A.T. e psyché nel N.T.). Questa versione CEI del 2008, obbedendo al criterio di scegliere il significato più appropriato in base al contesto, contesto che esclude che nel pensiero di Elia esistesse la distinzione anima-corpo propria della cultura moderna, migliora le cose scegliendo "vita". Una nota "esegetica" posta a margine ne "La Bibbia via verità e vita" (ed San Paolo) dice testualmente: "Il profeta chiede che nel corpo torni la vita e non l'anima, come si legge nella versione precedente (la [Nova] Vulgata ha «anima»)."
Si noti: il fatto che la versione della Nova Vulgata , come già quella della Vulgata Clementina, abbia "anima" in questo punto, non costitusce un errore traduttivo. In latino anima ha pressoché la stessa polivalenza di significati che ha l'ebraico nèphesh e il greco psyché, perciò "anima", in latino, rende correttamente in questo punto il significato italiano di "vita".

Ma approfittiamo di questo testo per cogliere uno dei moltissimi esempi con cui la Bibbia ci indica il collegamento stretto della Fede con la Ragione, collegamento che Dio mostra di volere e che è ineludibile se si vuole che la fede sia una atto umano. Per "ragione" si intendono ovviamente i segni, gli eventi, le prove tangibili con cui Dio dimostra, con interventi che non possono essere ritenuti naturali, la Sua presenza, e in base al quale accertamento Egli esige che ragionevolmente ci si apra alla fede nella sua rivelazione che Egli collega a quegli eventi.*
Quei "segni" (portenti, meraviglie, prove o miracoli che dir si voglia) sono fatti che si pongono davanti alla ragione e che, analizzati con logica umana, permettono di escludere che certi effetti si possano spiegare altrimenti che con la presenza onnipotente di Dio. Nel caso di questa Lettura, la vedova di Sarepta ebbe come "segno" della presenza di Dio la guarigione istantanea del figlio morto (o forse in fin di vita), ottenuta da una persona che non ha usato fibrillatori o strumenti di rianimazione, che non era neanche medico, ma che utilizzò solo la preghiera di richiesta a Dio per un Suo intervento miracoloso. E la "fede" è rappresentata dalla adesione della donna a credere che, pertanto, Elia era un autentico profeta di Dio e che ciò che diceva in suo nome era verità.**
Il discorso vale, come sappiamo, di pari passo anche per il N.T., ove S. Pietro, per eccitare la risposta di fede al messaggio cristiano, ricordò ai Giudei che Gesù era stato "accreditato" da Dio stesso presso di loro con segni, miracoli e portenti (cf. Atti 2,22 ).*** Dio ha cioè presentato alla ragione di chi assisteva ai miracoli di Gesù, e successivamente verificava anche il realizzarsi delle profezie pronunciate da lui, le credenziali della sua identità divina!
In questo meccanismo logico non esiste discrepanza tra cattolicesimo e geovismo. Anche i TG basano la loro fede sui miracoli e profezie come la nostra Chiesa da sempre. L'idea stranissima che la fede sia indipendente dai miracoli è sorta nel protestantesimo dei tempi moderni. Ma, riducendola ad un puro abbandono fiduciale, con esclusione di ogni ragione certificante e fondante, abbiamo: 1) Che tutte le fedi si equivalgono. Il che non è possibile, giacché molte danno per vero cose che altre fedi escludono; 2) Che si cade in un relativismo ove i contenuti della fede si riducono a pie speranze, a proiezioni-miraggi dei desideri umani; 3) la fiducia che viene data, alla fonte che la chiede, si trasforma in fideismo; 4) Il fideismo, escludendo ogni possibilità di ragionamento critico sulla propria fede, si deve poggiare sul volontarismo così che si resta esposti a credere cose credibili ma anche ad autentiche assurdità.
Tutto il lavoro del GRIS, con tanto di ricerca e informazione, è volto proprio a mostrare, a dare le prove documentarie e logiche, della inconsistenza, della irragionevolezza, della mancanza di ragionamento critico che ne certifichi la credibilità, in "fedi" che non meritano di essere credute. Noi non possiamo dire a chi aderisce ad un MRA "Vieni e vedi", cioè offrirgli come "prova" della verità della nostra fede cattolica una base esperienziale, emotiva (che sarebbe soggetta al rischio di una concorrenza che in certi casi sa reclamizzare meglio). Dobbiamo presentargli delle "ragioni" fondanti. Mostrare ad es, ai TG ignari, che la loro Bibbia non è autentica, perché contraffatta nella traduzione e nella interpretazione; che la loro Congregazione non risale ai tempi di Gesù, contraddicendo così una precisa promessa fatta da Lui circa le "porte dell'inferno..." e lo "io sarò con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo"; che il valore della Bibbia come libro ispirato dipende dal giudizio espresso su di lei dalla Chiesa Cattolica che ne ha fissato il Canone, e che questo è avvenuto sulla base di una verità predicata da secoli e trovata presente in certi scritti ad esclusione di altri; il che fa dipendere il valore della Bibbia dalla Tradizione Apostolica che pertanto risulta essere la fonte sia della tradizione scritta che di quella orale; che Pietro è stato veramente a Roma ecc... (un eccetera che comprende tanti altri fattori di accertamento e credenzialità!). Questi sono tutti motivi fondanti per la fede cattolica e fanno da base critica per valutare la pretesa di fedi che si pongono in alternativa ad essa. Si tratta di cose per le quali è la ragione a dover esercitare il suo ruolo di accertamento "bereano".
Non sarà fuori luogo ricordare al TG che tale lavorio della ragione è accolto anche dal loro CD che invita alla logica (che poi la adoperi è un altro paio di maniche!) con il loro manuale intitolato proprio "Ragioniamo..." e che loda e approva il lavoro scientifico realizzato nel "testo critico" da Westcott e Hort, testo base della sua KIT.
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* "A Dio che rivela è dovuta «l'obbedienza della fede» (Rm 16,26; cfr. Rm 1,5; 2 Cor 10,5-6)" (Vaticano II, Dei Verbum n.5). Se non esiste previo accertamento che sia Dio a rivelarsi, la fede sarà solo fede nell'uomo e non Fede divina. Spesso la Fede dei credenti è appoggiata ad accertamento fatto da altri di cui ci si fida; il che, qualora il soggetto sia impossibilitato ad accertamento personale, è pienamente scusante davanti a Dio che giudica in base alla "buona fede" o "retta coscienza".

** "Miracula sunt signa certissima revelationis" (Paolo VI); "... anche se non credete a me, credete alle opere, perché sappiate e conosciate che..." (Giovanni 10,38); "24 Se non avessi fatto fra loro le opere che nessun altro ha fatto, non avrebbero nessun peccato; ma ora hanno visto e hanno anche odiato sia me che il Padre mio. 25 Ma è perché si adempia la parola scritta nella loro Legge: ‘Mi hanno odiato senza ragione’. (Giovanni 15, 24-25 - NM) Sembra che Gesù voglia proprio dire che coloro che non sanno dire a se stessi "se tanto mi dà tanto..." siano persone "senza ragione". E sembra che il Padre la pensi proprio come il Figlio se disse: "Non indurite il cuore come a Meriba, come nel giorno di Massa nel deserto, dove mi tentarono i vostri padri: mi misero alla prova pur avendo visto le mie opere". (Salmo 95,8-9) Le opere compiute dal Signore dovevano fondare una fede in Lui e non dei dubbi che autorizzassero a metterlo alla prova!

***Oltre a tutti i "segni" reperibili nei Vangeli, abbiamo la promessa di Gesù che avrebbe operato miracoli per accreditare il messaggio dei suoi evangelizzatori (cf. Marco 16,17-18) e che troviamo puntualmente confermati nelle vicende storiche narrate da Atti.



Seconda Lettura Gal 1,11-19
Vi dichiaro, fratelli, che il Vangelo da me annunciato non segue un modello umano; infatti io non l’ho ricevuto né l’ho imparato da uomini, ma per rivelazione di Gesù Cristo.
Voi avete certamente sentito parlare della mia condotta di un tempo nel giudaismo: perseguitavo ferocemente la Chiesa di Dio e la devastavo, superando nel giudaismo la maggior parte dei miei coetanei e connazionali, accanito com’ero nel sostenere le tradizioni dei padri.
Ma quando Dio, che mi scelse fin dal seno di mia madre e mi chiamò con la sua grazia, si compiacque di rivelare in me il Figlio suo perché lo annunciassi in mezzo alle genti, subito, senza chiedere consiglio a nessuno, senza andare a Gerusalemme da coloro che erano apostoli prima di me, mi recai in Arabia e poi ritornai a Damasco.
In seguito, tre anni dopo, salii a Gerusalemme per andare a conoscere Cefa e rimasi presso di lui quindici giorni; degli apostoli non vidi nessun altro, se non Giacomo, il fratello del Signore.

Questo accenno di Paolo che, appena ricevuto il messaggio divino, non si è recato dagli Apostoli ma è partito subito dandosi alla evangelizzazione , non può essere utilizzato da persone sedicenti veggenti o gratificate da messaggi interiori affinché partano in quarta a fare apostolato bypassando la gerarchia che lo stesso Gesù ha costituito nella sua Chiesa. Infatti S. Paolo, disse anche che passò a Gerusalemme da coloro che erano le colonne della Chiesa per verificare se il Vangelo da lui ricevuto fosse identitco a quello predicato dagli Apostoli. (cf. Galati 2,1-9) Il suo atteggiamento iniziale quindi indica non il diritto di... suonarsela e cantarsela da solo, ma soltanto lo zelo di risposta all'invito che il Signore collega con la conversione a Sé. Nessuno infatti riceve la grazia solo per se stesso. Ogni dono dato ai singoli, dirà S. Paolo nella 1 Corinti 12, è dato da Dio per l'utilità comune del Corpo. Amore con amor si paga. Ecco quindi che l'Apostolo, convertito dalla sua verità giudaica alla verità cristiana, si comporta subito da cristiano, e con tanta maggiore dedizione quanto maggiore di quella del giudaismo è la gioia che il Vangelo promette a coloro che amano Dio e ne diffondono la conoscenza e l'amore nel mondo.

L'accenno a "Giacomo, il fratello del Signore" lo rimandiamo allo studio presentato da Mons. LORENZO MINUTI nel suo "I Testimoni di Geova non hanno la Bibbia", Coletti a S. Pietro, pp. 73-77; ove si dimostra che, nonostante affermi che Gesù ha avuto dei fratelli carnali (ignorando le prove contrarie avanzate da seri lavori sull'argomento), il primo a non crederci sia proprio il Corpo Direttivo dei Testimoni di Geova; cosa che dimosttra con il suo modo di tradurre artatamente i nomi del greco originale Josèph e Jòse nella sua KIT.



Vangelo Lc 7,11-17
In quel tempo, Gesù si recò in una città chiamata Nain, e con lui camminavano i suoi discepoli e una grande folla.
Quando fu vicino alla porta della città, ecco, veniva portato alla tomba un morto, unico figlio di una madre rimasta vedova; e molta gente della città era con lei.
Vedendola, il Signore fu preso da grande compassione per lei e le disse: «Non piangere!». Si avvicinò e toccò la bara, mentre i portatori si fermarono. Poi disse: «Ragazzo, dico a te, àlzati!». Il morto si mise seduto e cominciò a parlare. Ed egli lo restituì a sua madre.
Tutti furono presi da timore e glorificavano Dio, dicendo: «Un grande profeta è sorto tra noi», e: «Dio ha visitato il suo popolo».
Questa fama di lui si diffuse per tutta quanta la Giudea e in tutta la regione circostante.

Sembra quasi che la Liturgia, terminato di adorare Dio con le grandi festività appena trascorse, voglia ricordarci di divenire tutti sia apostoli del vangelo, sia di basare l'attrattiva che inclini a credere al messaggio evangelico sul dono più grande in assoluto: quello della vita eterna, ben significata qui dalla risurrezione.*
Notare anche qui, come nella prima Lettura, il collegamento della fede con la ragione. Abbiamo infatti lo stupore-sconcerto della ragione davanti al miracolo e la deduzione di fede che vede in quel fenomeno la presenza di Dio, mediata da Gesù. "Dio ha visitato il suo popolo" è l'equivalente neotestamentario della esclamazione finale fatta dalla vedova di Sarepta.
_____________________________________________________
* "Risurrezione" che però qui va intesa come risurrezione in senso improprio, atteso che sia solo Gesù il "primogenito di tra i morti" e se la risurrezione vera e propria, che solo lui ha ricevuto, comporta non solo un ritorno alla vita terrena (sia il figlio della vedova di Sarepta, che questo ragazzo di Nain, che Lazzaro, in seguito sono ri-morti davvero). La risurrezione di Cristo (e quella che avremo tutti alla fine del mondo) ha comportato, diversamente da queste cosiddette risurrezioni, l'entrare in una nuova dimensione di vita, dove tutto l'essere umano di Gesù è stato trasformato, il corpo ha acquistato capacità soprannaturali e su di esso la morte non ha più alcun potere. (cf. Romani 6,9)
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Re: "E venne un uomo..." Anno 2012-2013 Ciclo liturgico "C"

Messaggioda Sandro » mer giu 12, 2013 7:05 pm

Domenica 16 Giugno 2013 - XI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (Anno C)



Prima Lettura 2 Sam 12,7-10.13
In quei giorni, Natan disse a Davide: «Così dice il Signore, Dio d’Israele: Io ti ho unto re d’Israele e ti ho liberato dalle mani di Saul, ti ho dato la casa del tuo padrone e ho messo nelle tue braccia le donne del tuo padrone, ti ho dato la casa d’Israele e di Giuda e, se questo fosse troppo poco, io vi aggiungerei anche altro.
Perché dunque hai disprezzato la parola del Signore, facendo ciò che è male ai suoi occhi? Tu hai colpito di spada Urìa l’Ittìta, hai preso in moglie la moglie sua e lo hai ucciso con la spada degli Ammonìti.
Ebbene, la spada non si allontanerà mai dalla tua casa, poiché tu mi hai disprezzato e hai preso in moglie la moglie di Urìa l’Ittìta».
Allora Davide disse a Natan: «Ho peccato contro il Signore!». Natan rispose a Davide: «Il Signore ha rimosso il tuo peccato: tu non morirai».

"Tu mi hai disprezzato": il peccato è definito teologicamente "aversio a Deo et conversio ad creaturas". E' esattamente il senso che Dio dà al duplice peccato di Davide, compiuto con tutti i sentimenti. Infatti, come insegna il nostro catechismo, per esserci peccato grave, occorre tutto ciò che qui ricorre: materia grave, piena avvertenza, e deliberato consenso. Questo costituisce disprezzo di Dio e idolatria perché al suo posto si apprezza la creatura.
E' però uno degli episodi più sorprendenti dell'AT. Questo Dio che, visto il pentimento di Davide, lo assolve dal duplice peccato, si direbbe con molta leggerezza. Ma leggerezza non era e Davide, con il suo bellissimo salmo del Miserere, e il successivo comportamento, ce ne dà la prova. Semmai si dovrebbe parlare di... "velocità"; la stessa che il vangelo ci dimostra nel perdono concesso dal padre al figlio prodigo. Dio, ricorderebbe Papa Francesco, non si stanca mai di perdonare. La misericordia divina, che significa pietosa compartecipazione di cuore al disastro combinato dal peccatore sia nei confronti del danneggiato sia nei confronti della propria anima che apre le porte all'inferno, è la sua caratteristica più gloriosa. Per amore Dio ha creato l'uomo, per misericordia lo ha redento, per amore lo vuole santificare più e meglio di prima, perché Dio è Amore. Si può "vendicare" del peccato degli uomini solo amando tanto il mondo da dare per la sua salvezza il suo unico Figlio, e sottraendo così l'uomo all'abbraccio del demonio.
Mi viene in mente, a confronto, uno scritto della WT dove si dice che Geova si appresta a fare una "grande risata" quando ad Armaghedon sconfiggerà gli uomini suoi nemici con quel gram massacro che vedrà "il sangue degli uccisi salire fino ai garretti dei cavalli". E viene anche chiamato "pasto serale di Dio" ciò che susseguirebbe al massacro: l'invito alle bestie e uccelli necrofagi a banchettare sulle carni insepolte dei "nemici".
Il nostro Dio non è di questa fatta. Lui non ha "nemici", ma solo "figli" da salvare, magari in extremis; magari con l'opzione finale auspicata dalla teologia moderna che cerca di strutturarsi sul cuore di Dio dando al peccatore un'ultima possibilità di ravvedimento nel momento "atemporale" della separazione dell'anima dal corpo. Insomma, senza minimamente diminuire la giustizia di Dio, dovremmo cercare di imparare dalla figura di Maria che, come si vede nel giudizio universale di Michelangelo, nel momento della condanna dei reprobi da parte di Gesù, non ride soddisfatta della vendetta verso chi col peccato ha provocato la morte del Figlio, ma si volta triste per non vedere la brutta fine di tanti suoi cari figli.


Seconda Lettura Gal 2,16.19-21
Fratelli, sapendo che l’uomo non è giustificato per le opere della Legge ma soltanto per mezzo della fede in Gesù Cristo, abbiamo creduto anche noi in Cristo Gesù per essere giustificati per la fede in Cristo e non per le opere della Legge; poiché per le opere della Legge non verrà mai giustificato nessuno.
In realtà mediante la Legge io sono morto alla Legge, affinché io viva per Dio. Sono stato crocifisso con Cristo, e non vivo più io, ma Cristo vive in me. E questa vita, che io vivo nel corpo, la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha consegnato se stesso per me.
Dunque non rendo vana la grazia di Dio; infatti, se la giustificazione viene dalla Legge, Cristo è morto invano.

Questo brano, abbastanza complesso, richiede una laboriosa interpretazione che non può prescindere da tutto ciò che la Bibbia insegna sulla dottrina della giustificazione. E' un fatto però che, mentre qui sembra che di dequalifichi la Legge mosaica con le sue opere, la stessa Bibbia ritiene che certi personaggi, vissuti con la devota osservanza della Legge, che comportava opere di pietà, di culto, osservanza di precetti morali, e opere di carità verso il prossimo, erano da qualificarsi "giusti", il che biblicamente equivale a "santi" (per es. Abramo, i Patriarchi, Davide, i Profeti, S. Giovanni Battista, S. Giuseppe... Persone che certamente sono in cielo senza aver ricevuto né il battesimo di Cristo né aver conosciuto e praticato la nuova Fede proposta da lui). Il che prova che la Bibbia non va letta fondamentalisticamente né scegliendo dei brani senza armonizzarli con altri.
Si dovrà tener conto che qui San Paolo scrive polemizzando non tanto contro la Legge quanto sul modo formalistico di osservarla e sul credere che si riceve una salvezza automatica continuando a seguire essa senza tener conto della salvezza che si ottiene con la Fede in Gesù (vedi ad es. la polemica circa la circoncisione ormai surclassata dal battesimo, come pure le varie usanze della Legge mosaica che persistevano anche in giudei convertiti al cristianesimo).
Rimandando perciò ad opportuni studi che approfondiscono la tematica, ci limiteremo ad elencare schematicamente le nostre osservazioni critiche sui punti sottolineati, confrontati con i "ritocchi" che si vedono nella NM. A nostro avviso dovrebbero bastare a far capire a tutti che, se si insiste nello esigere dai TG il rispetto della promessa che loro sono... "lieti di usare qualsiasi Bibbia noi preferiamo" per supportare la loro dottrina, esigere che si legga e si ragioni sulla nostra versione e non sulla loro NM, per realizzare che le cose non vanno loro più liscie come quando si trovano di fronte a persone che non si comportano con... "bereanità" perché non soppesano attentamente né se le cose stanno veramente così né il diverso significato dei termini usati nel tradurre le due Bibbie a confronto.
- "giustificato... giustificati": nella Nm diventano "dichiarato/ti giusti" per indicare che la giustificazione nel geovismo non è reale. E' solo una copertura delle brutture, sporcizia, malattia, che restano endogene all'uomo che viene perciò solo "coperto" dai meriti di Cristo e, appunto, non "reso" giusto, non "giustificato", non "nuova creatura" ma solo "dichiarato" tale. E' giusto solo legalmente, esteriormente, fatto santo per decreto;
- "crocifisso ": nella NM diventa "messo al palo", ovviamente, come accade in tutti i passi ove la nostra Bibbia parla di "croce". Si vuole con questo negare il fatto storico della crocifissione, che era la modalità normale usata dai Romani verso i malfattori. Chi non sa che i Giudei come pena capitale avevano la lapidazione? Ma Gesù è stato condannato alla pena capitale dai Romani e non dai Giudei che, sotto i dominatori, non avevano il diritto di mettere a morte nessuno;
- "Cristo vive in me": diventa nella NM "unito a me". E' una modifica operata costantemente. Si vuole negare, riducendola solo a consonanza morale di intenti, la realtà ontologica di quella misteriosa vita in Cristo, operata dalla grazia e significata biblicamente dalla similitudine della Vite con i tralci e dalle membra con il Corpo. Senza dimenticare la chiara dottrina che illumina la similitudine parlando di "compartecipazione alla divina natura" e di inabitazione del Padre e del Figlio in chi ama Cristo, e del suo divenire membro di Cristo, e tempio dello Spirito (i nostri fratelli TG non hanno difficoltà a reperire i relativi passi);
- "la grazia di Dio": diviene nella NM "immeritata benignità". Appunto per ridurla, da fenomeno ontologico, a mera compiacente benevolenza che Geova rivolgerebbe verso l'uomo, costantemente sporco e peccatore, grazie alla "copertura" delle sue brutture operate dal "filtro" dei meriti redentivi di Cristo.



Vangelo Lc 7,36-8,3
In quel tempo, uno dei farisei invitò Gesù a mangiare da lui. Egli entrò nella casa del fariseo e si mise a tavola. Ed ecco, una donna, una peccatrice di quella città, saputo che si trovava nella casa del fariseo, portò un vaso di profumo; stando dietro, presso i piedi di lui, piangendo, cominciò a bagnarli di lacrime, poi li asciugava con i suoi capelli, li baciava e li cospargeva di profumo.
Vedendo questo, il fariseo che l’aveva invitato disse tra sé: «Se costui fosse un profeta, saprebbe chi è, e di quale genere è la donna che lo tocca: è una peccatrice!».
Gesù allora gli disse: «Simone, ho da dirti qualcosa». Ed egli rispose: «Di’ pure, maestro». «Un creditore aveva due debitori: uno gli doveva cinquecento denari, l’altro cinquanta. Non avendo essi di che restituire, condonò il debito a tutti e due. Chi di loro dunque lo amerà di più?». Simone rispose: «Suppongo sia colui al quale ha condonato di più». Gli disse Gesù: «Hai giudicato bene».
E, volgendosi verso la donna, disse a Simone: «Vedi questa donna? Sono entrato in casa tua e tu non mi hai dato l’acqua per i piedi; lei invece mi ha bagnato i piedi con le lacrime e li ha asciugati con i suoi capelli. Tu non mi hai dato un bacio; lei invece, da quando sono entrato, non ha cessato di baciarmi i piedi. Tu non hai unto con olio il mio capo; lei invece mi ha cosparso i piedi di profumo. Per questo io ti dico: sono perdonati i suoi molti peccati, perché ha molto amato. Invece colui al quale si perdona poco, ama poco».
Poi disse a lei: «I tuoi peccati sono perdonati». Allora i commensali cominciarono a dire tra sé: «Chi è costui che perdona anche i peccati?». Ma egli disse alla donna: «La tua fede ti ha salvata; va’ in pace!».
In seguito egli se ne andava per città e villaggi, predicando e annunciando la buona notizia del regno di Dio. C’erano con lui i Dodici e alcune donne che erano state guarite da spiriti cattivi e da infermità: Maria, chiamata Maddalena, dalla quale erano usciti sette demòni; Giovanna, moglie di Cuza, amministratore di Erode; Susanna e molte altre, che li servivano con i loro beni.

Ecco una bellissima occasione per riflettere sulla divinità di Cristo in senso forte, cioè di eguale livello rispetto a quella del Padre,* livello che egli esprime chiaramente arrogandosi il potere di perdonare i peccati. Questa è ovviamente una cosa riservata a Dio in quanto il peccato è offesa a Lui e solo l'offeso può perdonare l'offensore. Tale era il chiaro concetto che avevano anche i Giudei circa questa relazione tra il peccato e la sua remissibilità. Essi esprimono il loro sconcerto e dissenso davanti alla dichiarazione di Gesù con la domanda da noi sottolineata, così come lo espressero, scandalizzati, quando Gesù si permise di perdonare i peccati al paralitico calato davanti a lui scoperchiando il tetto della casa ove stava insegnando. (cf Matteo 9,1-6; Marco 2,5-10)
In effetti ci vuole del bello e del buono alla WT per snervare la forza di tante evidenze che nel Vangelo parlano di divinità di Gesù in senso proprio. Sembra proprio che il geovismo sia rimasto al livello del giudaismo che rifiutò tutte le evidenze che mostravano presente davanti a loro l'Emanuele. Il Vangelo riporta perfino un passo terribile ove si dimostra la volontà pertinace del rifiuto dell'evidenza quando, dopo la risurrezione di Lazzaro, « i capi sacerdoti e i farisei radunarono il Sinedrio e dicevano: “Che dobbiamo fare, poiché quest’uomo compie molti segni? 48 Se lo lasciamo fare così, riporranno tutti fede in lui, e verranno i romani e toglieranno sia il nostro luogo che la nostra nazione”.» (Giovanni 11, 47-48 - NM)
E incredibile! Quei miracoli sulla base dei quali la fede della gente verso il nuovo rivelatore di Dio aumentava e si consolidava, non venivano visti dai gestori del potere, nella loro funzione di accreditamento della parola di Gesù ma come una detronizzazione della loro casta regnante.
_________________________________________________
* Si faccia attenzione al modo ambiguo e confusionario di procedere della WT. Essa è capace di accettare che Cristo sia "Figlio di Dio", che abbia "natura divina", che sia qualificato perfino "dio" (con la minuscola!). Ma insieme è decisa nel sostenere che "DIO" è solo una sorta di aggettivo o apposizione che indica solo la qualità della "potenza", quindi Il Figlio è "dio" solo nel senso riduttivo che è un potente. Ma, essendo ritenuto creatura anche quando era nel reame dei cieli, è inferiore a Geova che viene qualificato "Onnipotente".
Poi però ci sono nella NM dei casi in cui i traduttori si sono lasciati sfuggire la "D" maiuscola anche per il Figlio. (cf Isaia 9,6; Giovanni 20,28; 1Giovanni 5,20) Cosa che la WT non ha ritenuto di correggere anche se, data l'asserita equivalenza tra "potente" e "dio", quando "Dio"è scritto con la maiuscola dovrebbe essere un titolo riservato a Geova. Sono contraddizioni ancora in attesa di una soluzione.
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Re: "E venne un uomo..." Anno 2012-2013 Ciclo liturgico "C"

Messaggioda Sandro » ven giu 21, 2013 12:21 pm

Domenica 23 Giugno 2013 - XII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (Anno C)



Prima Lettura Zc 12,10-11; 13,1
Così dice il Signore:
«Riverserò sopra la casa di Davide e sopra gli abitanti di Gerusalemme uno spirito di grazia e di consolazione: guarderanno a me, colui che hanno trafitto. Ne faranno il lutto come si fa il lutto per un figlio unico, lo piangeranno come si piange il primogenito.
In quel giorno grande sarà il lamento a Gerusalemme, simile al lamento di Adad-Rimmon nella pianura di Meghiddo.
In quel giorno vi sarà per la casa di Davide e per gli abitanti di Gerusalemme una sorgente zampillante per lavare il peccato e l’impurità».

"Riverserò... uno spirito di grazia e di consolazione": la NM rende «verserò... lo spirito di favore e di suppliche.» Posto che è una costante della WT rendere "grazia" con "immeritata benignità", concettualizzandola, diversamente da noi, come mera benevolenza da parte di Dio; qui era impossibile e senza senso tradurre il "grazia" in quel modo perché il suo effetto, indicato dalla proposizione, non è un effetto che si può riferire a Geova donatore ma ai recettori che, come si nota, saranno commossi nel cuore così da far lutto. Torniamo cioè a notare che la nostra versione non facilita né appoggia la dottrina geovista, come falsamente assicurato dal CD dei TG, ma la ostacola.

"guarderanno a me, colui che hanno trafitto": la NM rende «guarderanno a Colui che hanno trafitto». Evidentemente il pronome personale "me" era troppo scomodo perché identificava in qualche modo il trafitto (che non può essere altri che Gesù) con Dio che sta parlando al profeta. E' una sottrazione fatta in piena coscienza perché nella nota in calce la NM ammette: «"A Colui che", Th e Gv 19:37; MVg, "a me che".» Nota Il cui significato è: "La versione greca di Teodozione, che è del secondo secolo, e il vangelo di Giovanni 19,37, e il testo Masoretico e la Vulgata latina del 400, hanno il complemento di termine 'a me'." Si tratta di fonti antiche molto autorevoli soprattutto perché il testo masoretico è in ebraico." Sembra proprio che la Bibbia dia ragione ai cattolici sostenitori del Cristo-Dio! Che si fa, allora? Anzitutto nella versione si toglie "a me" poi si spera che nessuno guardi con acribìa la nota, o, se anche la guarda, non le dia il peso che ha.

"Meghiddo" è il luogo di un'antica famosa battaglia. Di qui la sua utilizazione in Apocalisse con la dicitura "Armàghedon" che significa "monte di Meghiddo". Luogo ove si consumerebbe la strage dell'umanità coalizzata contro Geova. Ma è un luogo simbolico (ammette la WT) perché a Meghiddo non c'è alcun monte, ma solo una pianura insufficiente a radunarci "tutti i re della terra". Però stranamente non vedono simbolico il discorso del sangue che arriva ai garretti dei cavalli...

"per lavare il peccato e l'impurità". Nella NM diventa «per il peccato e per la cosa orrenda. ». Sì anche qui il testo viene addomesticato togliendogli la valenza di lavaggio-purificazione, in omaggio all'idea di giustificazione geovista secondo cui i peccati non vengono in realtà lavati e le persone purificate diventando ciascuna "nuova creatura" come dice Paolo. Vengono solo "coperti" dai meriti di Cristo e le persone non "giustificate" (anche se a volte se ne usa la parola) ma solo "dichiarate giuste".



Seconda Lettura Gal 3,26-29
Fratelli, tutti voi siete figli di Dio mediante la fede in Cristo Gesù, poiché quanti siete stati battezzati in Cristo vi siete rivestiti di Cristo.
Non c’è Giudeo né Greco; non c’è schiavo né libero; non c’è maschio e femmina, perché tutti voi siete uno in Cristo Gesù.
Se appartenete a Cristo, allora siete discendenza di Abramo, eredi secondo la promessa.

"tutti voi siete figli di Dio mediante la fede in Cristo Gesù... quanti siete stati battezzati". La NM non cambia concetto. Dice anch'essa "tutti". Come mai allora, ci si chiede, ai TG si "spiega" poi il senso della Bibbia dicendo che solo i 144.000 Unti sono "figli di Dio", mentre il resto dei TG definiti Altre Pecore, sono ritenuti non figli, e solo candidati ad essere nel millennio "nipoti" di Dio?

"siete uno in Cristo Gesù": al solito la NM trasforma dicendo «siete tutti una [persona] unitamente a Cristo Gesù» trasformando così quella unione ontologico-vitale che sussiste tra la Vite e i tralci, il Corpo e le membra, in mera unione di intenti.
Fatto interessante: la WT che condanna la nostra teologia per il fatto che usa i concetti di "natura e persona", qui, come si vede, ritiene di doverne far uso. Ma l'uso che ne fa ci chiarisce che non ne possiede l'autentico concetto. Crea infatti una persona collettiva formata da vari individui ove, secondo la nostra teologia, che evita gli assurdi logici, neanche delle tre Persone divine della Trinità, che sono unite e indivisibili ad un livello per noi inimmaginabile data la loro esistenza nell'unità di natura, si può mai dire che sono una sola persona. Infatti la nostra fede parla di unicità di natura e di trinità di persone.
La verità biblica invece, in questo passo, è ben espressa dalla versione CEI che riferisce l'unità tra Gesù e i suoi seguaci, l'essere uno in Cristo, al Corpo mistico formato appunto dal Capo insieme alle membra; membra che, personalmente, mantengono la loro distinzione. Ma si tratta di un "corpo" sui generis di cui è bene approfondire la conoscenza ricorrendo ai concetti della sacramentaria e della mistica a cui rimandiamo.

"eredi": i TG "bereani", già cattolici, non si lascino sfuggire questa verità biblica. L'unione in Cristo (che si realizza nel battesimo sacramento che loro hanno ricevuto) rende, in quanto figli, anche "eredi" del Regno dei cieli. Bravi dunque i TG Altre pecore se, sovvertendo ogni calcolo matematico della WT, mostrano, assumendo gli emblemi, di aspirare al reame dei cieli. Davanti a Dio sono suoi figli adottivi e fratelli di Cristo. Nessuno può dire loro che si sbagliano. E lo "spirito che lo testimonia al loro spirito" ( cf. Romani 8,16) secondo la stessa teologia geovista. Che ne sa chi li giudica dal di fuori?



Vangelo Lc 9,18-24
Un giorno Gesù si trovava in un luogo solitario a pregare. I discepoli erano con lui ed egli pose loro questa domanda: «Le folle, chi dicono che io sia?». Essi risposero: «Giovanni il Battista; altri dicono Elìa; altri uno degli antichi profeti che è risorto».
Allora domandò loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Pietro rispose: «Il Cristo di Dio».
Egli ordinò loro severamente di non riferirlo ad alcuno. «Il Figlio dell’uomo – disse – deve soffrire molto, essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e risorgere il terzo giorno».
Poi, a tutti, diceva: «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua. Chi vuole salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia, la salverà».

"e risorgere", viene nella NM reso al passivo. Qui dice «essere destato», ma abbiamo già notato e sottolineato che nel Vangelo la risurrezione di Gesù (che riguarda solo la sua umanità e non certo la sua divinità) è resa in certi casi al passivo (infatti riguarda comunitariamente un'azione trinitaria); ora viene attribuita attivamente a lui (dal che si ricava fra l'altro che lui è Persona divina). Famosa è, al riguardo, la promessa che avrebbe risuscitato il tempio del suo corpo; cosa questa che da parte dei Giudei fu capita in maniera non equivocata, quanto all'essere lui il soggetto agente di quell'azione, infatti ne fecero oggetto di scherno sotto la croce.

"prenda la sua croce": NM «il suo palo di tortura». E' la nota trasformazione, inventata dal secondo presidente dei TG Rutherford verso il 1930. Prima di allora sembra che il "Canale di comunicazione di Geova" dalla "suprema sede" gli trasmettesse che Gesù era stato crocifisso. Ne era talmente convinto da inventarsi dei versi di lode in onore della croce esclamando: "Io mi glorio della croce di Cristo, / torreggiante sulle rovine del tempo; / Tutta luce della storia divina, / Si riunisce alla sua vetta sublime".* E anche lui, come tutti i TG, portava con orgoglio sul bavero della giacca una spilla ove figurava la croce circondata da una corona d'alloro, dentro una corona.

"la propria vita": nella NM diventa «la sua anima». Questo espediente di usare sempre e comunque in maniera indistinta il termine "anima" per tradurre l'originale greco psyché, fingendo di ignorare che esso ha una molteplicità di significati che vanno evinti dal contesto, serve a far credere che l'anima sia mortale (se muore una vita muore un'anima!). E' una mossa consapevole perché, nella nota, la NM ammette: «O, "vita". Gr. psychèn...».
Il fatto che anche in versioni cattoliche si trovi a volte tradotto psyché con "anima" non appoggia la manovra geovista. Si tratta di versioni che dipendono ancora dal latinismo con cui si è usato per secoli "anima" in italiano nel linguaggio ecclesiastico (cf. la domanda "quante anime ha la tua parrocchia?" e si intendeva "persone"). In realtà lo "anima" latino ha una molteplicità di significati, tra cui anche quello di "vita" che qui più si adatta. E Luca dicendo "psyché" e intendendo "vita" intendeva dire "vita eterna", che è appunto quella dell'anima che sopravvive anche alla morte del corpo. Insomma il suo discorso sulla vita si pone su livelli differenti, di vita terrena, nel corpo biologico, e di vita spirituale (e poi eterna con tanto di resurrezione) oltre la morte del corpo. Sarebbe assurdamente autocontraddittorio se alludesse solo alla vita terrena, di cui dice che viene salvata se viene persa!

______________________________
* Cf. L'arpa di Dio, Brooklyn 1921, p. 143. A pag. 114 della stessa opera figura un classico Crocifisso a tutta pagina.
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Re: "E venne un uomo..." Anno 2012-2013 Ciclo liturgico "C"

Messaggioda Sandro » gio giu 27, 2013 8:37 am

Domenica 30 Giugno 2013 - XIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (Anno C)



Prima Lettura 1 Re 19,16b.19-21
In quei giorni, il Signore disse a Elìa: «Ungerai Eliseo, figlio di Safat, di Abel-Mecolà, come profeta al tuo posto».
Partito di lì, Elìa trovò Eliseo, figlio di Safat. Costui arava con dodici paia di buoi davanti a sé, mentre egli stesso guidava il dodicesimo. Elìa, passandogli vicino, gli gettò addosso il suo mantello.
Quello lasciò i buoi e corse dietro a Elìa, dicendogli: «Andrò a baciare mio padre e mia madre, poi ti seguirò». Elìa disse: «Va’ e torna, perché sai che cosa ho fatto per te».
Allontanatosi da lui, Eliseo prese un paio di buoi e li uccise; con la legna del giogo dei buoi fece cuocere la carne e la diede al popolo, perché la mangiasse. Quindi si alzò e seguì Elìa, entrando al suo servizio.

"Ungerai... al tuo posto... il suo mantello": solo il Signore è eterno. Noi passiamo. E lui, dopo averci gratificato prendendoci al suo servizio nella sua Vigna, ci sostituisce. Anzi ci chiede di fare noi il passo delle dimissioni, senza aspettare che lo faccia sorella malattia, sorella vecchiaia o sorella morte. Ribellarsi a questa legge della nostra creaturalità è mettere radici sulla sabbia e non omaggiare l'intelligenza provvidenziale del Padre a cui è "piaciuto fare così" (Matteo 11,26).


Seconda Lettura Gal 5,1.13-18
Fratelli, Cristo ci ha liberati per la libertà! State dunque saldi e non lasciatevi imporre di nuovo il giogo della schiavitù.
Voi infatti, fratelli, siete stati chiamati a libertà. Che questa libertà non divenga però un pretesto per la carne; mediante l’amore siate invece a servizio gli uni degli altri. Tutta la Legge infatti trova la sua pienezza in un solo precetto: «Amerai il tuo prossimo come te stesso». Ma se vi mordete e vi divorate a vicenda, badate almeno di non distruggervi del tutto gli uni gli altri!
Vi dico dunque: camminate secondo lo Spirito e non sarete portati a soddisfare il desiderio della carne. La carne infatti ha desideri contrari allo Spirito e lo Spirito ha desideri contrari alla carne; queste cose si oppongono a vicenda, sicché voi non fate quello che vorreste.
Ma se vi lasciate guidare dallo Spirito, non siete sotto la Legge.

"Non lasciatevi imporre di nuovo il giogo della schiavitù". Qui si pone tutto il problema dell'accertamento: a) se il messaggio religioso trasmesso sia davvero di Dio; b) se, posto che lo sia, sia anche compreso nella maniera giusta. Fuori di queste due condizioni (che per la nostra religione sono accertamenti di Ratio che supportano la Fides evitando che sia fideismo e credulità) si ha che: o si resta in una schiavitù, o si passa da una schiavitù all'altra, illusi ogni volta di essere approdati alla libertà che solo la verità può dare.
E' questo che, a nostro avviso, avviene a gente che aderisce al geovismo o al altri MRA, sia che il neo adepto si "converta", provenendo da una vita praticamente pagana, sia che provenga da un cattolicesimo vissuto all'acqua di rose. Non fa un vero accertamento e così ritiene per messaggio divino un messaggio che è solo elaborazione umana, anche se – dal momento che nessun falsificatore è così stupido da esagerare – la presentazione del nuovo pensiero gabellato per divino gli dà del vero nutrimento spirituale perché non è del tutto difforme a ciò che la Bibbia trasmette. Il "veleno" insomma si occulta nel cibo eccellente.
Lasciando dunque, per rispetto alla libertà personale, che ogni TG si orienti come crede meglio (un rispetto che perfino Dio mantiene, dal momento che lui premia o colpevolizza sulla base della rettitudine della intenzione), noi non possiamo che augurare ai TG, e agli ex che sono passati ad una nuova ricerca della verità e della vera Chiesa, di scoprire quella strada che coniuga la loro Fides con un esercizio della Ratio degna di questo nome. Una ragione cioè non condizionata da paure, da incapacità culturale, pregiudizi, da predisposizioni affettive etc... tutte cose che inibiscono la percezione del vero e quindi la reale libertà nella scelta. Questa libertà a noi sembra che nel geovismo non esista, giacché la "bereanità" (acribia nell'accertamento), caldeggiata dalla WT a parole, è di fatto osteggiata nella pratica al punto che il movimento si è inventato mille regole e divieti per intimidire; regole che, nello sfondo, minacciano sempre la "disassociazione", con il conseguente ostracismo, per il TG che volesse anche solo dialogare e confrontarsi con ex TG.
Per questa libertà noi del GRIS pregheremo. E laddove il TG ponga a noi di rimando la stessa problematica di individuare il vero, dichiariamo che diversamente da loro, noi non solo abbiamo fatto tale operazione di accertamento in piena libertà da costrizioni, ma restiamo anche aperti, pronti a riesaminare i fondamenti della nostra fede con tutti; come esige la 1 Pietro 3,15. Cioè godiamo di una effettiva libertà di indagine, di parola, di critica. Chiunque ha preso i libri su Gesù di papa Benedetto XVI avrà notato con stupore che, nella prefazione, egli ha escluso ogni ricorso alla sua autorità di Pontefice. Si è proposto nella veste di un qualsiasi teologo ed esegeta, cioè un semplice studioso, esponendo i suoi lavori alla libera critica e al rifiuto di chiunque non fosse d'accordo con il suo argomentare.

"carne... spirito": la NM non cambia traduzione su questi concetti. Però li capisce in maniera diversa da noi che riteniamo invece di essere in linea con San Paolo. Per esempio quando il geovismo legge "carne e sangue non possono ereditare il regno dei cieli", intende il concetto di carne in senso biologico, fisico, e così ne ricava che per andare nel Reame dei cieli bisogna avere un "corpo spirituale" che non è inteso nel senso di corpo fisico spiritualizzato ma come una entità di natura nuova, fatta di solo spirito, un corpo di tipo angelico. Gesù stesso (che poi in realtà non è più Gesù ma un bis del fu Michele arcangelo) non sarebbe risuscitato con il suo corpo fisico storico (e pazienza se mostrava perfino le piaghe per confermare che era proprio lui!) ma con un nuovo "corpo spirituale" non fatto di carne e sangue. Il corpo spirituale, sarebbe necessario per poter andare nel Reame dei cieli ove l'ingresso alla "carne e al sangue" come tali è interdetto.
Però il modo normale di secoli di cristianesimo con cui sono stati intesi i concetti paolini di "carne e sangue" sono quelli di uomo carnale (sarkikòs) contrapposto a uomo spirituale (pneumatikòs). Ove "carnale" non indica la biologia umana ma la terrestrità, la debolezza, il peccato, le sole forze umane, l'orizzontalità di un uomo tutto preso da valori terreni; quindi è un concetto che ingloba anche la sua psiche e non solo il suo corpo. E "spirituale", per contro, significa di nuovo tutto l'uomo intero, anima e corpo, ma teso verso il cielo, galvanizzato e trasformato dallo Spirito divino che non sostituisce il corpo-tenda terreno ma lo "sopraveste" con il suo potere trasformante.*
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* La convinzione di Paolo che in cielo (o paradiso secondo noi) ci si vada proprio con tutto ciò che avevamo in questa vita terrena, è confermata - oltre che da Gesù stesso che si è fatto toccare, ha mostrato le piaghe, ha detto "sono proprio io!", ha perfino mangiato con i discepoli da risorto – è confermata anche da tanti passi della Bibbia. Lo vediamo ad es. quando Paolo parla del suo corpo come una tenda destinata a perire ma non a disintegrarsi. Lui infatti si dice certo che non la perderà perché crede che la morte sarà "ingoiata dalla vittoria" ( Cf 2Corinti 1-5) perché si aspetta che la "tenda-corpo" sia "sopravestita" dalla nuova condizione che la renderà corpo spiritualizzato e non sostituita.
Questa verità di fede però viene vanificata nel geovismo con l'insegnamento che Paolo parlava solo agli Unti (nel primo secolo tutti i cristiani sarebbero stati del loro numero), i quali, in base alla dottrina geovista, devono dismettere il corpo terreno (opportunamente definito "carne e sangue" per contrapporlo del tutto al "corpo spirituale") ed entrare in cielo con un nuovo corpo "spirituale", creato a bella posta per loro da Geova. Il che sarebbe avvenuto nel 1918 per gli unti che morirono dalla Pentecoste fino a quella data, e sarebbe avvenuto e avverrebbe tuttora, per i successivi, nello stesso istante in cui cessò/cessa la loro vita terrena.
Teoria comunque, questa dell'istantaneità, che va in contraddizione non solo con quanto insegna la Bibbia sulla risurrezione dei corpi destinati al cielo, su cosa è accaduto al corpo di Gesù, sulla speranza di S. Paolo ecc... ma anche contro la stessa dottrina geovista secondo la quale gli Unti "non dormono nel sonno della morte". Se infatti questo non dormire fosse vero per gli Unti morti dal 1918 in poi, non sarebbe certamente vero per quelli morti dalla Pentecoste fino al 1918, i quali hanno dormito molti secoli nel sonno della morte.


Vangelo Lc 9,51-62
Mentre stavano compiendosi i giorni in cui sarebbe stato elevato in alto, Gesù prese la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme e mandò messaggeri davanti a sé.
Questi si incamminarono ed entrarono in un villaggio di Samaritani per preparargli l’ingresso. Ma essi non vollero riceverlo, perché era chiaramente in cammino verso Gerusalemme. Quando videro ciò, i discepoli Giacomo e Giovanni dissero: «Signore, vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi?». Si voltò e li rimproverò. E si misero in cammino verso un altro villaggio.
Mentre camminavano per la strada, un tale gli disse: «Ti seguirò dovunque tu vada». E Gesù gli rispose: «Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo».
A un altro disse: «Seguimi». E costui rispose: «Signore, permettimi di andare prima a seppellire mio padre». Gli replicò: «Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; tu invece va’ e annuncia il regno di Dio».
Un altro disse: «Ti seguirò, Signore; prima però lascia che io mi congedi da quelli di casa mia». Ma Gesù gli rispose: «Nessuno che mette mano all’aratro e poi si volge indietro, è adatto per il regno di Dio».

"in cui sarebbe stato elevato in alto": la NM dice «della sua assunzione»; la CEI del 1974 "in cui sarebbe stato tolto dal mondo". Queste diversità di versione sono solo apparenti. Esprimono lo stesso concetto. Però non dovremmo disgiungerle da quello "essere elevato da terra" (Cf. Gv 12,32) profetizzato da Gesù che significava l'innalzamento in croce; innalzamento che consisteva nella glorificazione del Padre e che avrebbe avuto l'effetto di attirare tutti a Gesù. E' in base a questo collegamento tra croce-morte e risurrezione-ascensione-gloria che noi della "cristianità" (ma anche tutti i TG fino al 1930 circa), post factum e cioè a redenzione avvenuta, vediamo la croce di Gesù come il simbolo del suo trono di gloria, l'albero della salvezza contrapposto a quello che, in Eden, ci ha procurato la morte.

Tutte le sottolineature oltre la prima riga, che si riferiscono a episodi sparsi della vita di Gesù, sono in collegamento liturgico con la prima Lettura. Confermano la piena sovranità di Dio che, quando investe qualcuno per la Sua missione, non accetta tentennamenti, paure per le difficoltà, condizioni, ripensamenti. Vuole decisione e coraggio.
In questo bisogna riconoscere che i nostri fratelli TG sono molto spronati e ben allenati a dare testimonianza di "integrità" e decisione. Il loro zelo (degno di miglior causa) fa comunque onore alla coerenza rispetto alle convinzioni che hanno (ma naturalmente si parla in generale, giacché anche tra loro, come in tutte le denominazioni, vi sono dei soggetti che bivaccano, che si "raffreddano" e divengono "inattivi", e però, nel loro caso, devono destreggiarsi per non apparire tali agli occhi attenti degli Anziani che li sottoporrebbero al "Comitato Giudiziario"...).
«In patientia vestra possidebitis animas vestras»... aliorumque. (Lc 21,19)
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Sandro
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Re: "E venne un uomo..." Anno 2012-2013 Ciclo liturgico "C"

Messaggioda Sandro » ven lug 05, 2013 11:52 am

Domenica 7 Luglio 2013 - XIV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (Anno C)



Prima Lettura Is 66,10-14c
Rallegratevi con Gerusalemme,
esultate per essa tutti voi che l’amate.
Sfavillate con essa di gioia
tutti voi che per essa eravate in lutto.
Così sarete allattati e vi sazierete
al seno delle sue consolazioni;
succhierete e vi delizierete
al petto della sua gloria.

Perché così dice il Signore:
«Ecco, io farò scorrere verso di essa,
come un fiume, la pace;
come un torrente in piena, la gloria delle genti.
Voi sarete allattati e portati in braccio,
e sulle ginocchia sarete accarezzati.
Come una madre consola un figlio,
così io vi consolerò;
a Gerusalemme sarete consolati.
Voi lo vedrete e gioirà il vostro cuore,
le vostre ossa saranno rigogliose come l’erba.
La mano del Signore si farà conoscere ai suoi servi».

Domanda – è il caso di dirlo - da cento milioni: fuor di metafora, chi è, dove si trova oggi la Gerusalemme divina? nella Chiesa Cattolica o nella Congregazione geovista? La risposta merita assolutamente, e prima di ogni altro interrogativo, la nostra ricerca accurata. Quindi sarà legittimo di invitare il TG, come abbiamo fatto noi per la valutazione critica delle credenziali offerte dalla Congregazione dei TG (che si autopropone come Schiavo fedele e discreto; Società Torre di Guardia; Corpo Direttivo dei TG), a fare analogo esame critico nei confronti delle credenziali avanzate a proprio favore dalla nostra Chiesa Cattolica. Le confronti, e valuti "bereanamente", con "apertura di mente", con animo "più nobile di quelli di tessalonica", quali tra le due sono le più ragionevoli.
Noi abbiamo già trattato in questa sede tale problema. Perciò non debbo far altro che riportare , ad utilità di chi non abbia mai fatto tale confronto, un riassunto schematico di alcune caratteristiche che entrambe le denominazioni ritengono basilari e sufficienti per accreditarsi la... promozione.

Nella Torre di Guardia del 1 marzo 2012, da pag. 3 a pag. 8 la WT elenca 5 aspetti per individuare – a suo avviso – chi sarebbero i veri cristiani oggi, così che chi cerca la vera Chiesa di Gesù possa individuarla con certezza. Detti fattori consisterebbero in ciò che i cristiani conosciuti come Testimoni di Geova fanno e, si lascia credere, che altri non fanno. E, poiché essi sono visti come essenziali e discriminanti la vera fede, si dice indirettamente che solo in loro si trovano tali fattori, ed eventuali altri criteri che venissero esibiti da altre denominazioni sono secondari e non pertinenti a scalzare il solido fondamento che proporrebbe la Congregazione Cristiana dei Testimoni di Geova come la... vincitrice del concorso tra le molte Chiese pretendenti di essere la vera Chiesa di Cristo.

Ma conosciamo tutti la saggia raccomandazione, ricordata ogni tanto dalla stessa WT sia ai suoi adepti che alle persone che leggono i suoi stampati, di essere "bereani", cioè di esaminare attentamente ciò che ci viene detto per "vedere se le cose stanno realmente così". Questa avevrtenza viene ripetuta in altra forma, anche in quello stesso numero della Torre, subito dopo l'elencazione di quei fattori (che andremo or ora ad esaminare) con un articolo che si intitola: "Dovreste fidarvi della prima impressione?" Quindi noi ci vediamo l'invito ad essere guardinghi e prudenti anche nella valutazione dei 5 aspetti appena reclamizzati.
Prudenza e "bereanità" si impongono verso i 5 fattori esibiti dalla WT come credenziali di essere lei la vera Chiesa di Cristo (un tempo amava chiamarsi "Chiesa", poi ha preferito definirsi "Congregazione") giacché essa è la base della nostra fede; noi infatti cattolici la abbiamo ricevuta dalla nostra Chiesa così come i TG dalla loro Congregazione. E' assolutamente importante verificare se queste basi-radici-fondamenta sono solide o traballanti. I 5 fattori in questione la Torre li desume da comandi dati da Gesù ai suoi discepoli o da caratteristiche da lui indicate che li distinguerebbero:
1) Rimanete nella mia parola;
2) Non fanno parte del mondo;
3) Abbiate amore fra voi;
4) Ho fatto conoscere il tuo nome
5) Questa buona notizia del Regno sarà predicata

Avverto però che, per brevità, in questa sede riporterò solo il secondo dei due POST da noi dedicati a tale analisi che si può leggere, in dettaglio molto più abbondante, in questo stesso forum, sempre nella sezione dedicata ai Testimoni di Geova, alla discussione "La Torre 2012 in tempo reale: analisi per il dialogo", esattamente nei due post del 3 Marzo e del 10 Maggio:
link viewtopic.php?f=3&t=931

A quei due POST rimandiamo i lettori che esigessero maggiori dettagli circa la nostra valutazione critica dei 5 aspetti-fattori esibiti dalla WT. Qui, nel secondo dei due POST dedicati all'argomento, offriamo solo una sintesi di essi per offrire invece, diffusamente, le credenziali che noi riteniamo essenziali ad individuare la vera Chiesa esibite dalla nostra Chiesa Cattolica e disattese dalla Torre di Guardia (giudicherà il lettore se omesse oculatamente o per mancanza di... bereanità nei TG che hanno stilato quel numero del 1 marzo).
Ecco dunque cosa abbiamo scritto in quella sede:


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1) Non si può dire che i TG «rimangono nella Sua Parola», sia perché fondano la dottrina su una Bibbia manipolata, sia perché, quando la WT ha un sussulto di sincerità, ammette che essi non rimangono neanche con la condotta, con il "fare", nella Parola del Signore. Al massimo deve dire che "si sforzano" di rimanervi. Ma questo non è specifico dei TG, tutti i seguaci di Cristo devono umilmente ammettere che si sforzano di segure le orme del loro santo Maestro;

2) Non si può dire che il comando di «non far parte del mondo» sia capito nel senso preciso voluto da Gesù che disse chiaramente che non toglieva i suoi discepoli dal mondo, ma voleva che essi fossero pienamente nel mondo per illuminarlo, salarlo fino a sciogliersi in esso, farlo lievitare in buon pane, amandolo nelle sue persone e odiandone e contrastandone "lo spirito" pagano e diabolico, quando è diabolico e non quando è espressione di quei "semi del Verbo" che partoriscono un'etica di tutto rispetto anche in pagani e "laici" di buona volontà ;

3) Non si può dire che i TG obbediscano più di altri membri della "cristianità" al comando «Abbiate amore fra voi» se presso di loro si compiono (e in percentuale rilevante) quei peccati, vergognosi e perfino atroci quando si tratta di pedofilia, che accadono ad ogni latitudine e in ogni confessione e anche nel mondo "laico". E lasciamo agli ex TG di http://www.infotdgeova.it la narrazione delle altre miserie e cattiverie che sono di casa presso i TG come ovunque. Del resto ammettere che "si sforzano di..." contiene implicitamente l'ammissione che spesso "non ce la fanno a...". Non è vero?;

4) Non si può dire che il TG possa vantarsi dicendo a Dio «Ho fatto conoscere il tuo nome» atteso che: a) fa conoscere di Dio non il vero nome ma solo una pronuncia sbagliata del nome in uso nell'ebraismo; b) se si intende – come si deve! – per "nome" la personalità di Dio, non si può dire che il TG ce la mostri per quella che è, giacché diffonde l'idea di un Dio strutturato sulla falsariga dell'uomo.**

5) Non si può dire infine che i TG «predicano la buona notizia del regno», giacché il regno di cui parlano (salvo che per i privilegiati 144.000) è confinato sulla terra e perciò non corrisponde al "gaudio del tuo Signore" in cui il Padre ammetterà tutti i "servi buoni e fedeli". E quindi l'esca di prospettare di vivere per sempre su una terra paradisiaca, che abbindola quei cristiani inconsapevoli che la loro fede è "molto più preziosa dell'oro" (1 Pietro 1,7), non è una "buona notizia" ma una pessima notizia perché depriva della figliolanza divina quei figli di Dio che, con il battesimo in acqua (quando non è simbolico ma sacramento), sono diventati eredi del regno dei cieli (Romani 8,17).***
________________________
* Si ricorda, per gli inesperti di geovismo, che il CD dei TG elogia molto i lettori che coltivano una attitudine "bereana", vale a dire critica, attenta, indagatrice, che controlla, che sa vagliare e scegliere tra vero e falso, bene e male. Questo aggettivo è formulato dal comportamento degli antichi abitanti di Berea che, evangelizzati dall'Apostolo Paolo, «... erano di mente più nobile di quelli di Tessalonica, poiché ricevettero la parola con la massima premura di mente, esaminando attentamente le Scritture ogni giorno per vedere se queste cose stessero così.» (Atti 17,11 - NM) E siccome la Parola di Dio deve fare da modello di comportamento, noi estendiamo il nostro "bereanesimo" oltre le Scritture, anche agli stampati della Società Torre di Guardia, controllando con molta attenzione se le cose che dicono stanno proprio così.

** Lo incontreremo più volte questo strano "personaggio" che pretende di essere Dio ma, invece di essere Spirito, ha "un corpo di forma ben definita... un cervello... occupa un luogo... è provvisto di organi di senso... non è onnipresente... è di umore variabile... impara l'essere dell'uomo studiandolo... prevede il futuro facendo i conti sulle variabili... è sessuato al maschile... ecc...

*** Questa conseguenza della figliolanza divina che S. Giovanni e S. Paolo hanno dichiarato appannaggio di tutti i battezzati, il geovismo la riserva ai soli 144.000 Unti perché solo loro sarebbero "figli adottivi di Dio", rispetto ai milioni di TG che saranno solo "nipoti".



ED ECCO A CONFRONTO LA VEDUTA CATTOLICA, PER QUEI TG CHE SONO DAVVERO INTERESSATI A CONOSCERE COME LA PENSA IL PADRONE DI CASA

Dopo la conclusione offertaci dalla TORRE, noi di... Babilonia ci domanderemo: ma davvero sono quei cinque aspetti elencati dalla TORRE quelli capaci di farci individuare la Chiesa di Cristo? Non sono per caso stati scelti ad arte per depistarci dai fattori decisivi e per fare il gioco della WT che appunto, di fronte ai fattori decisivi, non sa che pesci pigliare perché non li ritrova nella propria struttura? Vediamo di procedere con un po' di logica cercando di indovinare quali potrebbero essere altri fattori, dalla WT non elencati, che la vera Chiesa di Cristo deve per forza avere per presentarsi come tale. Per esempio, non dovrebbe per caso:
1) Avere il collegamento storico con il primo secolo, cioè essere sempre stata presente ed operante nei secoli senza soluzione di continuità?;
2) Riprodurre in se stessa le caratteristiche di Gesù Cristo che l'ha mandata come il Padre ha mandato lui e perciò, proseguire i suoi gesti di salvezza?;
3) Aver mantenuto la successione apostolica per essere la stessa per tutti gli uomini dei tempi avvenire? Oggi soprattutto che c'è una moltitudine di Chiese che pretendono di essere quella vera!;
4) Aver mantenuto la dottrina in maniera certa e indefettibile; sempre la stessa senza aggiunte, sottrazioni, correzioni, incertezze?,
5) Aver predicato ad ogni popolo la Parola di Dio, sia essa scritta (Bibbia) sia tramandata a voce (Tradizione)?

Anche questi sono cinque (per riassumere, giacché potremmo elencarne di altri). Vediamo un po' se sono ragionevoli ed essenziali e, tra Chiesa Cattolica e Congregazione dei Testimoni di Geova, quale delle due può dimostrare storicamente di averli coltivati sempre e di averli tuttora nella sua struttura.

1- COLLEGAMENTO CON LA CHIESA FONDATA DA GESU'
La Chiesa Cattolica potrebbe affidare la prova di questo suo collegamento a qualsiasi storico, anche non credente. Invece abbiamo che, al riguardo, il geovismo brilla per la sua assenza nei secoli. Quando parla della propria storia accenna all'era apostolica e poi salta a piè pari all'epoca moderna. Poi cerca disperatamente di individuare dei TG, che per l'occasione sono definiti "devoti servitori di Dio", negli eretici del cattolicesimo, nei giusti dell'Antico Testamento, fino a dire che il primo TG sarebbe stato nientemeno che Abele!
Naturalmente in questo modo si esce dalla serietà perché quelle persone, per essere rappresentanti del geovismo avrebbero dovuto avere le stesse convinzioni fondamentali di fede che il geovismo oggi insegna, il che non è. Inoltre si richiede anche che nella storia il nucleo di tali TG si sia reso visibile, individuabile, almeno a livello dirigenziale. Ma anche in questo abbiamo una totale assenza del cosiddetto "Schiavo fedele e discreto" geovista, cioè del rimanente dei 144.000 Unti! Senza contare le trovate esilaranti per... tappare dei buchi di illogicità. Ad es. data la concezione del popolo di Dio che il geovismo ha avuto fino al 1935 (epoca in cui sono state inventate sia la categoria delle Altre pecore che la terra paradisiaca) il geovismo era composto dal solo rimanente dei 144.000 Unti, definito lo Schiavo di Geova, destinato al Reame dei cieli. Il che poneva alla WT il problema di trovare chi mai fosse, precedentemente a quella data il soggetto, che gli Unti, come insegnanti, pascevano con le verità geoviste. E allora, non essendoci quella che oggi è la serie B dei salvati, le Altre Pecore, si disse che essi "pascevano se stessi" facendo sia la parte degli insegnanti che degli... insegnati!


2- RIPRODURRE IN SE' LE CARATTERISTICHE DI GESU'
Ma Gesù, come si evince dalla Bibbia, ha svolto tre mansioni: sacerdotale, profetica e regale. E' stato Sacerdote, dando culto al Padre; è stato Profeta evangelizzando; è stato Re, come pastore, guida, condottiero, servo delle sue pecorelle.
Sono esattamente queste le caratteristiche che la Chiesa Cattolica riproduce in sé: il culto lo svolge con la lode di Dio (S. Messa, Liturgia delle Ore ecc...) e amministrando i sacramenti; la funzione profetica facendosi Madre e Maestra di tutti, propagando le idee divine del Vangelo e illuminando i problemi etici che emergono nei vari momenti storici; e la funzione pastorale-regale di servizio la svolge con le sue strutture e istituzioni (Congregazioni pontificie, Istituti religiosi, parrocchie ecc...) e soprattutto con le varie strutture della Caritas.
Di nuovo, se passiamo al geovismo, troviamo che tutto ciò è ridotto alla sola funzione profetica della predicazione (che viene allargata a forma di culto definendola indebitamente anche "adorazione"). Del resto essa sembra essere l'unica cosa ragionevole da fare, data la persuasione che presto la società civile finirà nel massacro di Armaghedon, dopo il quale si ricostruirebbe un "nuovo mondo". Il TG è invitato a pregare privatamente. Prima o dopo le riunioni c'è qualcuno che prega a nome di tutti. Ma quanto a dare culto a Dio in maniera collettiva, non esiste altra celebrazione pubblica se non la "Commemorazione della morte di Cristo", una sola volta l'anno.


3- AVER MANTENUTO LA SUCCESSIONE APOSTOLICA
Abbiamo di nuovo il gigantesco buco-assenza che il geovismo non può non accusare per la sua Congregazione (dato e non concesso poi che nel primo secolo esistesse la loro Congregazione!). Questa assenza della Congregazione geovista nella storia depone per la grave carenza di un aspetto essenziale della Chiesa. Cristo, avendola fatta per essere luce e strumento di santificazione per tutti gli uomini di tutti i tempi e luoghi, le ha donato il suo Spirito che, come dice S. Paolo, ha suscitato in essa maestri, pastori, profeti ecc... Ed essa si è organizzata in sacerdozio gerarchico a partire dalla pienezza dell'ordine sacro che Gesù ha dato agli Apostoli, i quali si sono creati dei collaboratori (presbiteri e diaconi).
E' vero che nel geovismo esistono dei presbiteri detti "anziani" (una sorta di capi) e "servitori di ministero" (una sorta di diaconi). Ma è dottrina dichiarata che si tratta di una struttura dirigenziale che non ha nulla di sacerdotale. Manca la trasmissione che veniva significata dalla imposizione delle mani e dalla preghiera che invocava lo Spirito sugli ordinandi. E poi è vero che i 144.000 Unti sono detti "sottosacerdoti con Cristo", ma la loro funzione "sacerdotale" sarà svolta solo nel millennio dopo Armaghedon e consisterà in una non meglio spiegata "applicazione dei meriti di Cristo" per "risanare fisicamente e mentalmente i sopravvissuti ad Armaghedon e i risuscitati". Non c'è alcuna possibilità di paragone... Lo Schiavo geovista, nella storia, brilla per la sua assenza anche nella sua funzione profetico-evangelizzante.


4- AVER MANTENUTO L'INDEFETTIBILITA' DELLA DOTTRINA
Da questa funzione, di intuizione ovvia perché ogni essere umano futuro aveva diritto a ricevere l'essenziale della dottrina salvifica predicata da Gesù, è derivata nella nostra Chiesa cattolica la coscienza della funzione primaziale di Pietro che, ravveduto dal suo peccato, doveva "confermnare i fratelli nella fede". Funzione che gli è stata riconosciuta sin dal primo secolo, così che quando la sede di Pietro si è trasferita dalla Palestina a Roma, lentamente si è creata nelle varie Chiese dell'Orbe la coscienza di guida suprema del romano Pontefice. Così, la decisione espressa dal Papa, vescovo di Roma, fu vista dirimente nei problemi di fede e di morale, fino a creare lo slogan "Roma locuta, causa finita!" E il Vescovo di Roma, sulla falsariga di ciò che ha fatto S. Pietro nel primo Concilio di Gerusalemme e negli Atti degli Apostoli, ha esercitato anche in maniera solenne tale funzione di guida tramite i vari Concili Ecumenici. Fino al punto che nella Chiesa universale, riunita in Concilio, soprattutto dopo i disastri scismatici dell'ortodossia e del protestantesimo, è maturata anche la convinzione (senz'altro ispirata dallo Spirito Santo) dell'infallibilità pontificia che prima era esercitata solo collegialmente nei Concili. Essa è stata compresa anche come privilegio personale del Papa nel caso di disaccordi insormontabili; ma limitata ai soli pronunciamenti ex cathedra che, come è noto, avvengono rarissimamente. Gesù-Dio insomma sapeva dello sbandamento e del dissenso dottrinale che un libero esame della Bibbia avrebbe provocato. Non può non aver provveduto una "roccia" capace di sostenere anche questo tentativo diabolico di sgretolare le fondamenta della Sua Chiesa.
Se passiamo, per confronto, a vedere cosa avviene nel geovismo a questo riguardo, abbiamo una desolazione totale. Esso, mancando di una autorità istituita da Gesù, fa appello a una diretta gestione divina che definisce "teocratica". Ma così riesce solo a gettare biasimo sulla conoscenza e imparzialità di Geova, dal momento che sono state emanate decisioni "teocratiche" che in seguito sono state smentite. Il CD dei TG, maldestramente, per tappare le falle dei ripensamenti dottrinali, ricorre ora alla teoria del bordeggio, ora a quella della luce crescente, ora a quella della verità presente, o della verità come allora era conosciuta e ad altri ammennicoli che riescono solo a confondere il fedele TG e non cancellano affatto la pecca che la WT, o Schiavo che sia, pur denominandosi "parte terrena del Canale di Geova" ha dato direttive e insegnato, come divine, cose che in seguito ha rigettato come false e demoniche. Questa nostra disamina di ciò che si stampa sulla TORRE ne è una prova eloquente.

A riguardo dell'infallibilità della chiesa (di cui quella pontificia è una partecipazione) è interessante notare come il geovismo cada in pacchiana contraddizione contestandola oggi, ma riconoscendola legittima e presente nell'opera di compilazione del Canone biblico (avvenuta in maniera ufficiale verso il 400 al Concilio Regionale cattolico di Cartagine e riconfermata tale e quale in modo solenne al Concilio di Trento). I TG infatti usano un libro sacro che è stato definito "Parola di Dio" dalla Chiesa Cattolica! Se si aggiunge che il geovismo ritiene che la Chiesa Cattolica a quel tempo era tutta dominata da Satana non si capisce proprio come mai Satana non abbia sviato le menti dei Vescovi conciliari facendo loro approvare come Scritture (il futuro unico volume chiamato Bibbia) degli scritti non ispirati!
Ulteriore incoerenza va accusata quando i TG, al seguito della riforma protestante di cui sono figli, hanno accettato la espunzione dalla Bibbia di 7 libri. Qui siamo alla schizofrenìa pura perché si è praticamente riconosciuta dapprima l'infallibilità alla Chiesa Cattolica nella scelta dei libri e poi, negatala a lei, la si è riconosciuta a Lutero per la decisione di accettare un Canone nuovo, ma senza ricordarsi Lutero non era e non ha mai sostenuto di essere infallibile in questa decisione! Occorre dirlo che, prima della sua ribellione, lui accettava pacificamene i... magnifici 7 come Parola di Dio?


5- AVER PREDICATO LA RIVELAZIONE DIVINA A TUTTI
Questo punto voglio trattarlo avendo davanti un foglio che i TG portano sempre con sé. E' intitolato "Roma e la Bibbia". In esso si sostiene che la Chiesa Cattolica avrebbe osteggiato la diffusione della Bibbia, sottraendo così la parola di Dio a tutti i figli di Adamo che, come creature di Dio, ne avevano diritto. Addirittura vi si sostiene che questo sarebbe avvenuto perché la Bibbia non contiene la dottrina che la Chiesa propaga, ma la condanna.
A parte il fatto che questo fogliolino denigratorio non è stato scritto ufficialmente dalla WT ma è di matrice protestante (diciamo del protestantesimo più retrivo, poiché oggi c'è una buona aliquota di confessioni protestanti in fraterno dialogo ecumenico con noi) e contiene anche accuse che i TG non farebbero mai poprie perché riguardano punti di dottrina che il geovismo non insegna (per es. si lamenta che solo il sacerdote beve il vino quando Gesù comandò "bevetene tutti")*.
Mi chiedo solamente: ma stanno o no rimproverando alla Chiesa il peccato di omissione di non aver diffuso la Bibbia? Allora vuole dire che riconoscono che era della Chiesa il compito di fare questa diffusione! Allora vuol dire che nel loro pensiero è lei la vera Chiesa di Cristo! Altrimenti perché rimproverarla? Se essa fosse una struttura asservita a Satana, osteggiando la Bibbia non avrebbe fatto altro che il suo mestiere!
Ma l'accusa merita di essere ritorta. Se invece fsi sostiene che non era lei la vera Chiesa, allora la domanda circa il dovere di diffondere la Bibbia al popolo va girata a quella struttura che pretende di essere la vera Chiesa. Ma la Congregazione geovista, che appunto lo pretende, può dire di aver fatto questo? Può dimostrare di aver diffuso la Bibbia nei secoli? E come, se abbiamo visto che essa brilla per la sua assenza per almeno 17 secoli, cioè dalla fine del primo secolo in cui sarebbe scoppiata la "grande apostasia" alla comparsa di Russell e della Congregazione praticamente nata nel 1879 insieme alla Torre di Guardia?
E anzi, è stata o no la Chiesa cattolica che, non appena l'impero Romano ha soppiantato quello di Alessandro Magno, ha fatto tradurre il Nuovo Testamento dalla koiné in cui è stato scritto (lingua greca parlata al tempo di Gesù insieme all'aramaico) nella nuova lingua latina diffusa dall'impero, con la versione della Vulgata commissionata a S. Girolamo da papa Damaso? E durante i secoli è stata o no lei a divulgare il vangelo con la predicazione, la scuola di religione e il catechismo? E per chi non sapeva leggere non ha forse illustrato gli episodi biblici nelle sue innumerevoli chiese con pitture e mosaici? (opera questa definita la Biblia pauperum)
Ma, passando all'epoca moderna, è vero o no che è stata la Chiesa Cattolica, con Papa Giovanni XXIII, a volere la Bibbia per ogni famiglia così che è nata la famosa Bibbia delle Paoline a 1000 lire verso il 1960, cioè 7 anni prima che la WT editasse la sua Traduzione del Nuovo Mondo delle Sacre Scritture in italiano?

Infine dovremmo anche chiederci: ma quanta gente sa leggere la Bibbia, anche tradotta in italiano, e capirla in tutto e per tutto? Anzi, quanta gente sapeva leggere semplicemente nei secoli passati visto che la scolarizzazione è avvenuta in tempi recenti e ad inizio 1900 c'era ancora una massa notevole di analfabeti? Non è evidente che la strada migliore per far conoscere la Parola di Dio era e resta per il popolo quella di predicarla? E questo la Chiesa non lo ha fatto fedelmente ogni domenica e feste comandate? Ogni cristiano di età adulta che non abbia dormicchiato la Domenica a Messa, conosce anche grazie alla sola predicazione (poi affiancata da giornali, riviste, Radio, Televisione, Internet) il pensiero di Dio necessario alla santificazione e alla salvezza. Lo conosce nella sua sostanza, anche se non sa i nomi dei libri biblici.
Conosce la dottrina, al punto (è stato il mio caso all'inizio) da percepire "a pelle" che il messaggio geovista non corrisponde in tutto e per tutto alla Bibbia. Questa percezione è stata la difesa della mia fede venticinque anni fa, e mi ha dato lo stimolo a dedicarmi allo studio del geovismo come catechista di adulti per aiutare i miei fratelli di fede e per dialogare confrontandomi con i TG.
In conclusione perciò posso dire che la prima difesa dei cattolici può poggiare sulla condizione tassativa che i TG, volendo dialogare con noi, usino solo la nostra versione della Bibbia. Il Cd dei TG del resto fa dire loro che sono lieti di usare qualsiasi versione biblica noi preferiamo (cf Ragioniamo pag. 402). ma mica è vero! Se infatti i TG sono costretti ad usare la nostra versione CEI della Bibbia si vedrà che i punti nevralgici della loro versione sui quali poggiano le loro deformazioni dottrinali nella versione cattolica sono tradotti diversamente. E quindi la loro "letizia" si trasformerà in tristezza, almeno momentaneamente. Diverrà però grande gioia quando realizzeranno di essere stati loro stessi depistati dalla verità biblica proprio grazie alla loro traduzione artefatta. Gioa perché ciò li avvierà verso gli "accertamenti bereani" che lo condurranno alla liberazione e alla conquista della vera verità biblica.
E' questo accertamento che ha fatto scrivere a Mons. Minuti (già professore di greco e presidente del GRIS nazionale) il libro "I Testimoni di Geova non hanno la Bibbia", Coletti a San Pietro).
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* Non può essere una lamentela geovista perché nel geovismo l'assumere il pane e il vino alla Commemorazione della morte di Cristo non è appannaggio di tutti, ma solo degli Unti rimanenti sulla terra.
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Seconda Lettura Gal 6,14-18
Fratelli, quanto a me invece non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo, per mezzo della quale il mondo per me è stato crocifisso, come io per il mondo.
Non è infatti la circoncisione che conta, né la non circoncisione, ma l’essere nuova creatura. E su quanti seguiranno questa norma sia pace e misericordia, come su tutto l’Israele di Dio.
D’ora innanzi nessuno mi procuri fastidi: io porto le stigmate di Gesù sul mio corpo.
La grazia del Signore nostro Gesù Cristo sia con il vostro spirito, fratelli. Amen.

"non ci sia altro vanto che nella croce... crocifisso": nella NM trovIamo, al solito «non avvenga mai che io mi vanti se non nel palo di tortura... messo al palo». A parte che rimane strana l'immagine di un mondo messo al palo, abbiamo già ricordato come il fondatore dei TG Russell venerasse la croce e che Rutherford, secondo presidente, disse di vantarsi della croce di Cristo e ha ritenuto e inseganto pertanto, per ben tre lustri, come verità trasmessa da Geova tramite il suo "Canale", che Cristo fosse stato crocifisso su una croce a due bracci, come la conosciamo da secoli.
E' solo verso il 1930 che (sempre Geova tramite il Canale?) lo avrebbe informato che la croce è un simbolo pagano scurrile che offende l'Altissimo e che la verità era che Gesù era stato martirizzato dai Romani appendendolo "ad un albero", tesi che durò breve tempo e che fu cambiata con quella tuttora vigente di una "croce" a forma di semplice palo verticale. Che (ohibò) - ma forse lo ignorava! - era un simbolo ancor più scurrile che la croce.
Nulla da dire se la cosa fosse trattata in base ad indagine storica. Le testimonianze storiche sulla croce tradizionale non temono smentita. Molta perplessità invece se si pretende che tale verità di una croce, prima normale e poi a forma di palo sia oggetto di fede trasmessa, sia prima che dopo, da Dio stesso.

"ma l'essere nuova creatura": fa riferimento, come sappiamo al battesimo, sostituivo della circoncisione, che dona l'adozione a figli di Dio e la partecipazione alla divina natura (vita divina) tramite la grazia. Tale pregnante valenza, ricavabile da una analisi accurata di S. Paolo e S. Giovanni, i primi grandi teologi della rivelazione donata da Gesù, viene offuscata dalla versione geovista che traduce «ma una nuova creazione [è qualcosa]» Espressione nebulosa che comunque insinua che non si alluda all'essere nuova creatura personalmente in forza del battesimo ma forse a una "nuova creazione" esterna (riferibile al Nuovo Mondo?).

"La grazia... sia con il vostro spirito": diventa nella NM «L'immeritata benignità del nostro Signore Gesù Cristo [sia] con lo spirito che voi [mostrate] fratelli». Qui la deformazione è grave. Abbiamo già denunciato l'arbitrio e la stranezza di rendere "grazia" (dono di Dio che dà la vita divina) con "immeritata benignità" (mero atteggiamento di benevolenza da parte di Dio). Ma qui c'è anche da chiedersi come mai l'immeritata benignità viene riferita ora come proveniente da Cristo il quale è esso stesso – come si legge in NM Giovanni 1, 14 - oggetto di immeritata benignità da parte di Geova?
E come mai la dizione "il vostro spirito" che fa riferimento stretto alla parte intima dell'essere umano, grazie alla quale esso si differenzia dalle bestie, viene cambiato in atteggiamento psicologico, sociale, in carica di entusiasmo e simili? Non c'è il fondato sospetto, con quella aggiunta di "mostrate" che non esiste nell'originale, di non far dire alla Bibbia ciò che dice? ovvero la sua allusione appunto allo spirito o anima dell'uomo distinto dal corpo che lo relaziona con l'esterno?



Vangelo Lc 10,1-12.17-20
In quel tempo, il Signore designò altri settantadue e li inviò a due a due davanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi.
Diceva loro: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe! Andate: ecco, vi mando come agnelli in mezzo a lupi; non portate borsa, né sacca, né sandali e non fermatevi a salutare nessuno lungo la strada.
In qualunque casa entriate, prima dite: “Pace a questa casa!”. Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà su di voi. Restate in quella casa, mangiando e bevendo di quello che hanno, perché chi lavora ha diritto alla sua ricompensa. Non passate da una casa all’altra.
Quando entrerete in una città e vi accoglieranno, mangiate quello che vi sarà offerto, guarite i malati che vi si trovano, e dite loro: “È vicino a voi il regno di Dio”. Ma quando entrerete in una città e non vi accoglieranno, uscite sulle sue piazze e dite: “Anche la polvere della vostra città, che si è attaccata ai nostri piedi, noi la scuotiamo contro di voi; sappiate però che il regno di Dio è vicino”. Io vi dico che, in quel giorno, Sòdoma sarà trattata meno duramente di quella città».
I settantadue tornarono pieni di gioia, dicendo: «Signore, anche i demòni si sottomettono a noi nel tuo nome». Egli disse loro: «Vedevo Satana cadere dal cielo come una folgore. Ecco, io vi ho dato il potere di camminare sopra serpenti e scorpioni e sopra tutta la potenza del nemico: nulla potrà danneggiarvi. Non rallegratevi però perché i demòni si sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi sono scritti nei cieli».

"Non passate da una casa all'altra": idem la NM «Non vi trasferite di casa in casa». Poi, non si sa come se si dice di obbedire alla Bibbia, la WT ha stabilito che i suoi predicatori vadano proprio "di casa in casa"!

"Io vi ho dato il potere". Già "io". Se Gesù non fosse altro che un uomo, avrebbe detto "Geova vi darà il potere di...". Siamo cioè di fronte a una "rapina della gloria che spetta a Geova o alla verità di ciò che Gesù asserì dicendo: "tutto ciò che ha il padre è mio"? Sì, tutto, compresa cioè la potenza, l'onniscienza, il potere creativo e quant'altro è, e non può non essere, esclusiva pertinenza della natura divina. Solo in tale "comproprietà o condominio" non sarebbe rapina da parte di Gesù dire che lui ha e perciò dona il potere di..., come anche quello di donare la grazia (la sua vita divina) di cui alla Lettura precedente.
«In patientia vestra possidebitis animas vestras»... aliorumque. (Lc 21,19)
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Sandro
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Re: "E venne un uomo..." Anno 2012-2013 Ciclo liturgico "C"

Messaggioda Sandro » ven lug 12, 2013 7:41 am

Domenica 14 Luglio 2013 - XV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (Anno C)



Prima Lettura Dt 30,10-14
«Obbedirai alla voce del Signore, tuo Dio, osservando i suoi comandi e i suoi decreti, scritti in questo libro della legge, e ti convertirai al Signore, tuo Dio, con tutto il cuore e con tutta l’anima.
Questo comando che oggi ti ordino non è troppo alto per te, né troppo lontano da te. Non è nel cielo, perché tu dica: “Chi salirà per noi in cielo, per prendercelo e farcelo udire, affinché possiamo eseguirlo?”. Non è di là dal mare, perché tu dica: “Chi attraverserà per noi il mare, per prendercelo e farcelo udire, affinché possiamo eseguirlo?”. Anzi, questa parola è molto vicina a te, è nella tua bocca e nel tuo cuore, perché tu la metta in pratica».

"...con tutto il cuore e con tutta l'anima": «con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima» (NM). Le parole non cambiano ma l'intendimento sì. Il geovismo insegna che "tu sei un'anima", ovvero, "la vostra anima siete voi". E intende dire che il concetto di "anima" comprende il tutto del composto umano. Ma, come si vede, qui l'autore sacro non sembra molto d'accordo giacché distingue il cuore dall'anima. E sappiamo che il cuore è per l'uomo biblico, come per noi oggi, il centro più intimo della personalità, la sede degli affetti, della volontà, dell'intelligenza. Viene cioè preso l'organo fisico come simbolo di ciò che fisico non è. In pratica si dice "cuore" senza intendere realmente quella sorta di... pompa aspirante-premente che è solo un organo del corpo. Allora è a dir poco una forzatura se la WT insegna che il concetto di anima comprende anche il fisico: il fisico è fatto di muscoli, ossa, nervi, sangue e organi. Se fosse vero che l'anima comprende tutto questo, l'autore sacro avrebbe detto "con tutta l'anima" senza aggiungere altro.
L'osservazione è confermata e avvalorata da Gesù che, nel Vangelo, illumina ulteriormente le... parti del composto umano elencando oltre il "cuore" e "l'anima", anche la "forza" e la "mente" quando, da bravo TG, avrebbe dovuto dire solo "con tutta l'anima". E non ti dico che rebus per il CD "semplificatore" quando troverà che S. Paolo, invece di chiamare il tutto "anima" dirà: "E tutta la vostra persona, spirito, anima e corpo, si conservi irreprensibile per la venuta del Signore nostro Gesù Cristo" (2 Tessalonicesi 5, 23 - CEI). Allora la NM del 1967, terrorizzata dalla netta distinzione che Paolo fa nel composto umano di uno spirito, di un'anima e di un corpo,* risolverà il problema aggiungendo al testo parole esplicative tra parentesi quadre, tramite le quali il concetto di corpo è riferito al gruppo (e si lascia alla spiegazione a voce che per spirito si deve intendere il morale); così che anima significherà appunto il tutto. Leggiamolo: «E lo spirito e l'anima e il corpo [composto] di voi [fratelli], sia conservato sano sotto ogni aspetto, in maniera irriprovevole, alla presenza del nostro Signore Gesù Cristo.»
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* Problema per noi inesistente perché, nella consapevolezza che Dio nella Bibbia non ci insegna nessuna delle discipline contemplate nel sapere universitario, e quindi neanche antropologia, non abbiamo alcuna difficoltà a non fissarci fondamentalisticamente su tali "riassunti sintetici" di come era concepito l'uomo nei tempi biblici. L'esegesi riscontra senza problemi che, quanto al concetto di anima, nella Bibbia (che è una biblioteca di libri scritti da vari autori e in epoche distanti di secoli fra loro) c'è stata una evoluzione che si è approssimata sempre più alla verità. E qui, in S. Paolo, che sembra anche acculturato dall'ellenismo, la nota della Bibbia di Gerusalemme avverte: "Spirito, anima e corpo, questa divisione tripartita dell'uomo è unica in Paolo, che d'altronde non presenta mai un' «antropologia» sistematica del tutto coerente. Oltre il corpo (Rm 7,24+) e l'anima (1Cor 15,44+), si vede qui apparire lo spirito, che può essere sia il principio divino della nuova vita in Cristo (Rm 5,5+), sia piuttosto la parte più elevata dell'uomo, anch'essa aperta all'influsso dello Spirito (Rm 1,9+)."



Seconda Lettura Col 1,15-20
Cristo Gesù è immagine del Dio invisibile,
primogenito di tutta la creazione,
perché in lui furono create tutte le cose
nei cieli e sulla terra,
quelle visibili e quelle invisibili:
Troni, Dominazioni,
Principati e Potenze.
Tutte le cose sono state create
per mezzo di lui e in vista di lui.
Egli è prima di tutte le cose
e tutte in lui sussistono.

Egli è anche il capo del corpo, della Chiesa.
Egli è principio,
primogenito di quelli che risorgono dai morti,
perché sia lui ad avere il primato su tutte le cose.
È piaciuto infatti a Dio
che abiti in lui tutta la pienezza
e che per mezzo di lui e in vista di lui
siano riconciliate tutte le cose,
avendo pacificato con il sangue della sua croce
sia le cose che stanno sulla terra,
sia quelle che stanno nei cieli.


"Cristo Gesù è immagine del Dio invisibile". Questo testo, insieme a "Filippo chi vede me vede il Padre" non permette in realtà, guardando Cristo, di "vedere" davvero Dio che è e resta "invisibile" agli occhi umani. Ma dice che Gesù ne costituisce il referente, la manifestazione esegetica (Cf Giovanni 1,18), il rimando più pregnante e significativo possibile. Dio, cioè, ci insegna la Bibbia, ha voluto adeguarsi alla nostra situazione umana spazio-temporale, fatta di corpo e di sensi. Nel suo Figlio incarnato, in tutto ciò che Gesù è - Persona divina e umanità fatta di corpo e spirito, nelle sue parole e nel suo gestire, nel suo essere santo e immacolato, nel suo donarsi per la salvezza dell'umanità ecc.. - Dio ci offre una comprensione di Sé che non ha l'eguale in nessun altro simbolo che rimandi alla divinità.
La nostra Chiesa, come anche le grandi Chiese storiche dell'ortodossia e del protestantesimo, hanno visto, in questo essere Gesù icona del Padre, la coonestazione dell'uso di immagini e statue nel culto. Del resto anche nell'AT, in cui troviamo la severissima proibizione delle immagini da parte di Dio, ci accorgiamo che il divieto era relativo al pericolo di concepire l'immagine (dipinto o statua che fosse) come un idolo, un oggetto in cui si credeva superstiziosamente che la divinità si rendesse presente con la sua potenza. E, di conseguenza, il possesso di idoli diventava la presunzione di poter gestire in proprio il potere divino. Qualora però questo pericoloso equivoco fosse sfatato, non c'era alcun problema al fare delle immagini collegate con il culto. Così fu il caso delle figure di cherubini poste come ornamento all'interno del tempio e sul coperchio dell'arca. Così fu il caso del serpente di bronzo al quale ci si doveva rivolgere per ottenere salvezza dal morso dei serpenti. Serpente che, appunto, Dio stesso aveva comandato a Mosè di scolpire a tal fine, e che comandò di farlo a pezzi non appena il popolo, alla lunga, aveva cominciato a trattarlo da idolo, come se fosse depositario di un potere proprio.
Ebbene la WT, nella sua NM, ammette che Gesù «è l'immagine dell'invisibile Iddio» ma fa una guerra spietata alle immagini riesumando un'iconoclastia ormai, anacronistica, il cui equivoco è stato risolto da secoli.* Stranamente però la stessa WT riempie le sue riviste di immagini che riproducono episodi biblici. In pratica fa, sulla carta, ciò che le varie Chiese hanno fatto da sempre sulle pareti dei templi. Questo ornare la casa del Signore con immagini e statue ha da sempre avuto, oltre una funzione ornamentale, anche e soprattutto quella catechistica. Le pitture furono definite la "Biblia pauperum", Bibbia dei poveri, intendendo per poveri gli analfabeti a cui veniva spiegato il significato delle illustrazioni bibliche e dei personaggi che rappresentavano.
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* Ad essere precisi sembra che si faccia eccezione per immagini paesaggistiche (che abbiamo visto presenti sulle pareti della Betel di Roma) ma la proibizione è tanto insistita che il TG va in fibrillazione per ogni tipo di immagine. Così che uno dei primi effetti della "catechizzazione" della fede geovista è quello di indurre l'adepto a sbarazzarsi di tutte le immagini sacre appese alle pareti. Detto comando però è in parte soggetto alla discrezione degli Anziani (e qui parlo di esperienze personali) giacché si è deciso per es. di non costringere un adepto ad "oscurare" l'immagine di Dio Padre sulla copertina di una sua Bibbia illustrata dal Dorè; mentre ci è stato riferito che un Anziano abbia fatto cambiare le scarpe ad una "sorella" perché erano ornate da un cammeo.
Insomma se si prende un numero della TORRE che parla del Natale e si vede riprodotta la scena della natività va tutto bene. Se invece la si ritaglia e se ne fa un quadruccio per adornare la stanza dei bambini allora è proibito perché diventa "idolatria".



"primogenito di tutta la creazione": il testo è identico nella NM ma viene inteso in modo molto differente. E la diversità è apparsa talmente essenziale alla WT da spingerla ad alterare il testo sacro, dal v.16 al 20, aggiungendovi un aggettivo di pretesa spiegazione che invece ne cambia radicalmente il senso: l'aggettivo "altre", ma andiamo con ordine.
Il primo errore semantico da parte della WT è quello di identificare (volutamente?) il concetto di "generazione" con quello di "creazione". Nella espressione "primogenito di tutta la creazione" lei intende che il Figlio di Dio - e si sta parlando del Gesù preumano nei cieli, poi identificato con Michele arcangelo! - sarebbe stato la prima (e poi si aggiungerà "unica") creazione di Dio. Invece sia quel "tutta" che precede immediatamente "la creazione" sia, subito dopo, il fatto che il testo attribuisca al Figlio la creazione di tutte le cose, fa capire inequivocabilmente che egli precede la creazione, è fuori di essa, e quindi non è creato. Ed è questo dunque il senso preciso che si deve intendere. Ecco perché noi cattolici, nel nostro Credo, diciamo che il Figlio è "generato, non creato". Questo significato di "primogenito" - che traduce benissimo l'originale greco protòtokos, indica specificamente generazione e viene applicato solo al Figlio che viene distinto e separato da tutta la realtà per la quale si usa la qualifica di creazione. L'attuale espressione della Bibbia CEI che dice "primogenito di tutta la creazione" è sì identica nella forma a quella della NM, ma il senso – meglio espresso nella versione CEI del 1974 che traduceva "generato prima di ogni creatura" – è profondamente diverso da come lo intende il geovismo. La versione CEI del 2008 cioè, mantiene inalterato il senso espresso nella precedente del 1974 e collimante con il Credo.
E ora si va sul grave poiché a questo punto la WT passa dalla diversità interpretativa (sulla quale si deve supporre la buona fede) a quella della deformazione traduttiva che è manipolatoria dello stesso testo biblico, piegandolo a servire la sua veduta del Figlio di Dio ridotto a creatura. Vediamo in che modo...

"perché in lui furono create tutte le cose nei cieli e sulla terra...": dal v 16 al 20 troviamo per cinque volte significata la creazione con l'espressione greca ta panta, un aggettivo neutro che collegato all'articolo diviene sostantivato e significa "il tutto" o "tutte le cose". La versione CEI lo traduce correttamente e sempre "tutte le cose" nella consapevolezza che questo, in coerenza del fatto che il Figlio non fu creato ma generato, indichi come il Figlio di Dio sia escluso da tutte le cose create.
Invece la WT, dal momento che è visceralmente avversa alla Trinità e concepisce il Figlio di Dio come creatura, nella sua versione NM indica questa sua convinzione aggiungendo costantemente l'aggettivo "altre" davanti a "cose". Così che nella NM tutto il brano è reso così: «16 perché per mezzo di lui tutte le [altre] cose furono create nei cieli e sulla terra, le cose visibili e le cose invisibili, siano troni o signorie o governi o autorità. Tutte le [altre] cose sono state create per mezzo di lui e per lui. 17 Ed egli è prima di tutte le [altre] cose e per mezzo di lui tutte le [altre] cose furon fatte esistere. (...) 20 e per mezzo di lui di riconciliare a sé tutte le [altre] cose....».
Come si vede quell'aggettivo "altre" deve essere molto importante se viene insistito per ben cinque volte. Quale ne è lo scopo? E' forse quello di rendere anche il Figlio una "cosa creata", la prima tra tutte, quella che precede "tutte le altre cose"? * Sì, ce lo dichiara espressamente la stessa WT nel manuale di istruzione biblica che essa riserva ai suoi proclamatori intitolato "Ragioniamo facendo uso delle Scritture" ove, a pag. 406, si legge: "... «Viene così indicato [intendi: così, con l'aggiunta di "altre" - Ndr] che anch'egli è un essere creato, parte della creazione di Dio.»
Data l'estrema gravità-importanza di questa pagina dobbiamo rilevare qui e contestare anche i tentativi-pretesti della WT di giustificare quella sua aggiunta deformante. Sono manovre che ben difficilmente potrebbero essere scusate dalla buona fede.
Nella stessa pagina citata di Ragioniamo troviamo che la WT:
1)- dice di aver tradotto aggiungendo altre «in armonia con tutto ciò che la Bibbia dice riguardo al Figlio», quando sa perfettamente che tutta la cristianità, da sempre e senza alcuna contestazione, proprio da tutto ciò che di sovrumano Gesù ha detto e fatto (dichiarazioni su sé e il Padre, miracoli e profezie) ha ricavato il senso forte della sua connaturalità divina con il Padre;
2)- addita tre diversi passi della Bibbia (Luca 13,2; Luca 21,29; Filippesi 2,21) in cui versioni di Autori non geovisti hanno tradotto panta aggiungendovi l'aggettivo altri/e non presente nell'originale e non hanno ricevuto contestazioni, quando sa perfettamente che si tratta di situazioni non analoghe e nelle quali l'aggiunta è solo funzionale alla scorrevolezza della versione ma non tale da cambiare il senso;**
3)- poi è accaduto che nei dialoghi a voce qualche TG, tra i più navigati come qualche dirigente della Betel di Roma, ha cercato di giustificare la manovra notando che "altre" nella versione NM è posto tra parentesi quadre, il che fa capire "onestamente" al lettore che la WT non pretende che lo "altre" sia parola ispirata contenuta nell'originale ma sia appunto una delle tante parole, aggiunte al sacro testo dai traduttori della NM, ma tra parentesi quadre; parole che (come è scritto a pag. 7 della NMrif) avrebbero la semplice funzione di «completare il senso del testo italiano». Ma la scusa non regge perché si dà il caso che la ricerca ha rivelato due fatti di estrema gravità che la smentiscono: a) Se si va a consultare la NW (New World) cioè la prima versione inglese statunitense, da cui è derivata poi la versione della NM italiana e le altre nelle lingue europee, si nota l'inserimento di other senza parentesi quadre! Non viene da pensare che la WT, trasferendo quella versione sotto gli occhi di una cristianità più adusa agli studi biblici, si preoccupasse che quell'aggiunta, se messa senza parentesi quadre, sarebbe stata notata e denunciata come deformante? b) Quando questo passo di Colossesi viene citato nelle pubblicazioni della WT (si badi bene, non a senso ma di peso, virgolettato!) l'aggettivo altre perde sistematicamente le parentesi! Illudendo così l'ignaro lettore che sia proprio il testo sacro, nella sua integralità, ad insegnare che il Figlio di Dio è una tra le cose create.
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* Come ho accennato, il geovismo insegna anche che il Figlio-Michele sarebbe l'unica diretta creazione di Dio, giacché Geova, una volta creato lui, avrebbe poi incaricato il Figlio di fare il resto della creazione. Ma qui la WT incappa in una enormità teologica perché non si rende conto che per creare occorre l'onnipotenza che essa non riconosce come qualità propria alla persona del Figlio, ma la ritiene delegabile da Dio a una creatura. Se però si dà una cosa certa su Dio è che il possesso e l'esercizio dell'onnipotenza, che è una delle Sue prerogative di Creatore, insieme alla eternità, onniscienza etc..., Dio ce l'ha in esclusiva perché può "risiedere" e "scaturire" solo dalla natura divina! La nostra fede assicura che se un santo "fa" un miracolo, è sempre Dio a farlo, il santo fa solo da intercessore che richiede e supplica. Ed è proprio la rivendicazione di Gesù di fare i miracoli di persona, come anche di perdonare i peccati, di dirsi "padrone del sabato" ecc..., che pone il dilemma da cui scaturisce la fede nella sua divinità. Infatti non si dà alternativa: o lui è davvero Dio in persona oppure compie quella "rapina" della gloria che spetta al Padre e che la Bibbia assicura che Gesù non ha mai usurpato.

** Sono i passi ove: a) vengono confrontati i Galilei che perirono al crollo della torre di Siloe con "tutti gli altri" Galilei che invece scamparono (Luca 13,2) ; la pianta del fico rispetto a "tutti gli altri" alberi (Luca 21,29); il comportamento collaborativo del discepolo Timoteo rispetto a quello di "tutti gli altri" discepoli che pensavano ai loro affari. Tutte situazioni che, come è ovvio, confrontano tra loro realtà omogenee e perciò l'aggiunta di "altre" non è una aggiunta deformante il senso, ma semplicemente esplicativa del raffronto. In Colossesi invece si pretende di far diventare il Figlio una "cosa"!
Ma la prova più convincente che la stessa WT sia persuasa che questi tre paragoni non siano analoghi alla situazione espressa in Colossesi è data dal fatto che nella NM essi sono tradotti con l'aggiunta dell'aggettivo altre/i stampato senza parentesi quadre! Ma se in Colossesi il panta avesse «lo stesso significato» anche in Colossesi lo "altre" sarebbe stato aggiunto tranquillamente senza parentesi quadre! E' dunque proprio la presenza delle parentesi quadre in Colossesi che dimostra come nella coscienza del CD, che ha commissionato e supervisionato la versione della NM, la situazione non è affatto analoga ai tre passi citati a scusante. Non si sfugge al verdetto della analisi critica (che è stata svolta dettagliatamente alle pagg. 26-35 del libro di Mons. MINUTI "I testimoni di Geova non hanno la Bibbia", Coletti a San Pietro, Roma 1997) quella aggiunta cambia il senso che la Bibbia vuole comunicare al lettore: l'estraneità del Figlio rispetto ad ogni realtà creata e la sua concausalità con il Padre alla di lei creazione.



"con il sangue della sua croce": la NM rende «mediante il sangue [che egli sparse] sul palo di tortura.» La notevole diversità di versione di questa riga - a parte la solita concezione deformante di "palo" che presso i TG dagli anni '30 sostituisce "croce" - è preziosa in questo contesto perché ci permette di notare come i nostri rilievi critici, appena fatti al testo di Colossesi, non sono basati meccanicamente sulla denuncia di una diversità esteriore, di forma, nella versione NM, ma di senso. Infatti la resa geovista di questo ultimo particolare, sottolineando che non si tratta effettivamente di sangue della croce ma del corpo di Gesù crocifisso, mostra che l'espressione "sangue della croce" è grammaticalmente una sineddoche (figura retorica che indica una parte per il tutto) usata da S. Paolo per indicare appunto l'insieme di croce e Crocifisso.
Ovvero: ciò che noi dobbiamo esigere da una versione è che ci dia il senso inteso dall'agiografo e da Dio che si serve di esso e della sua lingua come uno strumento da valutare con intelligenza, senza lasciarsi imbrigliare da un letteralismo di parole che porterebbe al fondamentalismo. Quindi nulla da criticare circa la diversità espressiva usata dalla NM in quest'ultima riga. Essa è accettabile nonostante la grande diversità della forma e nonostante perfino (attenzione!) la presenza delle parole "che egli sparse" aggiunte tra parentesi quadre al testo. Colossesi è un'altra cosa!



Vangelo Lc 10,25-37
In quel tempo, un dottore della Legge si alzò per mettere alla prova Gesù e chiese: «Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?». Gesù gli disse: «Che cosa sta scritto nella Legge? Come leggi?». Costui rispose: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il tuo prossimo come te stesso». Gli disse: «Hai risposto bene; fa’ questo e vivrai».
Ma quello, volendo giustificarsi, disse a Gesù: «E chi è mio prossimo?». Gesù riprese: «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gèrico e cadde nelle mani dei briganti, che gli portarono via tutto, lo percossero a sangue e se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e, quando lo vide, passò oltre. Anche un levìta, giunto in quel luogo, vide e passò oltre. Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto, vide e ne ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi lo caricò sulla sua cavalcatura, lo portò in un albergo e si prese cura di lui. Il giorno seguente, tirò fuori due denari e li diede all’albergatore, dicendo: “Abbi cura di lui; ciò che spenderai in più, te lo pagherò al mio ritorno”. Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?». Quello rispose: «Chi ha avuto compassione di lui». Gesù gli disse: «Va’ e anche tu fa’ così».

Su cuore anima forza e mente abbiamo già detto commentando la prima Lettura. Vediamo cosa insegna ora Gesù circa il concetto di "prossimo".

"E chi è il mio prossimo? ... Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?... và e anche tu fa' così".
A ben vedere Gesù non ha risposto alla domanda del dottore della Legge che chiedeva: "chi è il mio prossimo?" L'ha cambiata, perché ha risposto alla domanda: "come posso rendermi prossimo degli altri?", domanda che il "dottore della Legge" non aveva formulato. Gesù cioè ha colto e accolto nel quesito l'idea di "prossimità" tra le persone come un valore unitivo che condanna l'indifferenza e l'esclusione, ma non ha voluto limitarla ad una categoria di persone, come il richiedente immaginava che avrebbe dovuto essere. Gesù ha allargato a tutta l'umanità - e proprio facendo leva sull'esempio di altruismo dato da un Samaritano, un nemico disprezzato dagli Israeliti - il concetto di prossimità collegandolo all'atteggiamento interno di amore universale. In conclusione egli ha detto che essere prossimi dipende da se stessi e che quindi il prossimo consiste in qualunque essere umano che sia nel bisogno, indipendentemente dalla nazionalità, sesso, lingua, religione o altro...
Qui purtroppo si deve notare che i TG sono invece indottrinati a considerare prossimo, ovvero a farsi prossimi, quasi esclusivamente, dei propri confratelli di fede. Nelle riviste si accenna ogni tanto ai soccorsi organizzati in occasione di calamità naturali. E si calca sempre l'accento su questa solidarietà reciproca e prevalente tra fratelli di fede. Solo in casi di grosse calamità (terremoti, uragani, inondazioni ecc.) dopo aver pensato a "coloro che hanno comunanza con noi nella fede" i TG si allargano a soccorrere anche "quelli del mondo", se ovviamente gli aiuti portati sono sovrabbondanti. Ma sembra, e si spera, che questo atteggiamento stia aprendosi lentamente ad una forma di CARITAS più simile a quella, davvero non propagandistica, non discriminante e disinteressata, in uso da secoli nelle CARITAS della "cristianità". Preghiamo perché questo avvenga "presto"; un presto non dilazionabile indefinitamente come quello della fine annunciato dalla WT.
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Re: "E venne un uomo..." Anno 2012-2013 Ciclo liturgico "C"

Messaggioda Sandro » ven lug 19, 2013 8:57 pm

Domenica 21 luglio 2013 - XVI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (Anno C)



Prima Lettura Gen 18,1-10a
In quei giorni, il Signore apparve ad Abramo alle Querce di Mamre, mentre egli sedeva all’ingresso della tenda nell’ora più calda del giorno.
Egli alzò gli occhi e vide che tre uomini stavano in piedi presso di lui. Appena li vide, corse loro incontro dall’ingresso della tenda e si prostrò fino a terra, dicendo: «Mio signore, se ho trovato grazia ai tuoi occhi, non passare oltre senza fermarti dal tuo servo. Si vada a prendere un po’ d’acqua, lavatevi i piedi e accomodatevi sotto l’albero. Andrò a prendere un boccone di pane e ristoratevi; dopo potrete proseguire, perché è ben per questo che voi siete passati dal vostro servo». Quelli dissero: «Fa’ pure come hai detto».
Allora Abramo andò in fretta nella tenda, da Sara, e disse: «Presto, tre sea di fior di farina, impastala e fanne focacce». All’armento corse lui stesso, Abramo; prese un vitello tenero e buono e lo diede al servo, che si affrettò a prepararlo. Prese panna e latte fresco insieme con il vitello, che aveva preparato, e li porse loro. Così, mentre egli stava in piedi presso di loro sotto l’albero, quelli mangiarono.
Poi gli dissero: «Dov’è Sara, tua moglie?». Rispose: «È là nella tenda». Riprese: «Tornerò da te fra un anno a questa data e allora Sara, tua moglie, avrà un figlio».

“Mio signore”: la CEI non usa in questo passo “Signore” con la maiuscola perché non risulta che Abramo avesse percezione di trovarsi davanti a Dio. Tale percezione verrà più avanti e la troviamo espressa al v. 25 quando Abramo qualifica il suo interlocutore “il giudice di tutta la terra” e al 27 quando dirà “vedi come ardisco di parlare al mio Signore”. Oltretutto la convinzione che Dio fosse invisibile e che, se si rendeva visibile, il contemplarlo in volto faceva morire l’uomo, non avrebbe permesso ad Abramo di comportarsi con tanta disinvoltura sin dall'inizio. In effetti il suo fu il comportamento normale che gli Ebrei usavano in relazione alla ospitalità. Tra l'altro i personaggi che aveva davanti erano tre ed è normale che a tutta prima fossero scambiati per viaggiatori.
Invece la WT ha tanto desiderio di trasformare tutti i "Signore" che incontra con "Geova" che traduce senza pensarci “Geova” anche questo punto, dimenticando perfino che nell’originale qui non c'è il Tetragramma ma c’è Adonay e che Adonay significa “Signore mio”, quindi semmai avrebbe dovuto tradurre “Geova mio”. Altra incongruenza nella NM del 1967 sta nel fatto che mentre nel testo l’interlocutore di Abramo è qualificato tout-court “Geova”, a capo pagina troviamo stampato “Angeli visitano Abramo”. Ma trattare un Angelo come va trattato Geova è idolatria presso i TG!

“tre sea di fior di farina” la NM ha “tre misure di sea di fior di farina”; la CEI del 1974 “tre staia di fior di farina”. Non sarà per caso che qualche esegeta della WT si è infiltrato tra i traduttori della CEI?



Seconda Lettura Col 1,24-28
Fratelli, io sono lieto nelle sofferenze che sopporto per voi e do compimento a ciò che, dei patimenti di Cristo, manca nella mia carne, a favore del suo corpo che è la Chiesa.
Di essa sono diventato ministro, secondo la missione affidatami da Dio verso di voi di portare a compimento la parola di Dio, il mistero nascosto da secoli e da generazioni, ma ora manifestato ai suoi santi.
A loro Dio volle far conoscere la gloriosa ricchezza di questo mistero in mezzo alle genti: Cristo in voi, speranza della gloria. È lui infatti che noi annunciamo, ammonendo ogni uomo e istruendo ciascuno con ogni sapienza, per rendere ogni uomo perfetto in Cristo.

“a ciò che, dei patimenti di Cristo, manca nella mia carne”: versione migliore di quella del 1974 che diceva “completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo”, Ancora più problematicamente la TOB (Traduzione Ecumenica della Bibbia) aveva tradotto “e ciò che manca alle sofferenze di Cristo, io lo completo nella mia carne”, modo praticamente identico a quello della WT che rende «ciò che manca alle tribolazioni del Cristo, io lo compio nella mia carne». Ma erano versioni che davano adito a pensare che i patimenti di Cristo non fossero sufficienti alla redenzione. Invece con questa versione del 2008, non stiracchiata ma molto lineare, si dice che i patimenti di Cristo che ancora devono essere sopportati non sono quelli del Redentore - di cui, come canta S. Tommaso d’Aquino, "una sola stilla di sangue basta a redimere ogni scelleratezza del mondo" – ma sono delle membra del suo Corpo mistico. In questo caso sono le membra di Paolo che, come tutti i Cristiani, sa di dover percorrere la via della croce per entrare nella gloria.


Vangelo Lc 10,38-42
In quel tempo, mentre erano in cammino, Gesù entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo ospitò.
Ella aveva una sorella, di nome Maria, la quale, seduta ai piedi del Signore, ascoltava la sua parola. Marta invece era distolta per i molti servizi.
Allora si fece avanti e disse: «Signore, non t’importa nulla che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti». Ma il Signore le rispose: «Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una cosa sola c’è bisogno. Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta».

Su questo episodio la nostra Chiesa ha distinto quella che poi sarà chiamata vita attiva (veduta nell'atteggiamento di Marta) e contemplativa (rappresentata dall'atteggiamento di Maria). E' ovvio che ci sono caratteri più inclini all'una forma e caratteri più inclini all'altra. E si è anche molto discusso (e si continua e continuerà fino alla fine del mondo) nel calcare sia l'utilità dell'una che dell'altra. L'errore è quello di voler far primeggiare l'una sull'altra, quando Gesù certamente vuole che siano armonizzate. E' sicuro infatti che né lui né gli Apostoli sarebbero stati contenti se, dopo la sentenza di Gesù, anche Marta avesse incrociato le braccia e li avesse lasciati digiuni! Il discorso di Gesù quindi si riferiva ad una eccellenza di principio, quella che spetta a ciò che più direttamente è collegato con il fine ultimo dell'uomo; fine che – come è indubbio! – è la contemplazione beatifica in cielo. E' una distinzione analoga a quella della verginità sul matrimonio, per cui la prima è da ritenersi condizione più eccellente (tra l'altro scelta da Gesù stesso e in seguito anche dai discepoli e dalla Chiesa latina).
Si tratta di dirimere con intelligenza il rebus, non opponendo ma armonizzando la complementarietà. Ed è uno dei casi che fanno risaltare l'importanza del criterio, dell'uso logico della ragione, per non cadere in forme di fondamentalismo assurde. Se tutti ci dessimo alla contemplazione è ovvio che si morrebbe ben presto di fame e si verrebbe meno al comando morale (che è sicuramente comandato da Dio) del compimento dei doveri del proprio stato. Del resto anche nel buddismo (in cui il distacco da tutto è molto marcato) abbiamo che non tutti i buddisti sono monaci e i monaci sanno benissimo che la loro sopravvivenza dipende da chi, nel mondo secolare, produce il mantello, la ciotola e il cibo che viene loro donato. Quindi la sintesi giusta è quella che già da secoli aveva suggerito Santa Maddalena Sofia Barat, fondatrice della Dame della Carità, alle sue discepole dicendo: " La nostra vocazione è quella di Marta fusa con quella di Maria".
Personalmente penso che Gesù voleva indicarci di procedere come... la vespa. La vespa (almeno quelle di una volta) ha il motore da una parte che con il suo peso la fa inclinare, così che per stare in equilibrio il conducente deve procedere equilibrandola pendendo un po' dalla parte opposta. Chi si ostinasse a farla camminare diritta cadrebbe dalla parte che pende. Così è della natura umana: siamo tutti portati istintivamente a progettare, fare, produrre. la contemplazione non ci è congeniale, richiede applicazione e sforzo. Gesù lo sapeva e allora ha sottolineato l'importanza di ciò che non va assolutamente trascurato. E la Chiesa è d'accordo con lui se ha approvato gli ordini religiosi, definiti anche come "stati di perfezione", perché, appunto, hanno una parte preponderante della loro attività dedicata alla preghiera, alla meditazione e alla contemplazione. Cose che, in una visuale di fede, sono poi una forma attivissima ed efficace per produrre gli effetti, in quanto muovono con la supplica il "dito di Dio" affinché con la sua grazia solleciti i cuori e le menti di chi Lui sa. Così insomma l'insieme funziona. In pratica abbiamo, nella vita dello spirito e nella fede, una situazione analoga a quella che c'è nella vita civile ove c'è una netta distinzione tra capacità inventiva (scienziati, progettisti, tecnologi ecc...), esecutori di quanto viene indicato, e fruitori del tutto. Ma resta inteso che ogni mestiere ha la stessa dignità di un altro, per quanto oggettivamente sia da classificare più appartenente alla sfera del fare che dell'ideare.
Insomma il tema si presta a mille distinzioni e puntualizzazioni. Ho messo giù qualche riflessione di getto. Ben vengano tutti i distinguo di chi vuole.
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Re: "E venne un uomo..." Anno 2012-2013 Ciclo liturgico "C"

Messaggioda Sandro » mar lug 23, 2013 5:01 pm

Domenica 28 Luglio 2013 - XVII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (Anno C)



Prima Lettura Gen 18,20-32
In quei giorni, disse il Signore: «Il grido di Sòdoma e Gomorra è troppo grande e il loro peccato è molto grave. Voglio scendere a vedere se proprio hanno fatto tutto il male di cui è giunto il grido fino a me; lo voglio sapere!».
Quegli uomini partirono di là e andarono verso Sòdoma, mentre Abramo stava ancora alla presenza del Signore.
Abramo gli si avvicinò e gli disse: «Davvero sterminerai il giusto con l’empio? Forse vi sono cinquanta giusti nella città: davvero li vuoi sopprimere? E non perdonerai a quel luogo per riguardo ai cinquanta giusti che vi si trovano? Lontano da te il far morire il giusto con l’empio, così che il giusto sia trattato come l’empio; lontano da te! Forse il giudice di tutta la terra non praticherà la giustizia?». Rispose il Signore: «Se a Sòdoma troverò cinquanta giusti nell’ambito della città, per riguardo a loro perdonerò a tutto quel luogo».
Abramo riprese e disse: «Vedi come ardisco parlare al mio Signore, io che sono polvere e cenere: forse ai cinquanta giusti ne mancheranno cinque; per questi cinque distruggerai tutta la città?». Rispose: «Non la distruggerò, se ve ne troverò quarantacinque».
Abramo riprese ancora a parlargli e disse: «Forse là se ne troveranno quaranta». Rispose: «Non lo farò, per riguardo a quei quaranta». Riprese: «Non si adiri il mio Signore, se parlo ancora: forse là se ne troveranno trenta». Rispose: «Non lo farò, se ve ne troverò trenta». Riprese: «Vedi come ardisco parlare al mio Signore! Forse là se ne troveranno venti». Rispose: «Non la distruggerò per riguardo a quei venti». Riprese: «Non si adiri il mio Signore, se parlo ancora una volta sola: forse là se ne troveranno dieci». Rispose: «Non la distruggerò per riguardo a quei dieci».

“Voglio scendere a vedere se… di cui è giunto il grido fino a me; lo voglio sapere!”: Per noi queste espressioni sono puro antropomorfismo, ovvero un modo di far agire Dio alla maniera umana, che ovviamente non corrisponde alla realtà delle cose data la onnipresenza e onniscienza di Dio e la sua attività persistente di Creatore con la quale tiene in essere ogni cosa. Dio non è ad immagine dell’uomo.
Per il geovismo invece sono cose prese alla lettera, perché esso insegna che Geova "non è onnipresente", che ha “un cervello e un corpo di forma ben definita” e che per percepire la realtà utilizza “organi di senso”. Senza contare che non gli è squadernato costantemente tutto il futuro dell’uomo ma solo una selezione di esso, quella sulla quale egli ha deciso di indagare. E per tale indagine egli deve “esaminare tutte le possibili variabili” del comportamento umano, studiandone i pensieri, il carattere, le emozioni, i progetti, le azioni ecc. E siccome lui non è onnipresente, per avere tali informazioni utilizza lo “spirito santo”, la sua “forza attiva”, che nel caso si comporta come un investigatore mandato che osserva, registra e riferisce.
Non sono differenze di poco conto. Noi crediamo che su questo concetto della personalità di Dio si basi tutta la diversità demolitoria del geovismo rispetto al cattolicesimo e tutta la strana esegesi e teologia biblica che il geovismo insegna. Quindi tutto il problema è di accertarsi se davvero la Bibbia comunica tale idea di Dio o no. Ed è una indagine che deve armonizzarsi con la ragione non potendo nessuna rivelazione - se è realmente divina! - esigere che si credano cose assurde, che sono intrinsecamente contraddittorie. Quanti cattolici “culturalmente indifesi” hanno fatto tale accertamento prima di ripudiare la propria fede per abbracciare quella dei TG? La riflessione che segue immediatamente coglierà una delle enormi differenze tra il criterio di giustizia che la WT attribuisce a Geova e quello, insegnato da sempre sia nel cattolicesimo che in tutta la cristianità, che noi attribuiamo a Dio…

“Davvero sterminerai il giusto con l’empio?... Lontano da te il far morire il giusto con l’empio, così che il giusto sia trattato come l’empio; lontano da te! Forse il giudice di tutta la terra non praticherà la giustizia?”: la NM non traduce diversamente ma interpreta (cioè capisce e spiega) diversissimamente tale passo biblico ai suoi fedeli. A nostro modo di vedere per Abramo – e ci pare di capirlo con evidenza – non basta, come ritiene il geovismo e una buona fetta di protestantesimo, che Dio decida di fare una cosa perché quella cosa sia da classificarsi automaticamente “giusta”. Deve essere al contrario! Cioè Dio, se fa o decide di fare una cosa, la fa perché è giusta! Ma allora l’idea, il criterio valoriale, circa il bene e il male di una azione, di ciò che è giusto o ingiusto fare, non deriva ultimamente dalla Bibbia, cioè da una rivelazione di Dio. Deriva bensì dalla ragione, dalla retta coscienza. E’ in base ad essa che Abramo ha schedato il proposito di Dio, di accomunare nella distruzione innocenti e peccatori, come ingiusto.* Occorre forse ricordarlo che tanti "giusti" e "ingiusti" dell' AT, come nei popoli ancora digiuni di rivelazione, sono classificati come tali solo in base alla loro valutazione morale di coscienza?
Inoltre qui va notato come la WT non abbia imparato da Abramo (e da Dio che ne confermava la ragionevolezza rinunciando al rigore intransigente) tale criterio di giustizia che esige la distinzione tra innocente e colpevole, tra giusto e peccatore, perché scrive tranquillamente che Geova, ad Armaghedon, “non lascerà né radice né ramo”; ovvero sterminerà (e si precisa “giustamente”!) insieme alle “radici” (i genitori malvagi) anche i rami (i figli innocenti incapaci di intendere e di volere). E’ proprio il caso di leggerlo:

«Col tempo tutti i nemici della giustizia, insieme ai loro sostenitori, "devono divenire come la stoppia". Il Giorno di Geova arderà fra loro come una fornace. "Non lascerà né radice né ramo.In quel giorno della resa dei conti, i bambini, o rami, saranno giustamente trattati in base alla valutazione che Dio avrà fatto delle loro radici, i genitori, che sono responsabili dei figli. I genitori malvagi non avranno discendenti che ne perpetuino le vie malvage.» (TOR, 22/4/1995 p. 22).
Così pure: «Le forze esecutive di Dio colpiranno senza badare a età o sesso, poiché Dio avrà detto loro di non avere pietà: "Colpite. Il vostro occhio non commiseri, e non provate nessuna compassione. Dovreste uccidere vecchio, giovane e vergine e fanciulletto e donne, fino alla rovina".- Ezechiele 9:5,6; Zaccaria 14:12,13.» (TOR 01-02-85, pp. 3-4)

_______________________________________
* PS. Come già per la richiesta del sacrificio di Isacco che Dio sapeva già che non avrebbe fatto eseguire, anche in tale caso abbiamo che il proposito distruttivo manifestato da Dio ad Abramo non voleva inculcargli un’idea di giustizia ingiusta, arbitraria, indiscriminata, ma aveva solo la funzione pedagogica di eccitare in lui: 1) la supplica di intercessione del giusto per i peccatori; b) la certezza che Dio è paziente e misericordioso poiché si contenta di un minimo di bene per perdonare un gran male (cf "la carità copre una moltitudine di peccati”).

NOTA
Naturalmente bisogna che la ragione risponda al problema che comunque, anche riducendo le condizioni per il perdono e non ottenendole, Dio, secondo questa narrazione biblica (della quale lasciamo agli esperti giudicare il genere letterario), ha di fatto distrutto sia genitori che figli. Ma il discorso di Abramo su ciò che è giusto o non lo è non riguarda il danno che i figli ricevono per collegamento naturale di vita con i genitori malvagi; cosa che esiste ed esisterà sempre, a partire dalle conseguenze, disastrose per i figli innocenti, del peccato di Adamo e dei peccati attuali di tutti i padri il cui comportamento danneggia oggettivamente con i suoi effetti la prole. Il discorso in oggetto riguarda la stortura di ritenere i figli meritevoli della stessa distruzione dei padri, perché ritenuti peccatori al pari di loro solo per legame di parentela, nella piena inconsapevolezza del peccato morale dei genitori. E nel geovismo si sa che tale distruzione dei Sodomiti significa annientamento perpetuo. Mentre noi siamo certi che, in forza del collegamento azioni-effetti, i figli ricevono sì il danno dal comportamento genitoriale malvagio ma restano moralmente innocenti di fronte a Dio, il quale, anche se li accomuna nel disastro che manda o permette contro i padri (come di fatto accade nei disastri di ogni tipo dovuti a cattive scelte umane) ne diversifica la sanzione eterna punendo i genitori colpevoli e salvando i figli innocenti. Dio insomma, il nostro Dio, assegna a ciascuno la colpa morale solo in base alla percezione, nella mente di ogni soggetto agente – come precisamente diciamo nel nostro catechismo – della “materia grave, piena avvertenza, deliberato consenso”. (cf tutto il cap. 18 di Ezechiele secondo cui ognuno paga per le proprie colpe).

“Non la distruggerò per riguardo a quei dieci”: e da questa insistenza intercessoria del buon Abramo, come nel tentativo di ottenere da Dio il massimo dello… sconto, ricaviamo vari insegnamenti: a) l’accettazione da parte di Dio della “preghiera ripetitiva”, tanto osteggiata dal geovismo; b) la efficacia della intercessione dei figli di Dio giusti a favore dei propri fratelli peccatori; c) la pazienza e misericordia di Dio che si contenta di un minimo, ma che se manca anche quello non può mutare il corso della giustizia; d) viene anche sconfessata quella che il geovismo chiama “la legge perfetta di Geova” che sarebbe quella del taglione, secondo la quale per risarcire il male fatto occorre offrire in riscatto un bene equivalente (antìlytron). Ma secondo tale criterio Geova avrebbe dovuto esigere la presenza di almeno il 50% di giusti contro un 50% di peccatori presenti in Sodoma e Gomorra! Questo criterio fasullo fa “pesare” nel geovismo il valore di riscatto della “vita perfetta” offerta da Cristo tanto quanto la “vita perfetta” perduta da Adamo. E pazienza se San Paolo ha precisato che “dove ha abbondato il peccato ha sovrabbondato la grazia” e in effetti “non è la stessa situazione per il dono di grazia come per la caduta” (cf Romani 5, 15-17) e) Infine, come apprendiamo nel prosieguo del racconto, poiché i Sodomiti volevano abusare sessualmente degli angeli, dall’episodio si ricava anche la condanna divina di un… “orientamento sessuale” che si pretenda legittimo nonostante che lo studio della biologia lo inquadri come deviante dalla funzione biologica che gli organi mostrano di avere per loro natura, e talmente distruttivo che, se se ne diffondesse la pratica in modo preponderante, sarebbe capace di distruggere la sopravvivenza dell’umanità.



Seconda Lettura Col 2,12-14
Fratelli, con Cristo sepolti nel battesimo, con lui siete anche risorti mediante la fede nella potenza di Dio, che lo ha risuscitato dai morti.
Con lui Dio ha dato vita anche a voi, che eravate morti a causa delle colpe e della non circoncisione della vostra carne, perdonandoci tutte le colpe e annullando il documento scritto contro di noi che, con le prescrizioni, ci era contrario: lo ha tolto di mezzo inchiodandolo alla croce.

“… sepolti… risorti… morti… perdonandoci tutte le colpe”: sono indicazioni di una realtà non fisica ma spirituale; riguardano l’anima (o spirito) e non il corpo che rimane vivo e vegeto nonostante i peggiori peccati che si compiono. E (si veda anche il contesto più ampio della Lettura) parlano, come per il Cristo risorto, di novità di vita, di rigenerazione. Ecco perché il geovismo sbaglia nell’insegnare che il battesimo non “toglie” i peccati ma li “copre” e la giustificazione (anche se talvolta se ne mantiene il termine) è vista solo come “dichiarazione di giustizia”; cioè un fatto del tutto estrinseco alla trasformazione interiore, alla rinascita operata dallo Spirito Santo che nel battesimo dona la grazia che permette la compartecipazione alla vita divina, come simboleggiato plasticamente dalla stessa vita che scorre tra la Vite e i tralci.

“inchiodandolo alla croce”: ovviamente la NM avrà “inchiodandolo al palo di tortura”. Ma ormai sappiamo che questa convinzione rappresenta una apostasia dal genuino geovismo insegnato sin dall’inizio da Russell e da Rutherford fino al 1930 circa, ove il “palo” era proprio una “croce” di cui gloriarsi.



Vangelo Lc 11,1-13
Gesù si trovava in un luogo a pregare; quando ebbe finito, uno dei suoi discepoli gli disse: «Signore, insegnaci a pregare, come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli». Ed egli disse loro: «Quando pregate, dite:
"Padre, sia santificato il tuo nome,
venga il tuo regno;
dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano,
e perdona a noi i nostri peccati,
anche noi infatti perdoniamo a ogni nostro debitore,
e non abbandonarci alla tentazione"».
Poi disse loro: «Se uno di voi ha un amico e a mezzanotte va da lui a dirgli: “Amico, prestami tre pani, perché è giunto da me un amico da un viaggio e non ho nulla da offrirgli”; e se quello dall’interno gli risponde: “Non m’importunare, la porta è già chiusa, io e i miei bambini siamo a letto, non posso alzarmi per darti i pani”, vi dico che, anche se non si alzerà a darglieli perché è suo amico, almeno per la sua invadenza si alzerà a dargliene quanti gliene occorrono.
Ebbene, io vi dico: chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto. Perché chiunque chiede riceve e chi cerca trova e a chi bussa sarà aperto.
Quale padre tra voi, se il figlio gli chiede un pesce, gli darà una serpe al posto del pesce? O se gli chiede un uovo, gli darà uno scorpione? Se voi dunque, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro del cielo darà lo Spirito Santo a quelli che glielo chiedono!».

“Quando pregate dite…”: così disse Gesù. “Quando pregate non dite… ma andate a braccio”: così capisce la Bibbia e la spiega ai suoi fedeli la WT che contesta le preghiere già formulate e scritte. E poco importa se esse sono perfino “ispirate” dallo “spirito santo di Dio” come i Salmi. Il rifiuto, come è noto si estende anche alla recita del “Padre nostro”, mai contestato da miliardi di cristiani e recitato ininterrottamente da secoli; perfino inserito nella preghiera liturgica ufficiale della Chiesa.

"io vi dico: chiedete e vi sarà dato...a chi bussa sarà aperto": anche la preghiera ripetitiva, condannata nel geovismo, noi vediamo approvata dal Signore che invita a ripetere con insistenza la stessa preghiera prima di esaudirla (come ogni papà fa con i figlioletti piccoli per eccitare in loro l’affetto, fortificare il legame di dipendenza, consolidare la fiducia nella potenza e soccorrevolezza del padre che in cambio dei suoi doni richiede solo bacetti).
Forse non c’è una sola dietrologia che spiega tale avversione della WT per la preghiera ripetitiva e per le preghiere già formulate. Ne azzardo una, tutta mia, semplice, coerente con un senso (americano?) di praticità. Il TG è già sollecitato a dedicare tutto il suo tempo alla predicazione, che non a caso viene definita anche “adorazione” contenendo – si fa credere – in sé anche la funzione propriamente cultuale della preghiera. Ma poniamo che il devoto TG senta in cuor suo l’esigenza di pregare più intensamente e a lungo. E’ ben certo che, inibito dall’aiutarsi usando formule scritte da altri e costretto a formulare preghiere spontanee “a braccio”, avrà molta più difficoltà ad… inventare cosa dire. Così che dedicherà poco tempo alla preghiera, semplicemente per la fatica che gli costa prolungarsi in essa.

“Anche noi infatti perdoniamo…”: versione meno chiara che quella della CEI del 1974 che diceva “perché anche noi perdoniamo”. Quel “perché” che va inteso, come recitiamo nel “Padre nostro” di sempre “come noi perdoniamo”, in coerenza dell’invito esplicito di Gesù a perdonare largamente, perché il Padre prenderà a misura del suo perdono nei nostri confronti il modo con cui noi avremo perdonato ai nostri fratelli.

“il Padre vostro del cielo”: è un accenno che il TG “bereano” troverà anacronistico da parte di Gesù se deve armonizzarlo con ciò che gli insegna la WT; cioè con la convinzione che Geova è Padre solo dei 144.000 Unti, e che l’unzione è stata inventata da Gesù non all’inizio della sua predicazione ma alla Pentecoste. Parlare di paternità divina ad un uditorio che non sapeva che sarebbe stato scelto alla adozione solo anni dopo significava fare un discorso incomprensibile.
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Re: "E venne un uomo..." Anno 2012-2013 Ciclo liturgico "C"

Messaggioda Sandro » sab ago 03, 2013 4:30 pm

Domenica 4 Agosto 2013 - XVIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (Anno C)



Prima Lettura Qo 1,2;2,21-23
Vanità delle vanità, dice Qoèlet,
vanità delle vanità: tutto è vanità.
Chi ha lavorato con sapienza, con scienza e con successo dovrà poi lasciare la sua parte a un altro che non vi ha per nulla faticato. Anche questo è vanità e un grande male.
Infatti, quale profitto viene all’uomo da tutta la sua fatica e dalle preoccupazioni del suo cuore, con cui si affanna sotto il sole? Tutti i suoi giorni non sono che dolori e fastidi penosi; neppure di notte il suo cuore riposa. Anche questo è vanità!

Questo libro biblico, che i TG chiamano ancora "Ecclesiaste", merita due parole sul concetto di “vanità” (la NM usa la stessa parola) che esso ci vuole richiamare, e che è riconfermato sia da Gesù nel Vangelo di oggi, che da S. Paolo nel suo famoso monito “passa la scena di questo mondo”. Abbiamo fiducia che, almeno in parte, sia condiviso dai TG più “aperti”. Alla peggio ne potrebbero ricavare una maggiore comprensione dell’animo autenticamente cattolico e ad apprezzarne lo spirito ascetico di distacco dai beni di questo mondo.

Il concetto di vanità che la Chiesa ricava da questa Lettura è equivalente a “transeunte, precario,temporaneo”. Un qualcosa che ha molto colpito il Budda (cfr il concetto di “impermanenza”) e che i TG tengono in gran conto dal momento che il loro martellamento sulla prossima fine del mondo – o di “questo sistema di cose” - è il pezzo da novanta della loro predicazione. Tuttavia mentre noi ci aspettiamo un “nuovo cielo e nuova terra” - espressione metaforica che indica il premio che Dio ha riservato ai giusti e che Bibbia assicura che è un qualcosa che “occhio mai vide né orecchio mai udì”, i TG si aspettano un bis di tutto ciò che vediamo e udiamo su questa terra oggi, salvo il fatto che sarà un mondo ripulito dal male, dalle malattie, da tutti i problemi, dalla morte.*
__________________________________________
* Ma, secondo Rutherford, questo punto non era vero se ha scritto che anche nella terra paradisiaca del dopo millennio “Geova potrà sempre dare la morte a possibili ribelli”. Ovvero i “beati terrestri” del geovismo, i futuri abitanti della terra paradisiaca, non sono come i nostri santi che godono della visione beatifica in cielo, che li conferma in grazia rendendoli incapaci di più peccare, e quindi sono salvaguardati dal poter ricevere la “seconda morte” della dannazione eterna, già stabilita una volta per tutte nel Giudizio Universale.

Qualche spunto ascetico-catechistico, tratto da S. Paolo, è però qui d’obbligo unirlo al concetto cristiano di precarietà. Lo ricaviamo, come detto, dal suo lapidario “passa la scena di questo mondo” (paràghei gar to schèma tou kòsmou toùtou). Ecco la sua riflessione:
“29 Questo vi dico, fratelli: il tempo ormai si è fatto breve; d'ora innanzi, quelli che hanno moglie, vivano come se non l'avessero; 30 coloro che piangono, come se non piangessero e quelli che godono come se non godessero; quelli che comprano, come se non possedessero; 31 quelli che usano del mondo, come se non ne usassero appieno: perché passa la scena di questo mondo!” (1 Corinti 7, 29-31 - CEI). Schematicamente:
- il mondo è un cosmo, cioè una bellezza (cf la cosmèsi); è il parere della filologia e della stessa Trinità che, dopo averlo fatto, lo trovò “molto buono”;
- su di esso si svolge una scena, una recita, nella quale ciascuno di noi è chiamato a fare la sua parte;
- questa scena passa, non si vive due volte. Chi perde quest’occasione non diventerà mai un attore (che poi sembra che sia una delle professioni predilette tra i giovani!);
- teatro, recita, attrezzatura… tutto è del Regista che ci ha chiamato a partecipare alla Sua recita (alias, disegno della salvezza, “ammettere gli uomini alla comunione con Sé” – Dei Verbum); tutto è perciò dato in amministrazione fiduciaria, tutto ha una funzione di mezzo per il fine;
- è quindi follia affezionarsi alla propria parte come se dovesse durare eternamente, e ritenere proprie le suppellettili (si lasciano);
- alla fine non verrà premiato in modo speciale chi ha fatto la parte del re ma chi avrà fatto al meglio la propria parte;
- per ricevere gli applausi occorre stare al copione;
- il Regista è paziente e recupera chi scantona, ma potrebbe anche decidere di farci uscire di scena e affidare la parte ad un altro;
- si deve recitare con riguardo alla interazione con gli altri attori: né fare gli speciali, né ignorando il debito dialogo richiesto dalla reciprocità;
- è il Regista che decide il tempo individuale della recita di ognuno: alcuni faranno da protagonisti, altri da supporto, altri da comparse;
- alla fine la paga è per tutti la stessa, anche se si è entrati in scena alla…ultima ora del giorno;
- … ciascuno aggiunga meditando…


Seconda Lettura Col 3,1-5.9-11
Fratelli, se siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove è Cristo, seduto alla destra di Dio; rivolgete il pensiero alle cose di lassù, non a quelle della terra.
Voi infatti siete morti e la vostra vita è nascosta con Cristo in Dio! Quando Cristo, vostra vita, sarà manifestato, allora anche voi apparirete con lui nella gloria.
Fate morire dunque ciò che appartiene alla terra: impurità, immoralità, passioni, desideri cattivi e quella cupidigia che è idolatria.
Non dite menzogne gli uni agli altri: vi siete svestiti dell’uomo vecchio con le sue azioni e avete rivestito il nuovo, che si rinnova per una piena conoscenza, ad immagine di Colui che lo ha creato.
Qui non vi è Greco o Giudeo, circoncisione o incirconcisione, barbaro, Scita, schiavo, libero, ma Cristo è tutto e in tutti.

Anche questa lettura propone il distacco dai beni terreni, additando la meta del viaggio, la vita eterna in comunione con Gesù (e tutta la Trinità).
Per informazione ricordo che questo discorso che noi riteniamo proposto dalla Bibbia a tutti i battezzati, il geovismo lo riserva esclusivamente ai 144.000 Unti. Solo loro sarebbero destinati ad andare con Cristo nella gloria dei cieli. Quelli morti dalla Pentecoste fino al 1918 ci sarebbero andati appunto nel 1918, ricevendo non una risurrezione ma una creazione di copia dell’originale terreno perduto ai quali sarebbe stato donato, in sostituzione di quello fisico, un “corpo spirituale” per essere assunti nel “Reame dei cieli”. Gli Unti morti dal 1918 ad oggi invece non dormirebbero affatto nella morte ma riceverebbero il “corpo spirituale” immediatamente alla loro morte fisica; nel quale corpo però non viene immessa l’anima spirituale (che nel geovismo non esiste) ma solo il bagaglio caratteriale, conoscitivo ed esperienziale dell’Unto defunto. Anche in tal caso la persona originale è andata definitivamente perduta, anche se i teologi geovisti non afferrano questo punto e parlano di risurrezione.

“Cristo è tutto in tutti”: al solito la comunione vitale tra Cristo-Vite e fedeli-tralci è negata dal geovismo che non crede nella capacità divina di tale compenetrazione e comunione vitale, e perciò traduce-tradendo quello “in Cristo” tanto ripetuto sia da Giovanni Apostolo che da S. Paolo, con "unitamente a Cristo”. L’unione è collocata solo sul piano dei pensieri e volontà non della vita.


Vangelo Lc 12,13-21
In quel tempo, uno della folla disse a Gesù: «Maestro, di’ a mio fratello che divida con me l’eredità». Ma egli rispose: «O uomo, chi mi ha costituito giudice o mediatore sopra di voi?».
E disse loro: «Fate attenzione e tenetevi lontani da ogni cupidigia perché, anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che egli possiede».
Poi disse loro una parabola: «La campagna di un uomo ricco aveva dato un raccolto abbondante. Egli ragionava tra sé: “Che farò, poiché non ho dove mettere i miei raccolti? Farò così – disse –: demolirò i miei magazzini e ne costruirò altri più grandi e vi raccoglierò tutto il grano e i miei beni. Poi dirò a me stesso: Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; ripòsati, mangia, bevi e divèrtiti!”. Ma Dio gli disse: “Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato, di chi sarà?”. Così è di chi accumula tesori per sé e non si arricchisce presso Dio».

Le parole sottolineate sono rese dalla NM con «dirò all’anima mia. Anima mia,…la tua anima.»
E’ un bell’esempio di come il termine greco psyché, usato in tutti e tre i casi dall’evangelista, venga tradotto in maniera onesta dalla CEI - perché essendo polisemantico, deve essere reso con il significato più appropriato richiesto dal contesto – e invece in maniera tendenziosa dalla NM che ha deciso di usare sempre il termine italiano “anima” come versione del greco psyché e dell’ebraico nèphesh. Ciò naturalmente al fine di inculcare alle persone “culturalmente indifese” che sia la Bibbia a dire “anima” e non loro a costringerla a dire così. Un fine opportunistico che si svela poi quando si troveranno espressioni ove si dice che la persona, l’individuo, la vita, muore. Allora il geovismo dirà trionfante: “Vedete? E’ la stessa Bibbia a dire che l’uomo non ha un’anima ma è un’anima” e che “pertanto è evidente che l’anima muore”.
Però noi confidiamo che il TG “bereano” (cioè criticamente acuto) faccia notare ai suoi dirigenti che non è proprio così, appunto perché il dizionario di greco assegna a psyché vari significati. E anche -guardate come la verità fa capolino anche tra le righe della NM! – anche perché la stessa NM fa dire al ricco: «e dirò all’anima mia. Anima, hai molte buone cose accumulate…». Quindi non è vero che l’uomo è un’anima. Qui risulta che l'uomo che parla è il soggetto, la persona, l’io, e che parla alla sua anima ritenendola una cosa che lui ha, come anche ha un corpo. E non è neanche vero che, come dice il geovismo, “voi non avete un’anima, siete un’anima, la vostra anima siete voi”. Si legga con attenzione e si vedrà che è ancora e sempre il ricco a distinguere se stesso dalla sua anima!
Non vogliamo infierire oltre... Sappiamo di sicuro che il TG bereano continuerà nella lettura del brano per avere lumi e quindi che riceverà conferma della nostra critica da parte di Gesù stesso che, nel prosieguo della parabola, distingue nettamente l’anima dal corpo, mentre il geovismo come sappiamo, nel concetto di anima comprende tutto, anche il corpo. Ecco cosa segue immediatamente nel testo sacro «22 Quindi disse ai suoi discepoli: “Per questo motivo vi dico: Cessate d’essere ansiosi per la vostra anima, di ciò che mangerete o per il vostro corpo, di ciò che indosserete. 23 Poiché l’anima vale più del cibo e il corpo più del vestito.» (NM, corsivi nostri)
«In patientia vestra possidebitis animas vestras»... aliorumque. (Lc 21,19)
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Re: "E venne un uomo..." Anno 2012-2013 Ciclo liturgico "C"

Messaggioda Sandro » sab ago 10, 2013 4:32 pm

Domenica 11 Agosto 2013 - XIX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (Anno C)



Prima Lettura Sap 18,6-9
La notte [della liberazione] fu preannunciata ai nostri padri, perché avessero coraggio,
sapendo bene a quali giuramenti avevano prestato fedeltà.
Il tuo popolo infatti era in attesa della salvezza dei giusti, della rovina dei nemici.
Difatti come punisti gli avversari, così glorificasti noi, chiamandoci a te.
I figli santi dei giusti offrivano sacrifici in segreto e si imposero, concordi, questa legge divina:
di condividere allo stesso modo successi e pericoli, intonando subito le sacre lodi dei padri.

Come è noto, il libro della Sapienza, insieme ad altri sei dell’AT, è ritenuto “apocrifo” dal geovismo che segue il Canone protestante, e perciò non ispirato. Per noi cattolici invece è un libro “deuterocanonico”, cioè entrato nel Canone delle Scritture in un secondo momento e, alla pari di tutti gli altri libri, ritenuto ispirato dagli ebrei della diaspora (infatti è contenuto nella copia della Bibbia greca dei LXX) e ricevuto come tale dalla Chiesa Cattolica sin dal Concilio regionale di Cartagine (400 circa). Il fatto che poi nel Concilio di Trento si sia sentito il dovere di fare solennemente l’elenco ufficiale dei libri ispirati, includendo questi sette di lingua greca in quelli di lingua ebraica, è stato dettato da un motivo contingente di opportunità: il rifiuto dei sette deuterocanonici da parte di Lutero.
In questa Lettura non abbiamo quindi nulla che sia utile al confronto con il pensiero geovista. Ma l’occasione ci si presenterà quando troveremo il passo ove questo libro benedetto ci parlerà della esistenza e immortalità dell'anima e perfino (udite udite!) del dovere morale di fare filosofia, cose entrambe rifiutate con acrimonia dal geovismo.


Seconda Lettura Eb 11,1-2.8-19
Fratelli, la fede è fondamento di ciò che si spera e prova di ciò che non si vede. Per questa fede i nostri antenati sono stati approvati da Dio.
Per fede, Abramo, chiamato da Dio, obbedì partendo per un luogo che doveva ricevere in eredità, e partì senza sapere dove andava.
Per fede, egli soggiornò nella terra promessa come in una regione straniera, abitando sotto le tende, come anche Isacco e Giacobbe, coeredi della medesima promessa. Egli aspettava infatti la città dalle salde fondamenta, il cui architetto e costruttore è Dio stesso.
Per fede, anche Sara, sebbene fuori dell’età, ricevette la possibilità di diventare madre, perché ritenne degno di fede colui che glielo aveva promesso. Per questo da un uomo solo, e inoltre già segnato dalla morte, nacque una discendenza numerosa come le stelle del cielo e come la sabbia che si trova lungo la spiaggia del mare e non si può contare.
Nella fede morirono tutti costoro, senza aver ottenuto i beni promessi, ma li videro e li salutarono solo da lontano, dichiarando di essere stranieri e pellegrini sulla terra. Chi parla così, mostra di essere alla ricerca di una patria. Se avessero pensato a quella da cui erano usciti, avrebbero avuto la possibilità di ritornarvi; ora invece essi aspirano a una patria migliore, cioè a quella celeste. Per questo Dio non si vergogna di essere chiamato loro Dio. Ha preparato infatti per loro una città.
Per fede, Abramo, messo alla prova, offrì Isacco, e proprio lui, che aveva ricevuto le promesse, offrì il suo unigenito figlio, del quale era stato detto: «Mediante Isacco avrai una tua discendenza». Egli pensava infatti che Dio è capace di far risorgere anche dai morti: per questo lo riebbe anche come simbolo.

“Ora invece essi aspirano… a quella celeste”. Questo punto, non cambiato nella NM, realizza una incongruenza macroscopica nell’ideologia geovista. Infatti secondo la dottrina della doppia categoria di salvati (i più sulla Terra Paradisiaca e solo 144.000 nel Reame dei cieli), i giusti dell’AT – ed è di loro che qui si parla! – non possono aspirare a una patria celeste. Solo chi ha ricevuto l’unzione, che sarebbe iniziata alla Pentecoste, è candidato al Reame dei cieli. Ne sono quindi esclusi sia tutti i giusti dell’AT sia quelli del NT morti prima della Pentecoste; come è il caso di San Giovanni Battista e di San Giuseppe. Come si vede, il CD può fare i migliori sforzi per forzare la versione della Bibbia alla sua ideologia, ma la verità da qualche parte riesce sempre a far capolino…


Vangelo Lc 12,32-48
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto dare a voi il Regno.
Vendete ciò che possedete e datelo in elemosina; fatevi borse che non invecchiano, un tesoro sicuro nei cieli, dove ladro non arriva e tarlo non consuma. Perché, dov’è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore.
Siate pronti, con le vesti strette ai fianchi e le lampade accese; siate simili a quelli che aspettano il loro padrone quando torna dalle nozze, in modo che, quando arriva e bussa, gli aprano subito.
Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità io vi dico, si stringerà le vesti ai fianchi, li farà mettere a tavola e passerà a servirli. E se, giungendo nel mezzo della notte o prima dell’alba, li troverà così, beati loro!
Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora viene il ladro, non si lascerebbe scassinare la casa. Anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo».
Allora Pietro disse: «Signore, questa parabola la dici per noi o anche per tutti?».
Il Signore rispose: «Chi è dunque l’amministratore fidato e prudente, che il padrone metterà a capo della sua servitù per dare la razione di cibo a tempo debito? Beato quel servo che il padrone, arrivando, troverà ad agire così. Davvero io vi dico che lo metterà a capo di tutti i suoi averi.
Ma se quel servo dicesse in cuor suo: “Il mio padrone tarda a venire”, e cominciasse a percuotere i servi e le serve, a mangiare, a bere e a ubriacarsi, il padrone di quel servo arriverà un giorno in cui non se l’aspetta e a un’ora che non sa, lo punirà severamente e gli infliggerà la sorte che meritano gli infedeli.
Il servo che, conoscendo la volontà del padrone, non avrà disposto o agito secondo la sua volontà, riceverà molte percosse; quello invece che, non conoscendola, avrà fatto cose meritevoli di percosse, ne riceverà poche.
A chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto; a chi fu affidato molto, sarà richiesto molto di più».

“piccolo gregge… a voi il Regno”: queste parole hanno convinto il CD che il “piccolo gregge” a cui Gesù allude non sia la totalità dei cristiani ma solo un’elite composto da 144.000. Il Regno, a sua volta, non sarebbe quello che Gesù stesso ha metaforizzato con l’espressione “entra nel gaudio del tuo Signore”, ma un luogo vero e proprio (in cielo), con un Re (Gesù Cristo), affiancato da co-regnanti ( i 144.000 Unti) che di lassù, senza mai farsi vedere, governerebbero i sudditi sulla terra (i normali TG), utilizzando come governanti visibili i risuscitati giusti dell’AT (Abramo, i Patriarchi, il Battista…) e gli Anziani geovisti, con l’esercito degli Angeli a loro servizio.
Per lo stesso motivo di “piccolezza”, quando toccherà alla metafora del Regno che Gesù ha simboleggiato nel granello di senape che diventa un grande albero, esso non sarà visto come illustrazione del Regno di Dio ma come lo sviluppo del regno di Satana, solo perché appunto è… grosso. Un alberone troppo simile allo sviluppo della “cristianità apostata” e della Chiesa Cattolica, rispetto al “piccolo gregge-regno” rappresentato dal geovismo che, quando si guarda allo specchio, ha bisogno di essere consolato perché si rende conto di essere in forte minoranza perfino rispetto ad altri Movimenti Religiosi Alternativi come quelli degli Avventisti, dei Mormoni ecc…

“Vendete ciò che possedete e datelo in elemosina”: ecco un punto in cui la WT, i suoi dirigenti, e i presunti Unti rimanenti sulla terra, ben difficilmente potrebbero vantarsi di seguire alla lettera ciò che dice la Bibbia, cosa che invece il geovismo sottolinea ogni volta che ne capita l’occasione… Anche se è vero che gli Unti sono tutti dediti alla causa del Regno e che personalmente non si arricchiscono con i proventi delle offerte e pubblicazioni che la WT riceve, è verissimo però che i loro beni non sono “venduti e dati in elemosina”.

“tenetevi pronti perché nell’ora che non immaginate…”: ed ecco un altro punto della Bibbia ove il CD dei TG mostra di non aver avuto fede. Più volte infatti la Dirigenza geovista si è lasciata andare ad “immaginare” la data del ritorno del Figlio dell’uomo, cioè della fine del mondo (oltre il preteso ritorno invisibile che Gesù avrebbe realizzato nel 1918). Vero è che – e sembra che a tanti fedeli geovisti questo basti! – il CD, appigliandosi alle parole (e siamo ancora al fondamentalismo!), ha protestato, come scusa delle sue sbagliate previsioni, che non ha mai profetizzato “il giorno e l’ora” della fine. Ma chi conosce i testi pubblicati sa benissimo che si è profetizzato “il mese e l’anno”.* Il che non è che cambi tanto le cose, non è vero?
______________________________________
* Il mese: ottobre. L’anno: 1914, 1925, 1975, 2000… tanto per ricordare le date più traumatiche per gli stessi fedeli delusi.

“l’amministratore fedele e prudente… a capo di tutti i suoi averi”: questa similitudine che tutta la cristianità in tutti i 2000 anni della sua storia ha considerato da applicarsi individualmente ad ogni cristiano (parallela all’altra affrontata dell’amministratore infedele) ha fatto coniare al geovismo il titolo di “Schiavo fedele e discreto” che esso ha applicato inizialmente al fondatore Russell e successivamente all’insieme degli Unti rimanenti sulla terra. In concreto poi (ma così, glissando abilmente e senza alcun atto storico ufficiale) questo insieme si è detto che era rappresentato dal CD. Infatti ciò che il CD decide da Brooklyn si impone a tutti gli Unti rimanenti sparsi per il globo, anche se molti di essi fossero in disaccordo su decisioni dottrinali e organizzative. Chi contesta o rifiuta qualche punto viene dichiarato “apostata”, “disassociato” e condannato all’ostracismo. Poi, per un connubio di valenza legale, questo “Schiavo” venne ad identificarsi in pratica con la dirigenza legale della WT così da potersi autoqualificare “proprietario” di tutti “gli averi del Signore”, anzi della… “signora” Watchtower Society.
Tale “Schiavo” sarebbe dunque colui che “dà cibo spirituale eccellente a suo tempo”. Quel tempo che (ohibò!) essendo del tutto irreperibile nei secoli passati per la totale assenza del geovismo nella storia, viene fatto iniziare di fatto con la fondazione del geovismo, cioè con la nascita della Società editrice Torre di Guardia (anno 1879).
A noi tutti, recettori, il compito di valutare criticamente se e quanto sia “eccellente” dal punto vista biblico tale “cibo”. Ed è esattamente ciò che il GRIS sta facendo con scrupolo e documentazione sin dalla sua fondazione nel 1987. Ai lettori il giudizio sulla “eccellenza” o meno di tale valutazione.*
In sostanza, con l’istituzione di tale figura dello “Schiavo” (che il secondo presidente Rutherford poi contrappose allo “Schiavo malvagio” dei dissidenti da lui epurati) possiamo dire che il geovismo, pur confessando di non avere un ministero sacerdotale gerarchico e di ritenere tutti i seguaci di Gesù assolutamente uguali, si è dotato della funzione gerarchica che nella Chiesa Cattolica è svolta dal Magistero.
__________________________________
* Si vedano i lavori di L. Minuti, P. Sconocchini, B. Cadei, A. Contri, N. Tornese, A. Polidori, G. Crocetti, S. Pollina, A. Aveta ecc...
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Re: "E venne un uomo..." Anno 2012-2013 Ciclo liturgico "C"

Messaggioda Sandro » ven ago 16, 2013 1:12 pm

Domenica 18 Agosto 2013 - XX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (Anno C)



Prima Lettura Ger 38,4-6.8-10
In quei giorni, i capi dissero al re: «Si metta a morte Geremìa, appunto perché egli scoraggia i guerrieri che sono rimasti in questa città e scoraggia tutto il popolo dicendo loro simili parole, poiché quest’uomo non cerca il benessere del popolo, ma il male». Il re Sedecìa rispose: «Ecco, egli è nelle vostre mani; il re infatti non ha poteri contro di voi».
Essi allora presero Geremìa e lo gettarono nella cisterna di Malchìa, un figlio del re, la quale si trovava nell’atrio della prigione. Calarono Geremìa con corde. Nella cisterna non c’era acqua ma fango, e così Geremìa affondò nel fango.
Ebed-Mèlec uscì dalla reggia e disse al re: «O re, mio signore, quegli uomini hanno agito male facendo quanto hanno fatto al profeta Geremìa, gettandolo nella cisterna. Egli morirà di fame là dentro, perché non c’è più pane nella città». Allora il re diede quest’ordine a Ebed-Mèlec, l’Etiope: «Prendi con te tre uomini di qui e tira su il profeta Geremìa dalla cisterna prima che muoia».

“tre uomini”: la NM dice “trenta uomini”. Tre o trenta? Questo è il problema! Mah! Francamente 30 sembrano eccessivi per tirare fuori un uomo da una cisterna. Prendiamo piuttosto insegnamento dalla Bibbia che, con il povero Geremia, come avviene di regola a chi fa il “profeta”, cioè a chi parla in vece di Dio e dice cose scomode, ci insegna che si ricevono in cambio ritorsioni e non ringraziamenti. In questo tutti gli operatori pastorali che vogliono diffondere la verità biblica (o creduta tale!) sono accomunati e inquadrati come nemici da parte del mondo che reagisce contro chiunque gli dà torto. Preghiamo quindi per tutti i martiri della fede, TG compresi.


Seconda Lettura Eb 12,1-4
Fratelli, anche noi, circondati da tale moltitudine di testimoni, avendo deposto tutto ciò che è di peso e il peccato che ci assedia, corriamo con perseveranza nella corsa che ci sta davanti, tenendo fisso lo sguardo su Gesù, colui che dà origine alla fede e la porta a compimento.
Egli, di fronte alla gioia che gli era posta dinanzi, si sottopose alla croce, disprezzando il disonore, e siede alla destra del trono di Dio.
Pensate attentamente a colui che ha sopportato contro di sé una così grande ostilità dei peccatori, perché non vi stanchiate perdendovi d’animo. Non avete ancora resistito fino al sangue nella lotta contro il peccato.

“circondati da tale moltitudine…”: la NM dice “abbiamo un così gran nuvolo di testimoni” e specifica, spiegando, che sarebbero testimoni “di Geova”, quando la verità è che ai tempi della Lettera agli Ebrei essi non esistevano. Allora, incurante di tale contestazione, la WT non “lascia” ma “raddoppia” insegnando che anche nell’Antico Patto Geova aveva i suoi testimoni (altrimenti definiti anche “fedeli servitori di Dio”), così che – udite udite! – applica la qualifica di testimone di Geova perfino ad Abele. Che dire? “Vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole”? Certo è che insistere sarebbe etichettato come un “fare filosofia”!…

“di fronte alla gioia…si sottopose alla croce”: la NM dice “per la gioia che gli fu posta dinanzi egli sopportò il palo di tortura”. E incredibilmente spiega questo passo dicendo che Gesù ha sofferto la passione non disprezzando la gioia che aveva a portata di mano* ma, al contrario, al fine di conquistare quella gioia della gloria che gli sarebbe stata promessa in cambio del suo sacrificio. E così il resto del passo viene utilizzato come conforto per i TG contro la persecuzione, e come invito a fissarsi sul premio futuro per sopportarla.
Superfluo dire che la comprensione contraria, quella appunto che sottolinea l’altruismo donativo di sé da parte di Gesù, che ha rinunciato a una gloria-gioia che aveva di diritto come Figlio naturale di Dio e che godeva da sempre, è quella sostenuta da sempre dalla nostra Chiesa. L’originale infatti comincia con un antì avversativo (os antì tes prokeiménes autò chàras ypèmeinen stauròn)**

“siede alla destra del trono di Dio”. E brava la Bibbia! Lei sì che le sa le cose. Non come il CD dei TG che, nonostante questo fatto della intronizzazione del Cristo, avvenuta immediatamente dopo l’ascensione, sia pluriconfermato nella Scrittura (cf ad es. Atti 2,33; 5,31; 7,55-56) insegna invece che Gesù ha dovuto attendere “allo sgabello dei piedi di Geova” fino al 1914 per essere nominato Re del Regno di Dio.
________________________________________
* Gloria e gioia che aveva di diritto come Figlio naturale di Dio, compartecipe della divinità del Padre, come conferma anche Filippesi 2,6 e segg. che ci parla della volontaria kènosi del Figlio “apparso in forma umana… prese l’aspetto di schiavo… ubbidiente fino alla morte”.
** Ecco due versioni: “Il quale, in luogo della posta innanzi a lui gioia si sottopose alla croce” (Bigarelli in interlinea);
“Egli, in luogo della gioia che gli si proponeva, si sottopose alla croce” (Nuovissima Versione).



Vangelo Lc 12,49-53
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Sono venuto a gettare fuoco sulla terra, e quanto vorrei che fosse già acceso! Ho un battesimo nel quale sarò battezzato, e come sono angosciato finché non sia compiuto!
Pensate che io sia venuto a portare pace sulla terra? No, io vi dico, ma divisione. D’ora innanzi, se in una famiglia vi sono cinque persone, saranno divisi tre contro due e due contro tre; si divideranno padre contro figlio e figlio contro padre, madre contro figlia e figlia contro madre, suocera contro nuora e nuora contro suocera».

Questo passo, che con gradazioni differenti risulta vero per ogni denominazione religiosa, quando solo uno dei familiari si converte ad una nuova fede, nel geovismo procura danni familiari dolorosissimi. Il motivo sta tutto nel modo di recepire il messaggio della salvezza in maniera escludente invece che includente. Intendo dire che da noi “gratia non destruit naturam sed perficit”; la grazia, cioè il dono soprannaturale della fede, non distrugge nulla di ciò che di positivo hanno i valori umani, ma anzi li perfeziona dando loro una ulteriore motivazione e potenziamento. Noi cattolici seguiamo quindi lo schema includente, siamo tenuti cioè ad osservare sia il Codice Civile che il Codice di Diritto Canonico che è di pertinenza dei battezzati, specifico dei figli adottivi di Dio, tenuti a “esaminare tutto e ritenere ciò che è bene” e ad aggiungere nella categoria del bene anche il manifesto delle Beatitudini che il mondo disprezza perché è relativo alle verità soprannaturali.
Lo schema escludente, invece, che sarebbe sacrosanto solo laddove ci fosse un incentivo al peccato ("giudicate voi se si debba obbedire agli uomini ppiuttosto che a Dio", disse S. Pietro), diventa conflittuale se capito in maniera fondamentalista. Allora succede che il criterio valoriale del neofita, ancora bambino nella fede, viene capovolto: non si pensa più che Dio comanda solo ciò che è bene, ma si pensa che è bene ciò che Dio comanda. Il che sarebbe lo stesso se si individua con esattezza il messaggio rivelato. Ma quando succede che il pensiero di Dio viene travisato, ecco che magari si ritiene bene, perché ritenuto comandato da Dio, anche far morire un familiare negandogli una salvifica trasfusione di sangue, o condannare all’ostracismo il familiare che ha deciso di sganciarsi dalla “fraternità” geovista.
Insomma non è mai questione di Bibbia che dice o non dice, ma solo di interpretazione. E l'interppretazione è ciò che da quel testo, santo in se stesso, la capacità di comprensione delle Dirigenze delle varie denominazioni, che si dicono cristiane, riesce a “capire”. Il che (ohibò!) provoca le divisioni tra i seguaci di Cristo. Certamente esse sono favorite dalla mancanza di cultura, ma anche da fiducia mal riposta in chi si presenta come il depositario ufficiale del “chi ascolta voi ascolta me”.
Forse potrebbe essere utile a qualcuno questa cartina di tornasole. Verifichiamo la validità della voce che ci catechizza, cioè la sua autenticità a rappresentare davvero la voce di Gesù, basandoci proprio sul “chi ascolta voi ascolta me”. Escludendo quindi chi ci dice che è la Bibbia a parlare ed è essa che si ascolta, cercando cioè di occultare la funzione interpretativa di chi ce la propone che parla dietro il Libro usato come un paravento. Sono molti gli ex TG che, magari faticosamente perché esaminare criticamente veniva denunciato come un dare luogo a Satana sviatore, hanno scoperto poi che appunto la Bibbia era innocente e la diversità dei messaggi che le varie denominazioni vi ricavano dipende totalmente dalle menti di coloro che la leggono.
Tornando alla spada, alla divisione, al fuoco sulla terra, ai parenti in guerra tra loro per motivi religiosi, ricapitoliamo che per noi cattolici la drasticità di opposizione diventa comando “di diritto divino” solo laddove l’opposizione familiare alla fede abbracciata da noi raggiunga livelli di… opposizione ad oltranza e/o di pretesa di disubbidienza a quella che, dal familiare convertito, è ritenuta “voce di Dio”. Solo allora il neofita deve seguire il modello “escludente” e separarsi, alla peggio anche interrompendo la convivenza dai familiari, ma senza rinnegare gli affetti umani che sono sempre un valore positivo creato dalla natura e benedetto da Dio. Quei valori, tra l’altro, oltre ad escludere l’ostracismo, diventano un’ancora di salvezza per il familiare convertito nel caso accadesse che, in seguito, egli cambi di nuovo religione o decida di darsi all’ateismo o all’agnosticismo. Allora la "terra bruciata" fatta attorno a lui dagli ex fratelli di fede, non sarà più traumatica di tanto, potendo egli ripiegare sempre sugli affetti dei familiari soprattutto se non li ha osteggiati. Ma - e se lo appuntino i TG - ci potrà contare anche se ammetterà umilmente i propri torti nell'essersi distaccati ostentando quella sicumera che Rutherford paragonava all'esercito delle locuste all'assalto.
La base della nostra umanità, che ci affratella tutti, non è data dalla fede. Essa infatti abbraccia persone di qualsiasi epoca, geofrafia e cultura. E viene solo dopo; a volte molto tempo dopo che si vive solo con un'etica umana. La fede religiosa poggia sull’umanesimo. Lo include, appunto. La tolleranza dunque – e non di malavoglia ma con cordiale amicizia – è ciò che viene perciò esigito dal principio della libertà religiosa, canonizzato ormai dal Vaticano II e accolto da ogni Stato "laico" che si rispetti.
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Re: "E venne un uomo..." Anno 2012-2013 Ciclo liturgico "C"

Messaggioda Sandro » gio ago 22, 2013 3:35 am

Domenica 25 Agosto 2013 - XXI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (Anno C)



Prima Lettura Is 66,18b-21
Così dice il Signore:
«Io verrò a radunare tutte le genti e tutte le lingue; essi verranno e vedranno la mia gloria.
Io porrò in essi un segno e manderò i loro superstiti alle popolazioni di Tarsis, Put, Lud, Mesec, Ros, Tubal e Iavan, alle isole lontane che non hanno udito parlare di me e non hanno visto la mia gloria; essi annunceranno la mia gloria alle genti.
Ricondurranno tutti i vostri fratelli da tutte le genti come offerta al Signore, su cavalli, su carri, su portantine, su muli, su dromedari, al mio santo monte di Gerusalemme – dice il Signore –, come i figli d’Israele portano l’offerta in vasi puri nel tempio del Signore.
Anche tra loro mi prenderò sacerdoti levìti, dice il Signore».

Il geovismo vede realizzarsi questa profezia nel millennio del dopo Armaghedon. Nulla da rilevare tranne un anacronismo. A quel punto i 144.000 Unti, che sono anche qualificati "sottosacerdoti con Cristo" saranno già stati "suggellati" e scelti da un pezzo (non per infierire ma per l'esattezza, la WT ha detto più volte che il numero fu "suggellato" nel 1935). Allora i "sacerdoti leviti", di cui qui si parla e che Dio sceglierà nel millennio, chi sono?


Seconda Lettura Eb 12,5-7.11-13
Fratelli, avete già dimenticato l’esortazione a voi rivolta come a figli:
«Figlio mio, non disprezzare la correzione del Signore
e non ti perdere d’animo quando sei ripreso da lui;
perché il Signore corregge colui che egli ama
e percuote chiunque riconosce come figlio
».
È per la vostra correzione che voi soffrite! Dio vi tratta come figli; e qual è il figlio che non viene corretto dal padre? Certo, sul momento, ogni correzione non sembra causa di gioia, ma di tristezza; dopo, però, arreca un frutto di pace e di giustizia a quelli che per suo mezzo sono stati addestrati.
Perciò, rinfrancate le mani inerti e le ginocchia fiacche e camminate diritti con i vostri piedi, perché il piede che zoppica non abbia a storpiarsi, ma piuttosto a guarire.

“il Signore corregge... chiunque riconosce come figlio… Dio vi tratta come figli”: bisogna ricordare che nel geovismo sono “figli di Dio” e “fratelli di Gesù” solo i 144.000 Unti. Al che va obiettato:
1) il “chiunque” di questa lettura, che smentisce figliolanze privilegiate;
2) la contraddizione nello stesso geovismo nell’insegnare che l’unzione dei 144.000 iniziò solo a Pentecoste (tanto è vero che sarebbero esclusi dal Reame dei cieli, riservato agli Unti, sia Giovanni Battista che Giuseppe, padre putativo di Gesù*). Ebbene, se si può soprassedere per Giuseppe di cui non sappiamo come finì, è però certo che Giovanni il battezzatore è stato “trattato come figlio” se pensiamo a ciò che ha dovuto patire;
3) La teoria che l’unzione sarebbe iniziata solo alla Pentecoste, e pertanto fosse del tutto sconosciuta nei tre anni di vita pubblica di Gesù (infatti Egli non ne ha mai parlato). Essa non ha riscontro nella Bibbia, anzi viene smentita dal fatto che Gesù, proprio all’inizio della vita pubblica, ha parlato di “figli di Dio”, di “visione di Dio”, di “premio celeste” (cf nelle Beatitudini) ad un popolo che non era unto né consapevole, neanche come promessa, che lo sarebbe stato in avvenire;
4) Si deve sapere anche che il geovismo, per rattoppare alla meglio la sua teoria dell’unzione, sostiene che tutti i cristiani del primo secolo erano della categoria degli Unti. Ma questo non risulta dalla Bibbia che parla sì dell’effusione dello spirito episodica in più parti degli Atti, ma non ne parla come di un evento generalizzato che avrebbe investito assolutamente tutti i credenti. Ed in ogni caso ne sono stati certamente esclusi coloro che, divenuti seguaci di Gesù sin dagli inizi e ai quali fu fatto il discorso delle Beatitudini con annessa speranza celeste, sono morti prima della Pentecoste.
___________________________
* E non andrebbero dimenticati quel sant'uomo di Simeone e della profetessa Anna, entrambi anziani. E - paradosso dei paradossi - Elisabetta che, essendo già vecchia quando nacque Gesù, ben difficilmente avrà vissuto altri 33 anni per ricevere l'unzione a Pentecoste. Anche lei dunque esclusa dal novero degli Unti, nonostante fosse stata "ripiena di spirito santo" (NM) cioè come... immersa nell'unzione dalla visita di Maria (cf Luca 1,41). E poi dice che il geovismo rifiuta i misteri!...



Vangelo Lc 13,22-30
In quel tempo, Gesù passava insegnando per città e villaggi, mentre era in cammino verso Gerusalemme.
Un tale gli chiese: «Signore, sono pochi quelli che si salvano?».
Disse loro: «Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, io vi dico, cercheranno di entrare, ma non ci riusciranno.
Quando il padrone di casa si alzerà e chiuderà la porta, voi, rimasti fuori, comincerete a bussare alla porta, dicendo: “Signore, aprici!”. Ma egli vi risponderà: “Non so di dove siete”. Allora comincerete a dire: “Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza e tu hai insegnato nelle nostre piazze”. Ma egli vi dichiarerà: “Voi, non so di dove siete. Allontanatevi da me, voi tutti operatori di ingiustizia!”.
Là ci sarà pianto e stridore di denti, quando vedrete Abramo, Isacco e Giacobbe e tutti i profeti nel regno di Dio, voi invece cacciati fuori.
Verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa nel regno di Dio
. Ed ecco, vi sono ultimi che saranno primi, e vi sono primi che saranno ultimi».

“vedrete Abramo, Isacco e Giacobbe e tutti i profeti nel regno di Dio… siederanno a mensa nel regno di Dio”; questo accenno collega il Vangelo alla prima Lettura. In esso abbiamo la conferma che la teoria dell’unzione a Pentecoste non è sostenuta da Gesù. Nel Regno di Dio, che il geovismo chiama “Reame dei cieli” dove, metaforicamente, si “siede a mensa”, cioè si gode della beatitudine celeste, Gesù include i giusti dell’Antico Patto che non hanno ricevuto l’unzione.
Essi saranno dunque i primi severi giudici del CD dei TG che, storpiando la dottrina biblica, li vorrebbe tutti risuscitati con un corpo di “carne e sangue” e relegati eternamente sulla terra paradisiaca.
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Re: "E venne un uomo..." Anno 2012-2013 Ciclo liturgico "C"

Messaggioda Sandro » ven ago 30, 2013 5:23 pm

Domenica 1 Settembre 2013 - XXII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (Anno C)



Prima Lettura Sir 3,19-21.30.31 (NV) [gr. 3,17-20.28-29]
Figlio, compi le tue opere con mitezza,
e sarai amato più di un uomo generoso.
Quanto più sei grande, tanto più fatti umile,
e troverai grazia davanti al Signore.
Molti sono gli uomini orgogliosi e superbi,
ma ai miti Dio rivela i suoi segreti.
Perché grande è la potenza del Signore,
e dagli umili egli è glorificato.
Per la misera condizione del superbo non c'è rimedio,
perché in lui è radicata la pianta del male.
Il cuore sapiente medita le parabole,
un orecchio attento è quanto desidera il saggio.

Questo libro, che in antico si chiamava Ecclesiastico. È uno dei famosi sette deuterocanonici, presenti nella versione della LXX e perciò accolto dalla Chiesa Cattolica e Ortodossa. Essi sono imprecisamente qualificati “apocrifi” dalla tradizione protestante, seguita dal geovismo, e perciò il Siracide non figura nel Canone della NM. Quindi il nostro commento non ha riscontri di confronto e possiamo solo invitare i fratelli TG a leggere questo brano perché ha comunque un valore di indiscutibile saggezza, utile a tutti.


Seconda Lettura Eb 12,18-19.22-24a
Fratelli, non vi siete avvicinati a qualcosa di tangibile né a un fuoco ardente né a oscurità, tenebra e tempesta, né a squillo di tromba e a suono di parole, mentre quelli che lo udivano scongiuravano Dio di non rivolgere più a loro la parola.
Voi invece vi siete accostati al monte Sion, alla città del Dio vivente, alla Gerusalemme celeste e a migliaia di angeli, all’adunanza festosa e all’assemblea dei primogeniti i cui nomi sono scritti nei cieli, al Dio giudice di tutti e agli spiriti dei giusti resi perfetti, a Gesù, mediatore dell’alleanza nuova.

In questa Lettura si dice che i cristiani sono introdotti in una relazione nuova , una nuova alleanza con Dio, che è fatta di intimità gioiosa e di comunione con gli angeli e i santi. Il quadro che ci viene presentato è ultraterreno. Si tratta del “luogo”, simboleggiato dal Monte Sion e dalla Gerusalemme celeste, in cui vivono, in comune “assemblea”, Dio, Gesù, gli angeli e “gli spiriti dei giusti resi perfetti”. Per noi non c’è dubbio, si tratta del paradiso, della Chiesa trionfante. E si dice che esiste una comunione tra questa comunità di viventi e noi cristiani ancora “viatori” sulla terra.
L’elenco però evidenzia una contraddizione nella teologia geovista per vari motivi.
Soprassedendo al “paradiso terrestre” (che poi è stato inventato solo nel 1935) e chiamando questo paradiso in oggetto “Reame dei cieli”, come piace al geovismo, abbiamo che esso è ritenuto reale e già attuato dall’autore della Lettera Agli Ebrei (che il geovismo ritiene ancora paolina), mentre la dottrina geovista dice che il Regno di Dio è stato inaugurato solo nel 1914, quando Gesù-Michele avrebbe cacciato via Satana e compagni.
Non solo, ma “la congregazione dei primogeniti che sono stati iscritti nei cieli” (così la NM) è quella degli Unti, e dottrina vuole che essi non ci stavano in cielo al tempo della Lettera giacché vi sarebbero stati assunti solo nel 1918.
Di più, oltre a loro, la Lettera dice che in quella assemblea vi sono gli “spiriti dei giusti resi perfetti”. Ora, non essendo essi gli Angeli, né i primogeniti, l’unica è che si tratti dei giusti dell’Antico testamento (Noè, Abramo, Isacco, Giacobbe ecc….) che invece il geovismo vuole ancora nullificati o – passiamogliela! – “addormentati nella morte” in attesa di essere “destati” dopo Amaghedon per vivere eternamente sulla terra.
Nella NM questi “spiriti dei giusti” sono resi “vite spirituali dei giusti”. L’intento di occultare l’immortalità dell’anima (detta anche spirito nel linguaggio comune) è palese, anche perché la NM ammette, in nota, che letteralmente la traduzione sarebbe “spiriti”. Il lettore frettoloso potrebbe anche confonderli con gli angeli, che nel geovismo sono detti “spiriti”, ma essi sono già stati elencati prima. La manovra insomma non riesce perché si ammette che tali “vite spirituali” sono quelle dei “giusti che sono stati resi perfetti”. Essi non sono gli angeli che hanno concretizzato la loro perfezione schierandosi dalla parte di Geova ai tempi dei tempi, contro i demoni. Quindi non può trattarsi che di spiriti umani che (ohibò) il geovismo vuole inesistenti giacché la morte nullifica l’uomo e l’unica speranza di tornare in vita per lui è quella della risurrezione futura.
Ci perdonerà il TG che ritenesse queste osservazioni, contestanti la dottrina, “dibattito e contesa”. Noi le riteniamo esercizio di bereanità e adorante rispetto per la Parola di Dio, della quale neanche uno jota deve “passare” perché anche i minimi particolari hanno una loro preziosità in relazione alla verità rivelataci da Dio.



Vangelo Lc 14,1.7-14
Avvenne che un sabato Gesù si recò a casa di uno dei capi dei farisei per pranzare ed essi stavano a osservarlo.
Diceva agli invitati una parabola, notando come sceglievano i primi posti: «Quando sei invitato a nozze da qualcuno, non metterti al primo posto, perché non ci sia un altro invitato più degno di te, e colui che ha invitato te e lui venga a dirti: “Cèdigli il posto!”. Allora dovrai con vergogna occupare l’ultimo posto. Invece, quando sei invitato, va’ a metterti all’ultimo posto, perché quando viene colui che ti ha invitato ti dica: “Amico, vieni più avanti!”. Allora ne avrai onore davanti a tutti i commensali. Perché chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato».
Disse poi a colui che l’aveva invitato: «Quando offri un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici né i tuoi fratelli né i tuoi parenti né i ricchi vicini, perché a loro volta non ti invitino anch’essi e tu abbia il contraccambio. Al contrario, quando offri un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi; e sarai beato perché non hanno da ricambiarti. Riceverai infatti la tua ricompensa alla risurrezione dei giusti».

C’è ben poco da dire su tale lettura, oltre all’invito a condividerne l’insegnamento divino, del tutto opposto a ciò che il mondo suggerisce per primeggiare. Se qualcuno la legge nella NM troverà che la “parabola” viene resa con “illustrazione” (una volontà di distinguersi?); il semplice “metterti” viene reso con “giacere” (scelta scrupolosa per indicare il modo di sedere a mensa allora in uso); e la normalissima “cena” diventa “pasto serale” (non si capisce proprio perché, dal momento che invece il “pranzo” è rimasto tale e quale). Sono però tutte manifestazioni di una volontà che, a costo di rendere il testo a volte incomprensibile o farraginoso, vengono scusate dal geovismo con l’assunto di voler essere il più possibile fedeli alla “lettera” dell’originale*. Allo stesso modo il geovismo si picca di seguire il più possibile alla lettera ogni prescrizione che la Bibbia dà. Ma come si vede, fatta la legge scoperto l’inganno, giacché, almeno dalle testimonianze raccolte dagli ex TG, non risulta che i TG invitino ai loro “banchetti” i “poveri,storpi, zoppi, ciechi” di cui parla Gesù. Ed è certo che di banchetti ne fanno, ma sembra sempre riservati ai propri “fratelli di fede”.
___________________________________________
* “Nella Traduzione del Nuovo Mondo si è cercato di cogliere l’autorevolezza, il vigore, il dinamismo e la franchezza delle Scritture Ebraiche e Greche originali e di esprimere queste caratteristiche in italiano moderno.
Non si è fatto ricorso a parafrasi delle Scritture. Piuttosto, si è compiuto uno sforzo per rendere la traduzione la più letterale possibile laddove l’italiano moderno lo permette e quando la versione letterale non risulta incomprensibile a motivo di qualche espressione strana.” (NMrif pag. 7)
Progetto che probabilmente non è riuscito del tutto se poi nella NM troviamo espressioni come “lavavo i miei passi nel burro”, “tutta la notte faccio nuotare il mio letto”, “l’uragano viene dalla stanza interna” ecc… C’è chi ha fatto una raccolta molto ampia di tali stranezze espressive. E non va dimenticato che questa traduzione che reclama di voler essere “la più letterale possibile” diventa interpretazione forzata e perfino deformata, con l’aiuto di aggiunte e sottrazioni, laddove la traduzione letterale va contro la dottrina geovista. (cf tutti gli Autori da noi già citati che hanno criticato, con la autorevolezza di competenti, la versione NM proprio per questo motivo)
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Re: "E venne un uomo..." Anno 2012-2013 Ciclo liturgico "C"

Messaggioda Sandro » ven set 06, 2013 3:25 am

Domenica 8 Settembre 2013 - XXIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (Anno C)



Prima Lettura Sap 9,13-18
Quale uomo può conoscere il volere di Dio?
Chi può immaginare che cosa vuole il Signore?
I ragionamenti dei mortali sono timidi
e incerte le nostre riflessioni,
perché un corpo corruttibile appesantisce l’anima
e la tenda d’argilla opprime una mente piena di preoccupazioni.
A stento immaginiamo le cose della terra,
scopriamo con fatica quelle a portata di mano;
ma chi ha investigato le cose del cielo?
Chi avrebbe conosciuto il tuo volere,
se tu non gli avessi dato la sapienza
e dall’alto non gli avessi inviato il tuo santo spirito?
Così vennero raddrizzati i sentieri di chi è sulla terra;
gli uomini furono istruiti in ciò che ti è gradito
e furono salvati per mezzo della sapienza.

Come la settimana scorsa, anche oggi la liturgia ci propone un brano tratto da un libro che per i TG è “apocrifo” ma per noi “deuterocanonico”, cioè pienamente canonico anche se entrato a far parte del Canone in un secondo momento. La sua presenza in questa nostra domenica, e insieme l’assenza di punti particolari nelle altre Letture su cui svolgere considerazioni critiche, ci offre l’estro per spiegare ai nostri fratelli TG che ci seguono l’idea che abbiamo noi cattolici circa il Canone biblico.

Gioverà ricordare anzitutto che il motivo “ultimo”, decisivo, per cui i libri della Bibbia ebraica sono stati ritenuti “ispirati” e perciò “Parola di Dio” da parte degli ebrei (il che comporta la loro valenza di testo dottrinale e normativo per la vita) è stata una sorta di… votazione fatta dalla Sinagoga ebraica, in maniera ufficiosa da Esdra e ufficiale al Sinodo di Jamnia nel 70 D.C.
Ora, anticamente, vi erano due grandi raggruppamenti di ebrei: uno in Palestina (da cui si è formato un elenco riconosciuto di libri biblici, cioè un “Canone Palestinese”), e un raggruppamento nel popolo ebraico che viveva all’estero e faceva capo alla Sinagoga di Alessandria d’Egitto (dal quale è nato un “Canone Alessandrino”). Questi ebrei di Alessandria conoscevano sia la lingua madre ebraica che quella greca di uso locale e hanno sentito il desiderio di tradurre la Bibbia palestinese in greco. Facendo tale operazione, che ha dato luogo alla famosa versione dei LXX (300 A.C. circa), la Sinagoga locale ritenne di dover riconoscere ispirazione divina anche a sette libri composti direttamente in lingua greca e perciò non compresi nel Canone palestinese. Questi sette libri (tra i quali vi è anche quello della Sapienza in oggetto) sono stati sulle prime trascurati dagli ebrei di Palestina fin quando non si videro costretti a prendere posizione ufficiale contraria (il che avvenne appunto nel 70, a Jamnia, dopo la distruzione del tempio e l'inizio della "dispersione" del popolo ebraico rimasto senza Stato.
Sul fronte cristiano però, quando, dilatandosi la nuova dottrina evangelica, si cominciarono a raccogliere i fatti e detti del Signore e della Chiesa in iscritto - e fu usata per questo la lingua greca popolare (la koiné) - gli scrittori cristiani, citando le antiche scritture ebraiche non le citarono in ebraico ma utilizzarono la versione dei LXX. Lentamente, nella coscienza dei cristiani, che giustamente ritenevano Gesù come la Parola incarnata di Dio, si venne a formare la persuasione che anche alcuni tra gli scritti da loro composti fossero ispirati (a partire da quelli stilati dagli Apostoli di Gesù e loro collaboratori, dal convertito Paolo o altri discepoli (ad es. da quella che ora si ritiene una “scuola giovannea”). Così venne a formarsi progressivamente un Canone delle Scritture del Nuovo Testamento, utilizzato come “rammemoratore” dei fatti e detti di Gesù e come corpo dottrinale della fede e della morale per i cristiani. L’utilizzo pastorale di tali scritti comprendeva pacificamente sia le Scritture ebraiche del VT che quelle cristiane del NT, perché il fattore dirimente della nuova fede era la trasmissione orale e il mandato di cui Gesù aveva investito gli Apostoli dicendo “Come il Padre ha mandato me, così io mando voi… chi ascolta voi ascolta me… lo Spirito vi farà capire ogni cosa…” ecc. Cioè la fede dei cristiani si basava sulla autorità degli apostoli e loro successori nella dirigenza della Chiesa, e la Chiesa rileggeva le Scritture ebraiche alla luce della loro attuazione profetica in Cristo; perciò unì le nuove alle antiche formando la raccolta de "i libri" (gr. ta biblìa) da cui derivò il nome di "Bibbia". Il tutto pacificamente e però destreggiandosi tra numerosi altri scritti concorrenti che venivano gabellati anch'essi come rivelazione divina e desiderosi di entrare a far parte della Bibbia.
Fu solo verso il 400 che, accumulandosi tali altri scritti di memorie degli eventi cristiani, si sentì il bisogno di creare un Canone ufficiale di Scritture cristiane che discernesse scritti ispirati da scritti che pretendevano di esserlo (poi classificati come “apocrifi”. Il procedimento fu identico a quello che avvenne per la cernita delle Scritture ebraiche antiche tra le quali pure molti scritti furono classificati come apocrifi e rifiutati dalla stessa Sinagoga. I vescovi riuniti in un Concilio Regionale a Cartagine verso la fine del 400, hanno stabilito quale dovesse essere per la Chiesa il Canone intero delle Scritture, espungendo gli scritti da lei ritenuti “apocrifi”. E' importante sottolineare che essa ha usato, per determinare l’ispirazione negli scritti esaminati, lo stesso criterio che ha usato la Sinagoga per gli scritti dell’Antico Testamento: il proprio senso di fede! La corrispondenza tra ciò che gli Scritti insegnavano e ciò che la Chiesa predicava già da secoli come messaggio divino.
Ma – ecco il punto! - in tale cernita la Chiesa ha ritenuto di poter accogliere come Scritture ispirate anche i sette libri aggiunti nel Canone dalla Sinagoga di Alessandria e contenuti nella versione dei LXX (ogni introduzione alla Bibbia spiega quali sono). Il fatto che poi a Trento il Concilio Ecumenico abbia ribadito la validità del Canone già stabilito a Cartagine si spiega come si spiegano molti degli interventi dogmatici dei vari Concili: l'importanza di tutelare la retta fede di sempre di fronte al serpeggiare di dottrine eretiche, come appunto a trento fu quella di Lutero che impugnò la validità dei deuterocanonici accolti pacificamente da undici secoli nella Chiesa d'Oriente e d'Occidente e per vari anni dallo stesso Lutero prima dello scisma da Roma. E' riduttivo e inesatto dire che solo a Trento la Chiesa compilò l'elenco dei libri biblici. A Trento ne dette conferma "solenne" con sigillo di infallibilità; ma a Cartagine ne dette già l'elenco "ufficiale" che poi, rientrando questo nelle cose cose credute per Magistero Ordinario (ubique, semper et ab omnibus), anche quell'elenco godeva della non fallibilità.
Io penso che gli ebrei odierni, che rifiutano i deuterocanonici, dovrebbero spiegare perché mai si debba dare credito di infallibile determinazione circa quali libri siano ispirati alla Sinagoga palestinese e non anche a quella di Alessandria. Non risulta che Dio abbia rivelato la supremazia della prima sulla seconda. Anzi, l'uso da parte degli agiografi cristiani (ispirati!) di citare la LXX (che conteneva i deuterocanonici!) depone piuttosto per una preferenza divina per la seconda Sinagoga rispetto alla prima. Preferenza che per noi cattolici è pacifica in forza delle parole di Gesù che alla sua Chiesa ha dato il potere del verdetto, sia nell'individuare quali siano le Scritture ispirate, sia il senso esatto da ricavare nella loro lettura.
E ad un fratello protestante chiederei per quale motivo la Riforma, che negando valore ispirato ai Deuterocanonici, dichiara con ciò di non ritenere infallibile il pronunciamento della Chiesa a Trento, ritiene invece infallibile il negazionismo riduttivo del singolo Lutero sui sette Deuterocanonici. E ancora, come si fa a conciliare comunque l'accettazione da parte dei protestanti degli altri libri che pure sono stati dichiarati canonici dalla Chiesa Cattolica al Concilio di Cartagine (si badi con giudizio ritenuto indubitabile fino a Lutero, e perciò protetto da infallibilità divina) e non accettare al contempo, ritenendola dubitabile e discutibile, l'interpretazione che degli stessi la Chiesa Cattolica propone? Coerenza non vorrebbe che, venendo meno alla Riforma il criterio del verdetto su quali siano i libri ispirati e quali no, si debba ammettere che i protestanti "sperano" di avere tra le mani la Parola di Dio ma non ne sono affatto sicuri. Almeno così dovrebbe essere fin quando non si inventino dei criteri propri (tutti condivisi da tutte le denominazioni!) per determinare l'ispirazione dei singoli libri; criteri diversi dall'unico criterio che per noi cattolici è l'unico accettabile: il verdetto pronunciato dalla Chiesa cattolica. (cf "Come il Padre ha mandato me così io mando voi... io sarò con voi fino alla fine... chi ascolta voi ascolta me..." etc).

Fatto interessante. In questo testo di Sapienza si legge di una distinzione tra “corpo-tenda d'argilla” e “anima-mente” ed insieme si attribuisce al corpo una funzione di remora rispetto alle capacità dell’anima. Anima (o spirito) che, grazie alle sue caratteristiche di intelligenza e volontà, antropologicamente è ciò che specifica l’uomo e lo rende, anche biblicamente, a differenza di ogni animale, capace di “conoscere Dio” e di “corrispondere” con Dio come creatura e come figlio adottivo. Quella “anima”, in cui risiede il centro della personalità umana, e ben diversa dal corpo che muore, la troviamo ben attestata sin dall'inizio nel libro della Sapienza, soprattutto in relazione a quel fenomeno terribile che, a prima vista sembra distruzione completa dell’uomo: la morte. Questo Libro biblico dice che questo fenomeno del morire, in relazione alla sorte dei giusti, è solo ciò che “sembra agli occhi degli stolti”, la realtà è ben diversa. (cf. Sapienza 1,1ss.)


Seconda Lettura Fm 9b-10.12-17
Carissimo, ti esorto, io, Paolo, così come sono, vecchio, e ora anche prigioniero di Cristo Gesù. Ti prego per Onèsimo, figlio mio, che ho generato nelle catene. Te lo rimando, lui che mi sta tanto a cuore.
Avrei voluto tenerlo con me perché mi assistesse al posto tuo, ora che sono in catene per il Vangelo. Ma non ho voluto fare nulla senza il tuo parere, perché il bene che fai non sia forzato, ma volontario.
Per questo forse è stato separato da te per un momento: perché tu lo riavessi per sempre; non più però come schiavo, ma molto più che schiavo, come fratello carissimo, in primo luogo per me, ma ancora più per te, sia come uomo sia come fratello nel Signore.
Se dunque tu mi consideri amico, accoglilo come me stesso.

Abbiamo sottolineato un punto che evidenzia il costituirsi di una sorta di parentela spirituale tra l’Apostolo evangelizzatore e i discepoli evangelizzati e fatti nascere alla vita cristiana. E’ per tale legame che nella Chiesa si usa dare il titolo di “padre” ai sacerdoti. Potrebbero utilizzarlo anche i TG proclamatori nei confronti dei loro adepti invece di brontolare su questa usanza. Io, nei confronti di mio figlio sacerdote, mi sento padre biologicamente come comunicatore di vita umana, padre spiritualmente come primo evangelizzatore alla vita cristiana, fratello nella comune fede, e perfino figlio di lui che, come educatore ufficiale nella fede, è andato più avanti di me e ha molto da insegnarmi. Le relazioni spirituali permettono questo ed altro.


Vangelo Lc 14,25-33
In quel tempo, una folla numerosa andava con Gesù. Egli si voltò e disse loro:
«Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo.
Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo.
Chi di voi, volendo costruire una torre, non siede prima a calcolare la spesa e a vedere se ha i mezzi per portarla a termine? Per evitare che, se getta le fondamenta e non è in grado di finire il lavoro, tutti coloro che vedono comincino a deriderlo, dicendo: “Costui ha iniziato a costruire, ma non è stato capace di finire il lavoro”.
Oppure quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila? Se no, mentre l’altro è ancora lontano, gli manda dei messaggeri per chiedere pace.
Così chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo».

“la propria croce”: la NM al solito ha “il proprio palo di tortura”. Ma non è una cosa di sempre. Il cambiamento da croce a palo c’è da quando (verso il 1930) il secondo Presidente dei TG, Rutherford, ha deciso che non poteva più “gloriarsi della croce di Cristo”, come faceva prima sia lui che il fondatore Russell. Alla mia mente bereana viene da chiedersi: cambiare visuale riguardo a ciò che la Bibbia indica con i termini di stauròs e kylon sarà pure legittimo, ma come non chiedersi di chi è stata la responsabilità per aver fatto peccare, senza alcun motivo plausibile, di idolatria i fedeli geovisti per oltre mezzo secolo prima del 1930? Se è vero che la WT riceve la verità teocraticamente e senza metterci nulla di proprio dal “Canale di comunicazione di Geova”, chi è che per mezzo secolo ha trasmesso croce e non palo?

“quale re, partendo in guerra…per chiedere la pace”: ciò che è strano in questo brano è il fatto che Gesù, che si suppone fosse bravissimo in geovismo, primo: abbia tirato fuori questo esempio così ostico al pacifismo geovista per insegnare la prudenza preventiva (ne aveva a disposizione una milionata di esempi diversi); secondo: che, usandolo, non abbia minimamente accennato alla sua repulsione per la guerra. Niente, neanche una parentesi per dire “sia ben chiaro che sbaglia sia chi fa la guerra sia chi resiste accettandola”. Misteri?

“Così chiunque di voi…”: la NM conferma dicendo: “Così potete essere certi che nessuno di voi che non si separi da tutti i suoi averi può essere mio discepolo”.
E fatta! Quindi nessun TG (sempre salvando un pugno di mosche bianche che lo facesse davvero!) è discepolo di Gesù. Chiunque vuol dire sia se dirigente della Betel sia se semplice proclamatore. E’ Gesù a dirlo! Ma ecco che, forse e senza forse, qui il rigido fondamentalismo della WT si piega ad una interpretazione non letterale della Bibbia, e fanno capolino salvifico le figure letterarie della metafora, del paradosso, dell’iperbole… o - come in questo caso interpreta qualsiasi discepolo di Cristo - la possibilità di una interpretazione spirituale, affettiva, che indichi non il dovere di un distacco reale pauperizzante ma solo interiore riguardo ai beni che si posseggono. E’ ciò che il nostro buon Papa Giovanni XXIII - signore si badi di un intero… Stato! - esprimeva dicendo “le mie valigie sono pronte”.
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