20 novembre 2010 -Avvenire
Il direttore risponde
Io amico di Eluana vi dico
Caro direttore, dopo una lunga riflessione ho deciso di scriverle in merito alla trasmissione "Vieni via con me" di lunedì sera, con particolare riferimento al modo in cui sono stati trattati i casi Englaro e Welby. Per me non è semplice prendere posizione sull’argomento, dato che sono uno degli amici le cui parole in ricordo di Eluana sono state lette da Fazio in trasmissione, prima dell’intervento di Beppino Englaro. Ed è ancora più difficile scriverle, perché la vicenda di Eluana riapre ogni volta in me una ferita personale, dato che io per primo, pur essendo suo amico, l’ho abbandonata al suo destino, considerandola praticamente già morta, nonostante lei fosse viva, in un letto d’ospedale.
Ciò nonostante Eluana, che mi considerava un vero amico, non mi ha lasciato andare e mi ha voluto coinvolgere di nuovo nella sua vicenda tramite la determinazione del padre, che in tutti questi anni mi ha costantemente cercato e coinvolto, in ogni passaggio della sua battaglia personale. Devo dire grazie per questo a Beppino, per il quale provo affetto e stima, pur non condividendo i principi né il tragico esito che ha voluto dare alla sua battaglia. Proprio questo è il punto: per me il "caso" Eluana è prima di tutto una immane tragedia che colpisce una giovane donna e la sua famiglia; quando se ne parla non si dovrebbe mai perdere di vista il fatto che questa è la realtà, al di là di opinioni ed ideologie.
È sulla base di questo presupposto che in tutti questi anni io, cattolico praticante, mi sono confrontato sulla vicenda con Beppino. È stato un confronto aperto, senza pregiudizi, senza che nessuno dei due facesse riferimento a qualsiasi vessillo ideologico: lui, un padre immerso in una tragedia inconcepibile che perseguiva in perfetta buona fede quello che riteneva essere il bene per la figlia; io, un amico che non voleva più scappare da una vicenda che aveva percepito come più grande di lui e che cercava di stargli vicino nell’unico modo che riteneva possibile, cioè la presenza ed il confronto delle idee.
In tutto questo periodo, discutendo con lui, ho spesso seguito il suo pensiero, approfondendo e verificando tutte le sue argomentazioni senza mai oppormi aprioristicamente; ma la domanda fondamentale che continuavo a pormi era: ma questa è vita? Alla fine io ho risposto alla domanda. Perché nel momento in cui è uscita la sentenza della Cassazione ho definitivamente smesso i panni della persona che può stare a destra o a sinistra, può essere cattolico o no e mi sono detto: ma tu lo faresti veramente? E la risposta è stata: no. Io non riuscirei mai a fare questa cosa. Perché dentro, nel profondo di me stesso, sentivo che quella vita, anche ad livello così minimo di coscienza, era comunque una vita, una cosa misteriosa che non mi sarei mai sentito di sopprimere.
Questa mia posizione non è emersa da idee astratte o da suggestioni ideologiche, ma dal confronto con chi la pensava diversamente e dal giudizio sulla realtà che mi stava di fronte; quella realtà nella quale lo stesso Beppino mi aveva voluto immergere. È per questo che alla fine mi sono determinato a scriverle.
Ero a conoscenza di come sarebbe stato trattato in trasmissione il caso di Eluana ed avevo comunque accettato di ricordarla ancora una volta con le mie parole, ma mai mi sarei aspettato un monologo come quello di Saviano su Welby.
Mi è sembrato un vero e proprio attacco alla Chiesa, ideologico quanto ingiustificato e, in ultima analisi, neanche particolarmente suggestivo o raffinato sotto il profilo retorico. In particolare l’argomento secondo cui il funerale cattolico è stato concesso a dittatori e mafiosi e negato a Welby, oltre ad offendermi come cattolico, è apparso come una semplificazione brutale ed intellettualmente disonesta. Si tratta di una posizione che nasce da un pregiudizio e certamente non tiene conto della realtà: esattamente l’opposto del modo in cui, almeno secondo me, le vicende più importanti nella nostra vita dovrebbero essere trattate.
Nicola Brenna
I lettori si saranno resi conto, leggendola, di quanto intensa e preziosa sia la sua testimonianza, caro avvocato Brenna.Io e i miei colleghi, che da tempo conosciamo e abbiamo sempre rispettato i suoi sentimenti e il suo riserbo, vogliamo solo sottolinearne la luminosa e illuminante straordinarietà. Grazie.
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