Apologetica

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Re: Apologetica

Messaggioda GrisAdmi » mer dic 08, 2010 12:39 am

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Titolo Questioni di fede. 150 risposte ai perché di chi crede e di chi non crede
Autore Ravasi Gianfranco Prezzo
Sconto € 19,00
Dati 2010, 266 p., rilegato
Editore Mondadori (collana Saggi)

Descrizione
Perché Dio permette il male e la sofferenza? Che cosa ci attende dopo la morte? Come conciliare la fede cristiana con la teoria evoluzionistica? Sono alcune delle tante domande, scomode e affascinanti al tempo stesso, che vengono spesso rivolte a monsignor Gianfranco Ravasi. Il celebre biblista ne ha raccolte centocinquanta, offrendo a ciascuno di questi interrogativi, che accompagnano il cammino di credenti e non credenti, una risposta chiara e argomentata. Affrontare con le corrette coordinate metodologiche i testi della tradizione giudaico-cristiana è la condizione imprescindibile per rispondere non solo alle domande più spinose e cruciali, ma anche a interrogativi insoliti e curiosi: Gesù ha mai riso? Sapeva leggere e scrivere? Quali lingue parlava? Monsignor Ravasi guida il lettore nel mistero della vita e della fede, e tra le innumerevoli sfumature di quel capolavoro irripetibile che è la Bibbia.
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Taxa Camerae: solo una bufala

Messaggioda Citocromo » ven mar 18, 2011 8:09 pm

Su "Avvenire" di oggi (18-03-2011) hanno segnalato un articolo di V. Messori apparso sulla rivista cattolica "Il Timone" (rubrica Vivaio) il mese scorso. Riporto l'articolo in questo 3D perchè mi sembra molto interessante.

Taxa Camerae

di Vittorio Messori

Se dovessi compilare un "pronto soccorso apologetico" da consultare quando ci si imbatte nelle maggiori bufale anticattoliche, non esiterei a mettervi dentro quella che viene chiamata la Taxa Camerae. Di che si tratta? La Taxa Camerae sarebbe un elenco tariffario risalente al 1517 e dovuto a papa Leone X, redatto allo scopo di vendere assoluzioni sacramentali per peccati gravi già commessi o da commettersi in futuro e anche per sanare situazioni in cui fosse prescritta una condanna penale (si veda il testo del presunto tariffario riprodotto in queste pagine).

È un documento allucinante, tanto che, se fosse autentico, avrebbe ragione uno di coloro che lo prendono sul serio e che l'ha chiamato: «il punto culminante della corruzione e del cinismo umani». Se ne scrivo qui per mettere in guardia i lettori, è perché non si tratta di una curiosità per eruditi ma questo testo lo si trova da molte parti e usato come arma da guerra contro la Chiesa romana.

C'è, ad esempio, nel sito internet della UARR, Unione Agnostici Atei Razionalisti in cui uno dei grandi capi è l'ex-seminarista Piergiorgio Odifreddi che, più che alla sua professione di docente di matematica, si è dedicato alla propaganda anticristiana. C'è, per continuare con gli esempi tratti dalla Rete, sui siti dei Testimoni di Geova. Soprattutto, il documento è stato (ed è tuttora) usato con larghezza dai protestanti. E questo sin dagli inizi della Riforma: le biblioteche conservano molti volumi, dal XVI secolo ai giorni nostri, in cui la famigerata Taxa è portata come esempio supremo della corruzione dei vertici stessi del cattolicesimo.

Si noti, tra l'altro, che la data che è assegnata al testo è quella stessa dell'inizio della rivolta luterana. Ma una recente, ulteriore diffusione di massa è avvenuta grazie al successo internazionale del libro di un giornalista spagnolo, sedicente storico - Pepe Rodriguez - che qualche anno fa ha pubblicato un libro con un titolo esplicito: Mentiras fundamentales de la Iglesia catòlica. Anche la traduzione italiana ha avuto una notevole diffusione, divenendo un best seller di quella che i francesi chiamano la presse de gare, le pubblicazioni cioè esposte e vendute dalle edicole delle stazioni ferroviarie.

Il testo pubblicato, naturalmente come autentico, dal Rodriguez è quello che pubblichiamo ed è il più lungo, con i suoi 35 "casi", tra tutti quelli divulgati dalla polemica anticlericale. Molti di questi "casi" compaiono solo qui e sembrano essere stati inseriti apposta per aumentare la gravita della simonia e suscitare ancor più lo sdegno del lettore. Ma il nostro spagnolo, almeno per questa diffamazione non l'ha passata liscia visto che - finalmente - vi è stata una replica cattolica, per giunta condotta da studiosi qualificati e zelanti.

In effetti, un istituto religioso di origine argentina, particolarmente attento alla pastorale, è passato all'attacco. E questo anche perché, come si sa, l'America Latina sta purtroppo diventando un continente ex-cattolico. Ogni giorno, migliaia di latinoamericani passano alle infinite sette e chiesuole "evangeliche" finanziate da gruppi non solo religiosi, ma anche politici, degli Stati Uniti. Per questo "protestantesimo impazzito", come qualcuno lo ha chiamato, la Chiesa cattolica è quella dell'Anticristo. E che cosa di meglio, per dimostrarlo, che il sacrilego commercio con la Grazia, dove i Papi mettono a prezzo addirittura il perdono di Dio? La "lista" del Rodriguez è stata addirittura stampata in migliaia di copie e distribuita davanti alle chiese, all'uscita delle messe.

Da qui, la decisione dei religiosi argentini di creare un gruppo di ricerca, che cominciò chiedendo al pubblicista spagnolo di indicare le fonti alle quali aveva attinto il testo pubblicato e spacciato come vero, ma senza indicazioni e referenze. Il Rodriguez seppe presentare soltanto qualche fotocopia di polemisti anticlericali fine Ottocento e primo Novecento, ma anch'essi avevano pubblicato il presunto documento senza alcuna nota. Dunque, non avevano storicamente alcun valore. Ciascuno, poi, dava un testo della Taxa diverso da quello degli altri.

Gli investigatori cattolici scoprirono comunque che lo stesso, identico testo pubblicato dal Rodriguez era stato stampato da libellisti anarchici nella Barcellona della guerra civile. Qui pure, senza alcuna indicazione della fonte. Rodriguez, messo alle strette, cercò di scusare la mancanza di dati bibliografici con una giustificazione davvero grottesca. Disse, cioè, che se nessuno poteva esibire il documento originale di papa Leone X era perché questi fogli - che, se conosciuti, potevano rovinare la Chiesa intera - erano custoditi in una stanza occulta dell'Archivio Segreto Vaticano, protetti da ben sei linee di controlli di sicurezza, le ultime due delle quali presidiate "da guardie svizzere armate di mitra"!

Come gli fu fatto notare, non ci sono in Vaticano "svizzeri" armati di mitra, meno che mai all'Archivio Segreto, il cui nome tra l'altro ha sempre favorito le fantasie di visionar! e gli spacciatori di bufale che non sanno o fingono di non sapere che secretairi, in latino, non vuoi dire nascosto ma privato. Dopo l'apertura disposta da Leone XIII a beneficio degli storici di tutto il mondo, le sole carte interdette agli studiosi sono, come è norma negli archivi di Stato di ogni Continente, quelle meno vecchie di un certo numero di anni, di solito cinquanta. E, questo, per lasciare che muoiano i protagonisti delle vicende di cui quella carte testimoniano. Per tutela, insomma, della onorabilità di tutti, almeno in vita.

Comunque, a parte il ridicolo delle "linee di difesa armata": se queste esistessero davvero, sarebbero a protezione di un documento ovviamente unico, di cui esiste una sola copia. Ma, allora, a che sarebbe servito? Come avrebbe potuto arricchirsi papa Leone X, se egli solo avesse conosciuto quelle tariffe e se non ne fossero state distribuite molte copie agli uffici incaricati della riscossione? Ogni documento pontificio, per avere efficacia, deve essere pubblicato su una sorta di Gazzetta Ufficiale, il Bullarium Romanum dove, ovviamente, non c'è traccia di questa Taxa. Come e dove, dunque, avrebbe circolato?

Ci sarebbe una possibile replica: quella nascosta è la sola copia rimasta di molte altre diffuse. Ma se era ed è considerata così pericolosa, tanto da nasconderla e difenderla a ogni costo, perché conservarla? Basta un fiammifero per distruggere alcuni fogli di vecchia carta. Un rimedio ben più sicuro e assai meno costoso degli "svizzeri con il mitra"! La storia dice che, periodicamente, tutti i regimi totalitari fanno un rogo dei documenti compromettenti. Perché non avrebbe fatto così anche il diabolico Vaticano?

In realtà, nel suo lavoro durato molto tempo ed esteso alle biblioteche d'Europa e delle Americhe, l'equipe cattolica di ricerca ha stabilito che delle Taxae Camerae sono esistite veramente e ne ha ritrovate alcune copie stampate. Si tratta di strumenti amministrativi che, a tutela di chi doveva pagare, fissavano le tasse e gli onorar! massimi da pagare ai funzionari, agli scrivani, agli avvocati, ai titolari di sigilli che rilasciavano i documenti per dispense, permessi, contenziosi, sanzioni, condoni e, in alcuni casi, persine scomuniche.

Le cose apocrife alla Rodriguez vogliono far credere che si tratti di "listini prezzi" per il perdono dei peccati, mentre le liste autentiche sono una sorta di "calmiere" per evitare abusi economici nel rilascio di documenti. Ogni nuova edizione di queste Taxae aveva all'inizio il monito secondo il quale tutto ciò che concerne i sacramenti è sempre stato, è e sarà, del tutto gratuito e che la Camera Apostolica -cioè l'amministrazione dei beni pontifici - non avrebbe ricevuto nulla dal pagamento, che andava tutto intero a favore degli uffici e delle persone, come avvocati e notai, che avevano lavorato per la concessione del documento. Là dove si parla di "assoluzione", questa è sempre e solo legale, da una sanzione secondo il diritto canonico, mai assoluzione sacramentale.

Va inoltre aggiunta una precisazione importante: gli apocrifi, come quello spacciato per buono da Rodriguez, hanno aggiunto, per creare maggior scandalo, peccati, colpe, mostruosità per i quali non esisteva, e non esisterà mai, tolleranza disciplinare o permessi e dispense. Laddove si trattava di reato e non di peccato, erano i tribunali civili, quelli dello Stato, ad avere autorità, non quelli canonici. Che c'entrava la Penitenzieria pontificia che si occupava, e si occupa, di "delitti" spirituali, con omicidi, furti, incendi dolosi, contrabbando e persino licenze commerciali di vendita?

Per spiegarsi meglio, la commissione che dicevamo ha fatto l'esempio di quelle pergamene con la "benedizione papale" che si trovano in vendita a Roma e che molti devoti comprano per portarle a parenti ed amici rimasti a casa. Quelle pergamene hanno un prezzo, dovuto al materiale, alla scrittura spesso a mano, ai disegni, alla distribuzione, infine all'equo guadagno per il venditore. Nei negozi può essere esposta una "lista prezzi per le benedizioni papali". Ma chi può pensare che a tariffa sia posta quella benedizione che è data gratuitamente a tutti, anche alla radio e alla televisione?

Ovviamente, come sempre avviene con i falsari, soprattutto per ragioni ideologiche, malgrado il cumulo schiacciante di prove addotte dopo lungo lavoro dalla commissione di ricerca, Pepe Rodriguez ha rifiutato di scusarsi e togliere la sua Taxa Camerae dalle nuove edizioni del suo libro. Si è limitato ad aggiungere una nota, secondo la quale l'autenticità del testo era "dubbiosa". Ma di dubbi non devono averne quei cattolici che, su Internet o in qualche giornale popolare o pamphlet di propaganda protestante o geovista o in un libro alla Odifreddi, si imbattano in una delle molte versioni della "infamia" che sarebbe stata commessa dai papi del Rinascimento facendo commercio del perdono di Cristo. Nessun dubbio, dunque: si tratta certamente di falsi che non debbono minimamente preoccuparli.

Lo stesso cattolicissimo Ludwig von Pastor, autore di quella che resta la più prestigiosa delle Storie dei Papi, ha parole severe per la corruzione durante i pontificati rinascimentali e in particolare quello di Leone X. Si commisero cose gravi ma mai, grazie a Dio, mai si giunse a quella più grave, la Grazia di Cristo messa a tariffa! Tanto che il von Pastor neanche accenna alla favola della Taxa.

I credenti, comunque, tengano presente che qualcuno potrebbe cercare di imbrogliare le carte, mescolando la presunta vendita di perdono sacramentale con la cosiddetta vendita delle indulgenze. I problemi sono completamente diversi: la Taxa Camerae concederebbe a pagamento il perdono per peccati commessi o da commettere, mentre le indulgenze riguardano o i defunti o, se i vivi, suppongono il peccato già perdonato dal sacramento (gratuito) della penitenza. Ma di questo tema delle indulgenze, così spesso incompreso, potremmo magari parlare in un'altra "puntata".

* * *
Ecco i 35 punti della "tariffa per le assoluzioni"
da versare alla Camera Pontificia e stabilite da Leone X,
stando al pubblicista spagnolo Pepe Rodriguez

1) L'ecclesiastico che incorresse in peccato carnale, sia con suore, sia con cugine, nipoti o figliocce, sia, infine, con un'altra qualsiasi donna, sarà assolto, mediante il pagamento di 67 libbre, 12 soldi.
2) Se l'ecclesiastico, oltre al peccato di fornicazione, chiedesse d'essere assolto dal peccato contro natura o di bestialità, dovrà pagare 219 libbre, 15 soldi.
Ma se avesse commesso peccato contro natura con bambini o bestie e non con una donna, pagherà solamente 131 libbre, 15 soldi.
3) Il sacerdote che deflorasse una vergine pagherà 2 libbre, 8 soldi.
4) La religiosa che ambisse alla dignità di abbadessa dopo essersi data a uno o più uomini simultaneamente o successivamente, all'interno o fuori del convento, pagherà 131 libre, 15 soldi.
5) sacerdoti che volessero vivere in concubinato con i loro parenti pagheranno 76 libbre, 1 soldo.
6) Per ogni peccato di lussuria commesso da un laico, l'assoluzione costerà 27 libbre, 1 soldo; per gli incesti si aggiungeranno per ogni volta 4 libbre.
7) La donna adultera che chieda l'assoluzione per restare libera da ogni processo e avere ampie dispense per proseguire i propri rapporti illeciti pagherà 87 libbre, 3 soldi. In un caso analogo, il marito pagherà uguale somma; se avessero commesso incesto con i propri figli aggiungeranno 6 libbre.
8 ) L'assoluzione e la sicurezza di non essere perseguiti per i crimini di rapina, furto o incendio, costerà ai colpevoli 131 libbre, 7 soldi.
9) L'assoluzione dell'assassinio semplice commesso sulla persona di un laico si stabilisce in 15 libbre, 4 soldi, 3 denari.
10) Se l'assassino avesse dato la morte a due o più uomini in uno stesso giorno, pagherà come se ne avesse assassinato uno solo.
11) Il marito che infliggesse maltrattamenti a sua moglie pagherà alle casse della cancelleria 3 libbre, 4 soldi; se fosse uccisa, pagherà 17 libbre, 15 soldi, e se le avesse dato morte per sposarsi con un'altra, pagherà, inoltre, 32 libbre, 9 soldi. Coloro che avessero aiutato il marito a perpetrare il crimine saranno assolti mediante il pagamento di 2 libbre a testa.
12) Chi affogasse suo figlio pagherà 17 libbre, 15 soldi (o sia 2 libbre in più che per uccidere uno sconosciuto), e se a uccidere fossero il padre e la madre di comune accordo, pagheranno 27 libbre, 1 soldo per l'assoluzione.
13) La donna che distruggesse il figlio che porta nel suo ventre, e il padre che avesse contribuito alla realizzazione del crimine, pagheranno 17 libbre, 15 soldi ognuno. Colui che facilitasse l'aborto di una creatura che non fosse suo figlio pagherà 1 libbra di meno.
14) Per l'assassinio di un fratello, una sorella, una madre o un padre, si pagherà 17 libbre, 5 soldi.
15) Colui che uccidesse un vescovo o un prelato di gerarchia superiore pagherà 131 libbre, 14 soldi, 6 denari.
16) Se l'assassino avesse dato morte a più sacerdoti in varie occasioni, pagherà 137 libbre, 6 soldi, per la prima uccisione, e la metà per quelle successive.
17) Il vescovo o abate che commettesse omicidio per imboscata pagherà, per raggiungere l'assoluzione, 179 libbre, 14 soldi.
18) Colui che in anticipo volesse comperare l'assoluzione di ogni omicidio incidentale che potesse perpetrare in futuro pagherà 168 libbre, 15 soldi.
19) L'eretico che si convenisse pagherà per l'assoluzione 269 libbre. Il figlio dell'eretico arso, impiccato o giustiziato in qualsiasi altra forma potrà essere riabilitato mediante il pagamento di 218 libbre, 16 soldi, 9 denari.
20) L'ecclesiastico che non potendo pagare i propri debiti volesse liberarsi dall'essere processato dai creditori consegnerà 17 libbre, 8 soldi, 6 denari, e gli sarà perdonato il debito.
21) Sarà concessa la licenza per installare posti di vendita di vari generi sotto i portici delle chiese mediante il pagamento di 45 libbre, 19 soldi, 3 denari.
22) Il delitto di contrabbando e frode ai diritti del principe costerà 87 libbre, 3 denari.
23) La città che ambisse per i suoi abitanti o per i suoi sacerdoti, frati o monache, la licenza di mangiare carne e latticini in epoche in cui è proibito, pagherà 781 libbre, 10 soldi.
24) Il monastero che volesse variare la regola e vivere con minore astinenza di quella prescritta pagherà 146 libbre, 5 soldi.
25) Il frate che per migliore convenienza o gusto volesse passare la vita in un eremo con una donna consegnerà al tesoro pontificio 45 libbre, 19 soldi.
26) L'apostata vagabondo che volesse vivere senza ostacoli pagherà uguale quantità per l'assoluzione.
27) Uguale quantità pagheranno i religiosi, siano questi secolari o regolari, che volessero viaggiare in abiti da laico.
28) Il figlio bastardo di un sacerdote, che volesse essere preferito per succedere nella cura al padre, pagherà
29) libbre, 1 soldo.
29) Il bastardo che volesse ricevere ordini sacri e goderne i benefici pagherà 15 libbre, 18 soldi, 6 denari.
30) Il figlio di genitori sconosciuti che voglia entrare negli ordini pagherà al tesoro pontificio 27 libbre, 1 soldo.
31) I laici contraffatti o deformi che vogliano ricevere ordini sacri e possedere benefici pagheranno alla cancelleria apostolica 58 libbre, 2 soldi.
32) Uguale somma pagherà il guercio dell'occhio destro, mentre il guercio dell'occhio sinistro pagherà al Papa 10 libbre, 7 soldi. Gli strabici pagheranno 45 libbre, 3 soldi.
33) Gli eunuchi che volessero entrare negli ordini pagheranno la quantità di 310 libbre, 15 soldi.
34) Colui che per simonia volesse acquistare uno o molti benefici, s'indirizzerà ai tesorieri del Papa, che gli venderanno il diritto a un prezzo modico.
35) Colui che per avere mancato un giuramento volesse evitare ogni persecuzione e liberarsi di ogni tipo d'infamia pagherà al Papa 131 libbre, 15 soldi. Inoltre consegnerà 3 libbre per ognuno di coloro che erano stati garantiti.
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Re: Apologetica

Messaggioda GrisAdmi » lun lug 04, 2011 5:02 pm

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Titolo Ortodossia
Autore Chesterton Gilbert K.
Prezzo € 18,00
Dati 2010, 246 p., brossura
Traduttore Asni R.
Editore Lindau (collana I pellicani )

Descrizione:
In seguito alla pubblicazione nel 1905 di "Eretici" - una raccolta di saggi in cui l'autore attacca con stile brillante e corrosivo i dogmi della sua epoca - Chesterton fu sfidato dalla critica a indicare quale fosse la propria visione del mondo. Tre anni più tardi, nel 1908, diede alle stampe "Ortodossia". In quest'opera, ricchissima di idee e di suggestioni, lo scrittore inglese esprime la sua incrollabile fede cristiana, di cui argomenta con rigore, ma senza rinunciare al gusto per il paradosso, l'assoluta ragionevolezza. Tutte le obiezioni e le accuse che vengono di norma rivolte al cristianesimo sono affrontate con schiettezza, discusse e infine puntualmente rovesciate. Il risultato, spesso sorprendente, è la dimostrazione che anche i punti più astrusi della dottrina colgono una verità profonda dell'essere umano. In particolare, nel cristianesimo l'autore individua un insieme di valori spirituali e morali in grado di difendere l'uomo da ciò che, minando la bellezza e la santità della vita, lo rende infelice: le ingiustizie del capitalismo, le teorie materialiste e deterministe (in particolare l'evoluzionismo), le eresie del passato e del presente. Il cristianesimo, per Chesterton, è la sola risposta possibile a quell'aspirazione al Vero, al Bene, al Bello, al Giusto, che abita nel cuore di ciascuno di noi.
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Re: Apologetica

Messaggioda Generale Specifico » dom ago 14, 2011 11:10 am

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Titolo Il protagonista della storia. Nascita e natura del cristianesimo
Autore García José M.
Prezzo € 11,00
Dati 2008, 455 p., brossura
Editore BUR Biblioteca Univ. Rizzoli (collana I libri dello spirito cristiano)

Descrizione:
Il Cristianesimo è un fatto storico? Possiamo giungere a una qualche certezza riguardo alla figura di Gesù di Nazaret? Partendo dalle fonti cristiane, ebraiche e pagane, con stile rigoroso e insieme semplice, questo libro mette di fronte alla realtà del Cristianesimo del primo secolo - l'uomo Gesù di Nazaret, la prima diffusione del Cristianesimo in Palestina e la successiva propagazione in Asia Minore e in Europa, il rapporto con l'Impero romano offrendo un approccio originale a una delle questioni più dibattute della storia dell'umanità, pietra angolare per il riconoscimento della ragionevolezza del Cristianesimo oggi.
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Re: Apologetica

Messaggioda Citocromo » mar ago 16, 2011 9:55 am

Articolo tratto da "Il Timone" n. 49 di Gennaio 2006

Crociate

di Vittorio Messori

Frugando nel mio archivio, trovo una cartellina di appunti che presi in un’estate lontana, in cui decisi di concentrare sulle crociate le letture vacanziere. Volevo trarne una serie di puntate per il “primo” Vivaio, quello su Avvenire, ma poco dopo decisi di sospendere la rubrica e il materiale accumulato restò lì, dimenticato. Con quella ricerca, intendevo rispondere alle richieste di molti lettori che mi ricordavano come alle crociate avessi dedicato qualche cenno qua e là ma non una trattazione organica. Trattazione che non farò neppure qua, ci mancherebbe: mi limiterò a estrarre qualche nota.
Per esempio questa di uno specialista, il medievista cattolico Franco Cardini, il quale, quando Giovanni Paolo II si profondeva nelle ben note scuse, un giorno fu preso da malumore per quello che, a lui storico, sembrava un inaccettabile anacronismo e scrisse: «Volendo essere più papista del papa, potrei aggiungere alla lunga lista di delitti attribuiti ai crociati («fanatici, violenti, intolleranti, ladri, superstiziosi...»), anche un’accusa ulteriore: erano stupidi. Non si spiegherebbe altrimenti che abbiano impiegato tanto tempo per arrivare a Gerusalemme attraverso montagne e deserti, quando avrebbero potuto organizzare un bel ponte aereo, impiegando così poche ore».
Continua Cardini: «Credete che sia ammattito o che lo dica per celia? Neppure per idea, sono serissimo. In effetti, se risulta chiaro ad ognuno che i crociati non potevano disporre di aerei, non essendo ancora inventati, non meno grave è l’errore di chi pretende che essi potessero ragionare secondo i parametri di tolleranza e di rispetto della vita umana che l’Occidente ha faticosamente elaborato tra Seicento e Novecento». Per concludere: «Qualcuno ribatterà che tali principi ci sono già nei vangeli e che i crociati erano pur cristiani. Senza dubbio: ma la fede cristiana non era affatto, tra XI e XII secolo, compresa e vissuta come lo può essere oggi». Insomma, dice lo storico: «Che Dio mi perdoni. Ma le scuse fatte ai pronipoti a nome degli antenati sarebbero roba da sorridere, se non fossero una violazione dei doveri dello storico (che deve capire e non condannare in modo ingenuamente anacronistico) e una grave ingiustizia per quei credenti che ci hanno preceduti».
È lo stesso Cardini che ha ricordato più volte come l’Occidente moderno abbia contribuito a creare con le sue mani la reazione islamica di cui è ora bersaglio. Nel mondo musulmano, ciò che viene da Europa, da Israele, dall’America è qualificato con odio, invariabilmente, Come “crociata”. “Crociati” sono gli israeliani che distruggono case ed elevano muri, “crociati” sono gli americani che bombardano e che occupano, “crociati” sono gli europei, anche se giungono tra loro con organizzazioni umanitarie.
In realtà, come ha documentato lo storico fiorentino, la memoria delle spedizioni dei due primi secoli del Mille era praticamente scomparsa tra i musulmani se non, forse, nelle zone del Medio Oriente che avevano visto quel confronto. In effetti, sul piano oggettivo, le crociate — che avevano mobilitato poche migliaia di uomini — erano state un colpo di spillo in un mondo islamico sconfinato, che andava dal Portogallo sino all’Asia Centrale.
Venne, però, l‘era del colonialismo e i governi europei, a cominciare da quello francese — composti da massoni e funzionanti come bracci politici delle Grandi Logge — si inquietarono perché al seguito delle truppe che conquistavano territori in Africa e in Asia giungevano i missionari. Bisognava neutralizzarli: da qui, il gran daffare per installare anche in quei luoghi la contro-chiesa, la massoneria, nella quale educare i notabili locali. A quelle logge fu affidata la propaganda anticattolica: come prendere sul seno i preti, i cui predecessori avevano organizzato e gestito campagne di guerra contro l’Islam, avevano massacrato bambini, violentato donne, rubati i tesori e tutto questo l’avevano chiamato “crociata”? La memoria di quegli eventi, travestita con i panni della più plateale leggenda nera, fu richiamata in vita, annunciata alte plebi, che spesso non ne avevano mai sentito parlare e sempre più radicalizzata. Il colonialismo finì, ma il seme gettato aveva ormai vigoreggiato: l’odio destinato alla Chiesa ha finito, così, per coinvolgere l’intero Occidente, con i risultati che ora vediamo bene.

La crociata non fu aggressione e non fu guerra santa, fu legittima difesa: è una verità che sembra non si riesca a far passare. Eppure, basterebbe un piccolo atlante storico per capire. Quando Costantinopoli fece pervenire in Europa il suo grido di aiuto, il già estesissimo Impero Romano d’Oriente era ridotto alle dimensioni dell’attuale, piccola Grecia, inferiore alla metà dell’Italia. Dopo la conquista del Medio Oriente e di tutta l’Africa del Nord, ai guerrieri di Allah bastava solo un passo ulteriore ed era finita anche per quell’ultimo lembo di cristianità. Andare in soccorso dei fratelli nella fede era un sacro dovere.
Certo, la storia è misteriosa e, ad occhi umani, talvolta crudele. Nate anche come impresa di solidarietà tra cristianità orientale e occidentale, le crociate finirono col creare tra le due comunità un muro che non si è ancora riusciti a sgretolare. Quella Costantinopoli che i turchi non erano riusciti ancora ad espugnare, fu presa e saccheggiata, nel 1204, da un esercito che era partito dall’Europa con le insegne della crociata e che, invece che contro gli infedeli, finì coll’accanirsi contro i fratelli nella fede.
Se la crociata non fu aggressione, non fu neppure, dicevamo, guerra di religione. Ciò che importava era riaprire ai cristiani la via del pellegrinaggio verso il santo Sepolcro, nessuno aveva intenzione di convertire al Vangelo i seguaci del Corano. Non ci furono sforzi missionari. A parte qualche atto isolato di gruppetti fanatici, nessun musulmano fu infastidito per la sua fede. La Chiesa, comunque, non mise mai questo tra gli obiettivi della crociata. Come mostrano le fonti, a Gerusalemme i Templari stessi, pur sempre pronti a dar battaglia, se necessario, avevano a fianco della loro chiesa una moschea e ciascuno lasciava che l’altro pregasse il suo Dio. I primi tentativi di conversione in quei luoghi risalgono al XIII secolo, ad opera dei Francescani, quando ormai tutto era finito per i Regni cristiani e l’Islam aveva ridisteso ovunque la sua coltre. Non a caso, quei frati finirono quasi tutti martiri.
Quanto al rapporto con gli ebrei, riporto qui quanto scrive uno storico americano di oggi, Thomas F. Madden. Mi sembra significativo, visto che si tratta di uno studioso protestante: «Certo, come in ogni conflitto, ci furono sventure, errori e crimini. Cose sin troppo ricordate, oggi! All’inizio della prima Crociata, nel 1095, un gruppo, condotto dal conte Emicho di Leiningen, si apri la strada lungo il Reno derubando e talvolta assassinando gli ebrei incontrati. Senza successo, i vescovi locali tentarono di fermare la strage. Agli occhi di quei guerrieri, gli ebrei erano i nemici di Cristo. Depredarli ed ucciderli, pertanto, non era peccato. Effettivamente, credevano trattarsi di un atto retto, potendo i soldi degli israeliti essere usati per finanziare la crociata verso Gerusalemme. Ma avevano torto, e la Chiesa condannò fermamente le ostilità contro gli ebrei. Cinquant’anni dopo, quando la seconda crociata stava gia per muoversi, san Bernardo proclamava che gli ebrei non sarebbero stati toccati: «Chiedete a chiunque conosca le Sacre Scritture cosa si auspica, per gli ebrei, nel Salmo. “Non per Ia loro distruzione io prego” sta scritto. Gli ebrei sono per noi le parole viventi della Scrittura, ci ricordano ciò di cui sempre soffrì il nostro Dio . Sotto i principi cristiani sopportano una prigionia dura, ma “aspettano solamente il tempo della loro liberazione”.
«Ciononostante, un certo Radulf, un monaco cistercense, aizzò parecchia gente contro gli ebrei della Renania, malgrado le numerose lettere inviategli da Bernardo per fermarlo. Infine, il Santo fu costretto a recarsi personalmente in Germania, dove prese Radulf, lo spedì di nuovo nel suo convento e fece finire i massacri.
«Spesso si dice che le radici dell’Olocausto possono essere rintracciate in questi pogrom medievali. In realtà, le radici affondano motto più indietro nel tempo, sono più profonde e più estese dei tempi delle crociate. Ebrei perirono, ma lo scopo non era certo quello di uccidere ebrei. È vero esattamente il contrario: papi, vescovi e predicatori assicurarono che gli israeliti non sarebbero stati molestati. Nella guerra moderna chiamiamo le morti tragiche come queste “danno collaterale”. Gli Stati Uniti hanno ucciso, con le tecnologie “intelligenti”, molti più innocenti di quanti i crociati avrebbero mai potuto uccidere. Ma nessuno oserebbe dire seriamente che lo scopo delle guerre americane è di massacrare donne e bambini».

È singolare: i credenti della mia età hanno passato buona parte della vita a confrontarsi con coloro, i comunisti, che non avevano religione. E adesso, ci tocca fare i conti con coloro, i musulmani, che di religione ne hanno troppa.

Le vie del mondo furono aperte dalla forza e dall’entusiasmo di quell’ideale struggente, non soffocato dal termine delle spedizioni e vivo sin quasi alle soglie dell’età contemporanea. Le vele delle caravelle di Colombo portavano la grande croce rossa della crociata: si cercava di raggiungere le Indie navigando verso Occidente per trovare oro e argento che servissero a finanziare la ripresa della lotta. Con la Spagna che, varcato lo stretto di Gibilterra, avrebbe raggiunto la pur remota Gerusalemme con una marcia vittoriosa attraverso il Nord Africa. Questo il sogno de los Reyes católicos.
Ma già nel 1245 era stata aperta ad Oriente la via dell’Asia: il francescano Giovanni da Pian del Carpine mandato, dieci anni prima di Marco Polo, presso i Mongoli per ottenere la loro alleanza, prendere l’Islam tra due fuochi e ricominciare la Crociata. Con lo stesso obiettivo, nel 1253, le ambascerie che san Luigi di Francia invia in Persia (il domenicano Ivo il Bretone) e in Cina (il francescano Gugliemo di Rubruck).
Chi ricorda, poi, che a salvare l’Europa contribuirà una realtà che senza le crociate non sarebbe esistita? Come l’ordine del Tempio, i Templari, anche l’ordine dell’Ospedale, gli Ospitalieri, nacque per sorreggere lo sforzo di tenere la Terra Santa. Espulso da questa, poi da Cipro, poi da Rodi, l’Ordine, installato a Malta, diverrà la maggiore potenza navale nel Mediterraneo, la sola in grado di tenere a bada e flotte ottomane e ripulire il mare dalle imbarcazioni dei pirati in caccia di cristiani da vendere come schiavi ad Algeri o a Tunisi.

La “Garzantina”, la piccola Enciclopedia Universale, lo strumento di prima informazione più diffuso in Italia, ormai da decenni. lo pur la tengo sulla scrivania, come pronto intervento. Voce Crociate: «Quelle spedizioni ebbero alla base ragioni sociali, economiche e politiche». Queste, e queste soltanto, secondo il manuale.
La fede, dunque, non è una ragione da mettere in campo, per spiegare perché, per secoli, migliaia di ricchi e di poveri, di giovani e di vecchi, di uomini ma anche di donne (quante famiglie partirono al completo!) abbiano affrontato fatica, miseria, morte inseguendo il sogno di liberare, per sempre, i luoghi santificati dal Cristo. Nella primavera del 1097, quando i capi diedero il segnale di partenza da Costantinopoli, erano in più di centomila. Allorché, due anni dopo, nel giugno del 1099, giunsero sotto le mura di Gerusalemme erano meno di ventimila: gli altri erano morti lungo il cammino o erano stati catturati, per essere venduti come schiavi, da incursioni di predoni.
Ma non tirate in ballo la fede, per spiegare una simile ostinazione di raggiungere a ogni costo la meta. A chi volete darla a bere, voi cristiani? Noi sappiamo bene che i motivi erano soltanto sociali, economici, politici. Parola di enciclopedia.

Dicevamo di Franco Cardini. Gli dobbiamo anche una biografia di san Francesco in cui fa giustizia del santino tutto dialogo, tolleranza, ecologismo, costruito prima dal romanticismo e poi dalle ideologie attuali, che lo strumentalizzano per la loro propaganda. In realtà, il Francesco “vero” si aggregò alla quinta crociata e non solo non disse mai una parola di condanna o di critica, ma arrivò a dare consigli ai capi della spedizione sui modi e i tempi per affrontare Ia battaglia sotto Damietta. Molto addolorandosi, poi, perché l’esito fu infausto per i cristiani. Cardini rileva come molti biografi moderni abbiano rivestito di panni politicamente corretti quell’esperienza del Santo, che mal si concilia con la caricatura da “scemo del villaggio” che predica agli uccellini, parla con i lupi e abbraccia giulivo tutti quelli che incontra. Compreso il sultano: dal quale il Francesco della storia, non quello del mito, andò non per dialogare ma per convertirlo, sfidandolo anche a un’ordalia per vedere se fosse più potente il Dio di Gesù o quello di Maometto. Ma riprendiamo da Cardini: «Per sostenere l’immagine “corretta” del Santo, si sono allineati argomenti che sfiorano il ridicolo. Si è osservato, ad esempio, che egli non portava armi, fingendo di ignorare che la sua condizione di chierico gli vietava comunque di portarne. Si sono forzate le fonti per leggere — in un episodio in cui Francesco sconsiglia i crociati di dar battaglia, avendo avuta la visione della sconfitta — una specie di astuzia cui sarebbe ricorso per impedire il combattimento. Si è addirittura sostenuto — e senza giustificazione alcuna! — che avrebbe predicato ai crociati di gettare le armi. Francesco, si e concludo alla fine di questa galleria di sciocchezze, ha dimostrato di volere convertire gli infedeli con l’amore, non con la spada».
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Re: Apologetica

Messaggioda Citocromo » mar ago 16, 2011 10:34 am

Articolo tratto da "Il Timone" n. 36 di Settembre 2004

Catari: sfatiamo una leggenda

di Vittorio Messori

I catari, ormai da anni, sono tornati di moda, soprattutto nella loro versione francese, quella degli albigesi. Ogni volta che vado verso la Spagna, non appena l’autostrada entra nell’antica Linguadoca, vedo apparire le scritte turistiche che annunciano che si è nel Pays cathar. Gli autogrill, nelle zone di sosta, sono pieni di oggetti e oggettini proposti come souvenir della regione nel suo tragico passato medievale, presentato ora come “glorioso”: dalla parte, s’intende, degli eretici sconfitti. Naturalmente so che, sotto a questa “leggenda rosa” dei buoni e poveri albigesi massacrati dai cattivi papisti, ci sono anche motivazioni politiche: è la Francia della langue d’oc insofferente della Francia della langue d’oil, è il Mezzogiorno che fu profondamente romanizzato e che fu vinto, conquistato, annesso, proprio ai tempi della Crociata contro i catari, dal Nord prima celtico e poi franco, dunque barbarico. Nel revival attuale dell’antica eresia c’è molto che si avvicina alla lotta dei catalani e dei baschi verso il detestato dominio castigliano. Nella nostalgia del Midi per il suo passato e l’insofferenza verso Parigi c’è il rifiuto che, nella Spagna periferica, si manifesta contro Madrid.

Quel best seller internazionale che è il Codice da Vinci, questo furbo frullato di sciocchezze “esoteriche” e di cose inventate, ha tra i suoi sfondi essenziali proprio il catarismo. Libro radicalmente anticattolico, in grado di incrinare la fede del credente “comune” grazie all’astuzia dell’autore, quel romanzo è tra i primi nella classifica dei più venduti nelle librerie cattoliche: così risulta dalle apposite rubriche di Avvenire e di Jesus. So per esperienza che quando la vendita raggiunge certi livelli è perché c’è la collaborazione indispensabile del libraio: molte copie in vetrina, pile di esemplari sparse nel locale e accanto alla cassa, materiale pubblicitario in evidenza. L’ennesimo caso di masochismo cattolico?

Non c’è da stupirsi: quando parlai con Umberto Eco del suo Nome della Rosa, lo trovai “deluso” (parole sue) della mancata reazione dei credenti. Anzi, mi disse che era rimasto prima sbalordito e poi divertito, da “apostata dal cristianesimo” – anche questa è definizione sua – quando addirittura la maggiore università cattolica degli Stati Uniti volle consegnarli il suo premio più prestigioso per un libro che lo stesso autore aveva voluto come «il più velenoso possibile» contro la fede. E che era nato, mi disse, da un desiderio che portava dentro sin dai tempi dell’abbandono del cristianesimo: «uccidere un monaco».

Proprio nel Nome della Rosa, ecco arrivare puntuale l’eco dell’accusa contro la Chiesa che bandì la «crociata degli albigesi». L’abate del monastero dove si svolge l’anomalo giallo esprime il suo punto di vista, quello dato per ufficiale, allora, nel cattolicesimo ortodosso: «Quanto agli eretici ho una regola e si riassume nella risposta che diede Arnaldo Amalrico, abate di Citeaux, a chi gli chiedeva cosa fare dei cittadini di Béziers, città sospetta di eresia: “Uccideteli tutti, Dio riconoscerà i suoi”». Ecco la reazione del frate-investigatore che, nel romanzo (con anacronismo un po’ buffo), è controfigura di Eco, quindi pensa e parla come il professore liberal di un’università anglosassone, secondo le categorie della political correctness divenuta di moda verso la fine del XX secolo (e, qui, siamo nel XIV!): «Guglielmo abbassò gli occhi e stette alquanto in silenzio. Poi disse: “La città di Béziers fu presa e i nostri non guardarono né a dignità, né a sesso né a età e quasi ventimila uomini morirono di spada. Fatta così la strage, la città fu saccheggiata e arsa».

Sorprende che un professore tanto preoccupato di rigore e aggiornamento come il nostro Umberto, rimetta in circolazione ciò è riconosciuto come apocrifo da oltre un secolo. In effetti, non fu mai pronunciata la frase, divenuta tristemente famosa (e ancora oggi ripetuta, ma solo da dilettanti polemisti) attribuita al legato pontificio, l’abate di Cistercium, Citeaux in francese. Dom Arnaldo, cioè, non è responsabile di quel «Tuez les tous, Dieu reconnaitra les siens» che è invece l’invenzione fantasiosa di un monaco tedesco, Cesario di Heisterbach, che scriveva sessant’anni dopo ed era ben lontano dall’avere partecipato ai fatti. Abbiamo molte cronache della caduta di Béziers, ma in nessuna di esse vi è traccia delle parole che divennero immeritatamente famose. Il padre Cesario, che viveva nel Nord della Germania da cui non si era mai mosso, non era né un cronista né uno storico, ma un compilatore di raccolte di aneddoti meravigliosi. In effetti, la frase disumana attribuita al legato Arnaldo sta in un suo libro dal titolo significativo, Dialogus miracolorum, ed è, tra l’altro, preceduta da un prudente dixisse fertur: “si riporta che abbia detto”.

Quanto alla sorte di Béziers, è un mito anche che i morti siano stati ventimila e che sia stata distrutta. Il principale massacro avvenne nella chiesa della Maddalena che non poteva contenere più di duemila persone e sappiamo che la città, ben lungi dall’essere svuotata e diroccata, si organizzò subito per nuove resistenze. Comunque, poiché sappiamo esattamente come andarono le cose in quel terribile giorno di luglio, sappiamo anche che non ci fu premeditazione. Un’ambasceria era stata inviata agli abitanti per chiederne la resa. Per tutta risposta, mentre i comandanti dei crociati erano a consulto, da Béziers si fece a sorpresa una sortita che aveva lo scopo non di sbaragliare ma di disturbare gli assedianti. Per loro sfortuna, gli incursori usciti dalla città tentarono di devastare l’accampamento dei ribauds, in italiano “i ribaldi”. Già il nome suggerisce di chi si trattasse: vagabondi, pregiudicati, disertori, assoldati dai baroni per le imprese peggiori, in cambio del diritto di saccheggio. Davanti alla provocazione, questa masnada di gente senza scrupoli né paura non solo respinse gli assalitori ma, inseguendoli, riuscì a penetrare dietro a loro nella città. Quando i baroni furono avvertiti e giunsero con le milizie regolari, la carneficina era già in pieno corso.

Ciò non toglie l’orrore per stragi che, seppure inferiori a quanto vuole il mito anticlericale, restano orribili e contrassegnano senza dubbio la lotta contro i catari. Troppo complesso e lungo entrare, qui, nella trattazione analitica di un evento lungo e talmente complesso da avere provocato una delle bibliografie più estese e in continuo accrescimento, come notavo. Ci basti richiamare alcuni punti: la dottrina degli albigesi (il nome che il catarismo assunse in Linguadoca) era un manicheismo oscuro, crudele, assurdo, comunque contrario a ogni regola non solo della società di allora ma anche di quella di ogni tempo. La negazione del giuramento, del lavoro, del matrimonio, si univa a un cupo desiderio suicida, al culto dell’endura, prova di fede suprema, consistente nel lasciarsi morire per fame per liberare lo spirito dalla sconcezza della materia. Il catarismo costituiva un pericolo sociale prima ancora che religioso. Non voleva riformare la Chiesa bensì distruggerla e, con essa, tutto l’ordine del mondo che essa assicurava. Tra l’altro, se la setta poteva non solo perdurare ma espandersi, lo si doveva al favore dell’aristocrazia del Midi, desiderosa di mettere le mani sui beni strappati alla Chiesa. La solita storia, insomma: quella che si ripeterà nel Cinquecento, quando il trionfo di Lutero sarà determinato dall’appoggio di principi interessati più alle terre dei monasteri che ai dogmi; e che si ripeterà ai tempi della Rivoluzione Francese, dove la borghesia sarà cupida di comprare a prezzi ridicoli le ricchezze del clero dichiarate “beni nazionali”. Gli albigesi, tra l’altro, erano un pericolo per la cristianità anche perché avevano rapporti, che cercavano di trasformare in alleanza, con i musulmani al di là dei Pirenei.

In molti dei testi che infestano da tempo le librerie, appaiono come generosi riformatori, come miti e tolleranti annunciatori del loro Verbo riformatore contro il fanatismo cattolico. E’ vero il contrario: il loro nome è significativo, chiamavano se stessi “catari”, cioè, in greco “puri”, per la loro fanatica certezza di essere i soli portatori della Verità, i soli immacolati in un mondo satanico. Per oltre un secolo, la Chiesa temporeggiò, tentando le vie pacifiche della persuasione, mentre il catarismo si organizzava in un’altra Chiesa, determinata a distruggere quella “vecchia”. Pure l’atteggiamento del papa, Innocenzo III, che giunse alla fine alla decisione di impiegare la forza, fu a lungo determinato dalla convinzione che fosse possibile ragionare, convincere, ricondurre alla fede. Ci si provarono anche grandi santi, come Bernardo e Domenico. Come ammette Daniel Rops, «la pazienza della Chiesa fu ammirevole e, secondo alcuni, addirittura eccessiva». La risposta catara fu intollerante e violenta, molti missionari furono uccisi, il clero cattolico spogliato e brutalizzato. A Béziers, per esempio, la città della strage, i canonici della cattedrale avevano dovuto fortificare la cattedrale per resistere ai continui assalti degli eretici. Le cose precipitarono proprio per un gesto di violenza estrema: nel gennaio del 1208 il conte di Tolosa, protettore degli albigesi, fece assassinare il legato del Papa, inviato per un’ambasceria che portasse a un accordo e alla pace. Fu a questo punto che Innocenzo III proclamò la famosa “crociata” che ebbe sin troppo successo a causa (anche qui!) di motivazioni politiche: i baroni del Nord ne approfittarono per scendere in campo contro il ricco Midi e assicurarsene ricchezze e terre. Avvenne, insomma come, pochi anni prima, per la quarta crociata: partiti con la benedizione papale per dirigersi in Terra Santa, i “pellegrini” saccheggiarono prima Zara e poi presero addirittura Costantinopoli, incuranti delle scomuniche di Roma.

Per tornare in Francia. Il 15 gennaio 1213, Innocenzo III scrisse così all’arcivescovo di Narbonne: «Dei cinghiali devastavano in Linguadoca la vigna del Signore e sono stati resi inoffensivi. Per grazia di Dio e valore dei combattenti, la questione della fede ha preso fine in questo Paese con un successo che giudichiamo sufficiente. Dunque, ti ordiniamo di accordarti con il nostro caro figlio, il re di Aragona, e con i conti, baroni ed altri che abbiano autorità per giungere a convenzioni di tregua e di pace. Applicati con zelo a pacificare tutta la Linguadoca. Cessa di esortare il popolo cristiano alla guerra contro l’eresia e non promettere più le indulgenze che questa Sede Apostolica ha promesso per questo fine».

Ecco il commento di Jean Guiraud, il grande medievista cattolico: «Questa lettera è molto importante perché prova che, per Innocenzo III, la crociata era terminata alla fine del 1212, avendo conseguito, stando al Papa, sufficienti successi. Se la guerra durò ancora per ben 16 anni, questo avvenne malgrado la Santa Sede: a partire da quegli inizi del 1213, non fu più che una lotta dei signori del Nord per spossessare i signori del Sud e una lotta dei re di Francia per riunire alla Corona quella magnifica provincia che la Linguadoca».

Ne conclude Guiraud: «Sarebbe gravemente ingiusto, dunque, rendere la Chiesa responsabile di una guerra che non ha più approvato, e meno che mai diretto, e di atti di spoliazione e di conquista dovuti all’ambizione personale e alle mire politiche dei Signori». Fu proprio in quei terribili 16 anni in cui la Chiesa fu scavalcata che si verificarono gli atti peggiori, i massacri più sanguinosi: ma, questo, proprio perché mancò l’opera moderatrice dei religiosi che avevano seguito le truppe allorché l’impresa era riconosciuta come una crociata.

Non dimentichiamo che proprio per combattere il catarismo, nei suoi vari volti, nacque l’Inquisizione, dopo grandi esitazioni da parte del papato e, inizialmente, per opera delle autorità civili. Si trattò della risposta a un problema drammatico, non di un’iniziativa concertata “a freddo“, tanto per assicurare un dominio clericale sulle coscienze. La prima inquisizione non per caso è voluta e poi gestita dai responsabili dell’ordine politico: solo chi sa cosa fosse davvero il feroce dualismo cataro è consapevole della disgregazione sociale e della barbarie che portava con sé. A chi ne ha nostalgia (e pare siano in molti, non solo in Francia) l’augurio di provare su di sé quali fossero le delizie del regno dei “puri“.

Agli altri, lasciamo – come elemento di riflessione – due citazioni significative. La prima è di Henry Charles Lea, quel singolare editore e studioso americano che, per amore del suo protestantesimo, scrisse la più informata, forse, “Storia dell’Inquisizione nel Medio Evo”: «Se la credenza dei catari fosse riuscita a reclutare la maggioranza dei fedeli, essa avrebbe riportato l’Europa ai tempi selvaggi primitivi».

La seconda citazione è di un altro protestante, Paul Sabatier, il celebre biografo di san Francesco: «Il papato non è stato sempre dalla parte della reazione e dell’oscurantismo: quando sbaragliò i catari, la sua vittoria fu quella del buon senso e della ragione. Non dobbiamo permettere che le persecuzioni sopportate da eretici come questi ce li renda affascinanti al punto da modificare il nostro giudizio radicalmente negativo».
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Re: Apologetica

Messaggioda Citocromo » mar ago 16, 2011 10:47 am

Articolo tratto da "Il Timone" n. 28 di Novembre/Dicembre 2003

Quello schiaffo sciagurato

di Roberto de Mattei

Rivalutiamo la figura e l’opera dì papa Bonifacio VIII, schiaffeggiato ad Anagni nel 1303. Accusato di avere una concezione teocratica del potere, in realtà distingueva bene la potestà spirituale da quella temporale.

La figura di Bonifacio VIII, di cui il 12 ottobre di quest’anno è ricorso il settecentesimo anniversario della morte, è legata nella memoria al famoso "schiaffo di Anagni", avvenuto, nella notte del 7 settembre 1303. Questo gesto, di cui è stata contestata la storicità, è comunque entrato nell’immaginario per segnare la fine del Medioevo cristiano e l’inizio di un processo storico plurisecolare che avrebbe portato all’era moderna.

Benedetto Caetani, Sommo Pontefice dal 1294 al 1303, nacque ad Anagni attorno al 1230, di nobili genitori. Uomo di vivo ingegno, si segnalò come eminente giurista e come perito diplomatico, tanto da meritare di essere creato cardinale nel 1281 da papa Martino IV. Ottenne la tiara pontificia nel 1294, in seguito alla rinunzia di Celestino V, l’eremita Pietro da Morrone, che Bonifacio non esitò a confortare e a sostenere nella sua tormentata scelta di abdicazione.

Gli scopi fondamentali del nuovo Papa furono quelli di restaurare la libertà della Chiesa e di pacificare il popolo cristiano. il pontificato di Bonifacio conobbe tuttavia tragiche vicende soprattutto a causa della lotta con Filippo IV, il Bello, re di Francia. Dopo la pubblicazione della Bolla Unam Sanctam, del 18 novembre 1302, con cui Bonifacio VIII riaffermava i diritti della Chiesa, Guglielmo di Nogaret, giurista di Filippo il Bello, in una requisitoria letta al consiglio regale denunciò Bonifacio come usurpatore, eretico e simoniaco, chiedendo al re di far convocare un concilio per deporre il Pontefice. Bonifacio annunciò una bolla di scomunica, ma alla vigilia della sua promulgazione, lo stesso Nogaret e Sciarra Colonna assalirono con le loro milizie il castello papale ad Anagni ed oltraggiarono gravemente il capo della Chiesa che li ricevette solennemente rivestito dei sacri paramenti. Liberato dal popolo di Anagni, il Papa riparò a Roma, dove morì un mese dopo. Ancora oggi Bonifacio VIII è considerato da molti un uomo autoritario e cupido di governo, ultimo rappresentante di una concezione ierocratica della Chiesa che pretenderebbe una assoluta supremazia da parte del Papa nelle cose temporali. Il suo ultimo documento, la bolla Unam Sanctam ne sarebbe la testimonianza.

La bolla Unam Sanctam

La conclusione dogmatica della Unam Sanctam era la seguente: "Porro subisse Romano Pontifici, omni humanae creaturae declaramus, dicimus et definimus, omnino esse de necessitate salutis": "Noi dichiariamo, diciamo, pronunciamo e definiamo che ogni creatura umana è in tutto e per tutto, per necessità di salvezza, sottomessa al Pontefice romano". Ciò significa che ogni uomo, compresi i principi e i re cristiani, se vuole salvare la propria anima deve uniformare la sua condotta, pubblica e privata, alle leggi della Chiesa e alla autorità spirituale e morale del Sommo Pontefice. Il Papa, secondo Bonifacio, è per divina autorità al di sopra di tutti Re e i regni, non perché eserciti su di essi un’autorità temporale assoluta, ma solo nel senso di essere di essere investito di quella superiorità relativa che conviene alle cose spirituali su quelle materiali, all’ordine soprannaturale e divino rispetto all’ordine puramente naturale e umano, secondo le parole di san Paolo: "Omnis anima potestatibus sublimioribus subdita est". La concezione di Bonifacio VIII è la stessa espressa da Papa Gelasio (492-496) nella celebre formula dei "duo luminaria", secondo cui" vi sono due poteri principali mediante i quali il mondo viene governato: l’autorità sacra dei pontefici e il potere regio" (Gelasio I, Epistula ad Anastasium Imperatorem, in Patrologia Latina, vol. LIX, col. 42). Tra il potere spirituale proprio della Chiesa e il potere civile simboleggiato dalla persona di Cesare, non vi è conflitto, ma distinzione, poiché il Signore comanda di dare "a Cesare quello che appartiene a Cesare e a Dio quello che appartiene a Dio" (Mt22,21).Il grande storico di diritto canonico e di sociologia religiosa, Gabriel Le Bras, nell’ultima conferenza tenuta poco prima di morire, in un convegno ad Anagni (1967), si disse fiero di essere il difensore risoluto di Bonifacio VIII, il più calunniato tra i quattro papi anagnini (Innocenzo III, Gregorio IX, Alessandro IV, Bonifacio VIII). La visione di Bonifacio, secondo lo studioso francese, era coerente con quella gelasiana, fondata sul dualismo delle due potestà distinte, quella del Papa e quella del Re. Esse devono collaborare per ottenere il bene sia spirituale sia temporale degli uomini sottomessi ai due poteri, ma sono distinte e indipendenti tra di loro. "Le parole di teocrazia e ierocrazia — concludeva Le Bras — sono da mettere nel magazzino delle antichità non venerabili". Il cardinale Alfonso Stickler, in un’altrettanto memorabile conferenza pubblicata nel 1977, ebbe a ricordare le parole dello stesso Bonifacio di fronte all’accusa a lui fatta da Filippo il Bello, di essersi voluto intromettere nel campo temporale: "Quarant’anni sono — esclamava il Pontefice — che siamo esperti in diritto e sappiamo che due sono le potestà ordinate da Dio; chi ha dunque dovuto e potuto pensare che sia stata o sia tanta fatuita e insipienza nella nostra testa" da credere cioè che il Pontefice possa comandare al re in cose non sue, quali quelle dello Stato (Card. Alfonso Stickler, Il Giubileo di Bonifacio VIII. Aspetti giuridico-pastorali, Edizioni dell’Elefante, Roma 1977, p. 39).

Lo schiaffo di Anagni capovolge simbolicamente l’atto fondante della civiltà cristiana: quella notte di Natale dell’anno 800 in cui in San Pietro Carlo Magno rende omaggio a san Leone III e riceve da lui la corona imperiale. li gesto di Sciarra Colonna contiene tutto l’itinerario di secolarizzazione che nel corso dei secoli avrebbe condotto da Marsilio da Padova a Machiavelli, da Machiavelli a Hobbes e a Rousseau e da questi a Marx e al totalitarismo del secolo XX. Questo itinerario nega la distinzione tra i due poteri caratteristica della tradizione occidentale e cristiana per assorbire la sfera spirituale e morale in quella politica, attraverso la sacralizzazione della volontà popolare e della categoria di Rivoluzione.

Il Giubileo dell’anno 1300

L’indizione del Giubileo del 1300, il primo giubileo cristiano della storia, nasce dalla volontà pacificatrice di Bonifacio VIII e dimostra come le scelte politiche furono in lui sempre sottomesse alle esigenze di ordine spirituale e temporale. È ampiamente documentato dal racconto del cardinale Jacopo Stefaneschi (1270 ca-1343), cronista del primo giubileo (De centesimo seu jubileo anno liber), come da altre testimonianze contemporanee, che l’idea del Giubileo non nacque nella mente del Pontefice e dei suoi consiglieri, ma li colse anzi di sorpresa. Il fatto unico della retroattività del disposto della Bolla di Indizione (dal 16-22 febbraio 1300 al 24-25 dicembre 1299) conferma che non fu il Papa a suscitare il movimento del giubileo ma che, al contrario, egli si adeguò ai desideri e alle aspettative del popolo cristiano, dimostrando una sensibilità pastorale che smentisce quell’immagine di uomo autoritario ed altero, animato solo dal culto del potere, che ci è stata tramandata dall’oleografia storica.

Il Giubileo del 1300 rappresentò l’apogeo della Chiesa medioevale. Dopo l’attentato di Anagni e la morte di Bonifacio VIII si aprì una delle epoche più drammatiche per la Chiesa, che conobbe il trasferimento del Papato ad Avignone e il grande scisma di Occidente, ma anche per l’Europa cristiana, sconvolta dalla guerra dei cent’anni e da un succedersi di sciagure che ne minarono il patrimonio demografico. La cristianità, che contava settanta milioni di abitanti nell’anno del Giubileo, dopo un secolo di guerre, epidemie e carestie, era ridotta a circa quaranta milioni. L’età moderna albeggiava sulle "tenebre" del Medioevo.

Ricorda

"Nello spazio di cinque secoli, fino a Bonifacio VIII, i Papi esercitarono una influenza straordinaria sulla società. La cristianità è guidata da due governi: l’auctoritas sacrata dei Pontefici, o Ecclesia, e la regalis potestas dei sovrani, o Imperium. Il Papa e l’Imperatore sono i due monarchi supremi — l’uno religioso l’altro temporale — della società cristiana medievale. Essi esercitano entrambi una plena potestas che deriva, sia all’uno che all’altro, direttamente o indirettamente, da Dio". (Roberto de Mattei, Quale Papa dopo il Papa, Piemme, Casale Mon.to 2002, p. 52).
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Re: Apologetica

Messaggioda Citocromo » mar ago 16, 2011 11:38 am

Articolo tratto da "Il Timone" n. 23 di Gennaio/Febbraio 2003

Il bazar dei luoghi comuni

di Roberto Beretta

Torquemada, le streghe, il sabba, la tortura, il rogo. Parla Franco Cardini, medievista di fama mondiale: solo la disinformazione tiene in vita la leggenda nera sull’inquisizione.

Difendere Torquemada. È pur sempre un toscanaccio (cioè un "guascone d’Italia"...) Franco Cardini: lo specialista dei Medioevo che non si perse il gusto di rivalutare le Crociate o - più recentemente - l’Islam dopo Bin Laden... Ma il bello è che uno storico del suo calibro non può essere accusato di "revisionismo" solo perché difende una tesi scomoda all’opinione comune: bisognerebbe saperne più di lui sui testi, sulle fonti, sugli inoppugnabili studi scientifici cui si riferisce come qualunque professore. Anche parlando d’inquisizione.

Professor Cardini, quali sono i luoghi comuni più diffusi sull’inquisizione?

La prima nozione da sfatare è che l’inquisizione procedesse in modo arbitrario e per volontà della Chiesa di asservire la società laica alla sua visione repressiva e fanatico. Ciò è totalmente privo di fondamento e corrisponde a una "leggenda nera" avviata nei secoli XVIII e XIX, prima in àmbito illuministico e poi protestante: due propagande calunniose, che volevano distorcere la realtà in modo anticattolico (tra l’altro, i roghi erano più frequenti nei Paesi della Riforma, soprattutto calvinisti, che in quelli soggetti a Roma). Così, anche se a livello scientifico la realtà è ormai chiara da decenni, il gioco dei mass media continua a mettere in circolazione le vecchie dicerie del Sette e Ottocento.

Intende dire che la ferocia dell’Inquisizione non corrisponde al vero?

Assolutamente no, e non lo dico io che - in quanto cattolico - potrei essere sospetto di parzialità. Lo affermano studiosi come John Tedeschi, italo-americano ed ebreo, o come Adriano Prosperi, di area marxiano-gramsciana, i quali concordemente arrivano a questa diagnosi: i processi dell’inquisizione sono in generale corretti, il ricorso alla tortura c’è nella misura in cui è un espediente ordinariamente usato a quel tempo nei tribunali laici, infine gli inquisitori funzionano spesso come garanti di equità nel processo. Non sono rari, infatti, i casi di assoluzione degli imputati in seguito a una presa di posizione dell’inquisitore.

Però sembrano tutte eccezioni rispetto alla regola.

Sono casi particolari, non eccezioni. Normalmente, invece, il processo inquisitoriale si concludeva col non luogo a procedere oppure con condanne leggere (l’esilio, pene pecuniarie, penitenze). Gli specialisti oscillano tra il 40 e il 70% di processi conclusi con una condanna, e in questa percentuale - alta ma non schiacciante - la pena capitale è relativamente rara, senza contare che c’erano infiniti modi per evitarla. In sostanza il rogo coglieva solo l’eretico che si metteva nelle condizioni di essere considerato recidivo.

Però sembra sempre di nascondersi dietro una regolarità giuridica. In realtà ciò che oggi infastidisce è che la "caccia alle streghe" appare una persecuzione delle idee, un moto repressivo delle coscienze.

Quest’immagine è frutto di un’informazione più che lacunosa: inesistente. È una diceria. In realtà i delitti legati alla stregoneria o all’eresia erano veri e propri reati. In generale non si finiva davanti all’Inquisizione per le proprie opinioni, ma sempre per l’accusa di reati effettivi: aver procurato aborti, avere avvelenato qualcuno, aver partecipato ad atti delittuosi... Spesso poi non era la Chiesa bensì il popolo che voleva veder bruciata la strega, di cui magari si era servito per pratiche vergognose, ma della quale aveva paura perché essa conosceva i segreti di tutto il paese.

Niente streghe perseguitate perché donne, o perché troppo libere, o perché troppo ribelli?

Il passepartout della repressione delle donne in quanto "diverse", o della follia di povere matte che venivano trattate come criminali, è troppo facile. Così come è abusata l’idea che fosse la paura stessa dell’Inquisizione a indurre le accusate a inventare menzogne come le scene del sabba, il volo delle streghe, eccetera. Oggi, grazie alla psicoanalisi, sappiamo molto di più sul rapporto complesso che si può creare tra accusatore e accusato, e che talvolta induce quest’ultimo a creare i presupposti della condanna. Inoltre il Seicento fu un’epoca in cui il livello della fantasia era elevatissimo, per esempio si è scoperto che il pane veniva preparato utilizzando ingredienti fortemente allucinogeni come il loglio, una sorta di droga vegetale. E questo aiuta a capire come nella "confessione" delle streghe non ci fosse solo la disperata adesione allo schema demonologico dell’inquisitore, ma processi assai più articolati.

E la tortura? La confessione resa per sfuggire al dolore?

Questo certamente succedeva, ma non bisogna dimenticare nemmeno che la tortura era un procedimento ordinario, che si usava abitualmente nei tribunali civili come strumento probatorio. La tortura giudiziaria era chiaramente regolata: non doveva essere più feroce e dolorosa di un certo livello, doveva essere limitata nel tempo, spesso si svolgeva sotto controllo di un medico. Inoltre poteva essere usata solo in due casi: quando le dichiarazioni dell’imputato era no contraddittorie o quando le prove di un processo non fossero chiare.

Riesce a salvare anche Torquemada, che incombe sul nostro immaginario come l’inquisitore per antonomasia?

Chi l’ha studiato, ci mostra un uomo rigoroso e duro, però di grande correttezza. Faceva un mestiere spiacevole (era funzionario dei Reali di Spagna) perché là l’inquisizione dipendeva dalla Corona e non dalla Chiesa: fatto che spesso si dimentica), ma era molto lontano dalle caricature cinematografiche che se ne sono fatte.

Tutto bene, allora? Qual è il bilancio dello storico cristiano di fronte all’inquisizione?

Bisogna tener presente che la libertà di opinione e di pensiero è una conquista del XVIII secolo e che prima si ragionava in termini di verità assolute e di istituzioni chiamate a tutelarle. Spesso gli inquisitori dovevano cedere alla ragion di Stato, perché i sovrani avevano paura degli eretici i quali sovente erano anche criminali comuni, o comunque dei sovversivi, e come tali andavano messi in condizioni di non nuocere. Il processo di rottura provocato dalla Riforma e la nascita dello Stato assoluto, messi insieme, generarono in Europa un clima che tendeva a privilegiare la "sicurezza sociale" sulla libertà individuale d’espressione. Perciò, aspettarsi con due o tre secoli di anticipo il rispetto dei moderni diritti umani è un indebito anacronismo storico.

Inquisizione

"Non si possono giustificare i soprusi, i roghi e tutti gli altri orrori che, in nome della difesa della fede, furono commessi nel periodo della Riforma. Questi strumenti furono impiegati non solo dall’inquisizione ma praticamente da tutti gli altri sistemi giudiziari d’Europa: nel sedicesimo secolo erano parte integrante delle procedure, fatto del quale nessuno si scandalizzava. È tuttavia mia convinzione che le future ricerche dimostreranno che essi furono usati con minore frequenza e con più riguardo per la dignità umana nei tribunali del Sant’Uffizio che altrove". (John Tedeschi, Il giudice e l’eretico, Vita e pensiero, pp. 122-3).
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Re: Apologetica

Messaggioda Citocromo » mar ago 16, 2011 11:46 am

Testo tratto da "Fogli", n. 131/32, Agosto/Settembre 1988

La “leggenda nera” dell’Inquisizione

di Rino Cammilleri

Il famoso best-seller di Umberto Eco, Il nome della rosa, e il film che ne è stato tratto, hanno riproposto il più classico tra gli argomenti della propaganda illuministica anticattolica: l'inquisizione. Da più di due secoli questo antico tribunale ecclesiastico rappresenta nella coscienza dei credenti una sorta di "scheletro nell'armadio", un brutto ricordo da rimuovere, un complesso d'inferiorità che insidia ogni slancio apologetico. L'impaccio per il proprio passato o, come si usa dire, per il proprio retroterra storico-culturale, per le proprie radici, non è certo il miglior punto di partenza per far diventare la fede "cultura", secondo l'incitamento di Giovanni Paolo II a Loreto durante il discorso al convegno della Chiesa italiana (11 aprile 1985).

Il dovere dell'intellettuale cattolico nei confronti della verità richiede un instancabile lavoro di studio e di diffusione della verità storica, perché sia fatta luce negli angoli più bui, ove ce ne siano. Delucidare, con serenità e franchezza, argomenti "scomodi" non potrà che giovare alla causa della verità, anche perché in non pochi casi si potrà accertare che le cose non sono andate così come disinvoltamente sono state raccontate e come acriticamente le abbiamo recepite. Chi pensa oggi all'Inquisizione rievoca per lo più le immagini che il film di Arnaud ci ha mostrato: roghi, processi-farsa, sadismo. Così come il Medioevo, l'unica epoca di presunto sottosviluppo che ci abbia dato le cattedrali - secondo l'incisiva espressione di Régine Pernoud - viene associato al fanatismo, al buio, alla sporcizia, alla depravazione morale. Nulla più lontano dalla realtà storica, ma quanti leggono libri di saggistica seria e ben documentata? Eppure forse mai come al presente l'interesse per il Medioevo è stato tanto vivo e la ricerca storiografica così avanzata. Lo stesso libro di Eco - vero capolavoro di ingegneria romanzistica, più comprato che letto - presta il fianco a non poche critiche sul piano dell'attendibilità storica. L'autore stesso, del resto, non ha mai fatto mistero dell'intento "apologetico" della sua opera, in cui si celebra sostanzialmente il pensiero radical-nichilistico moderno. Il film ne è poi un'ulteriore riduzione in chiave "gotica", più attento ai risultati di botteghino che ad altro. È un fatto che molti hanno visto esaurire la loro cultura storica nel libro di testo scolastico, spesso ignorando che generalmente i libri di scuola Sono tratti da altri libri, i quali rimandano ad altri ancora. Risalendo la china si può tuttavia scoprire che alla radice di tanta divulgazione scolastica si trovano opere di due secoli fa e che spesso tali opere "storiche" sono da annoverare tra i romanzi. Detto altrimenti, molte volte alla base di intere concezioni storiche c'è solo l'autorità di "uno" studioso sette-ottocentesco. Emblematico è il caso della leggenda dei "terrori dell'anno Mille derivata da Jules Michelet e ancora perdurante quantunque sia ampiamente dimostrato che nell'anno in questione pochissimi erano in grado di calcolare le date; basti pensare che non e era nemmeno univocità di calendario.

È da tener presente che purtroppo solo studiosi già affermati possono permettersi il lusso di trascorrere mesi in un archivio vescovile - magari all'estero - per cercare la documentazione che occorre loro. Così come altrettanto problematico è trovare editori disposti a pubblicare ricerche in contrasto con le opinioni correnti o col mercato. A ciò si aggiunga il fatto che il Medioevo fu una civiltà essenzialmente orale. I pochi documenti scritti, inoltre, non si rinvengono là dove sarebbe logico - per la nostra mentalità - trovarli. Ecco un esempio: spesso gli storici dell'età medioevale hanno dovuto desumere notizie sulla politica del tempo da documenti relativi a visite pastorali, dove erano state annotate per inciso, magari al fine di datarle. I processi dell'Inquisizione, fortunatamente, sono tutti redatti per iscritto da un vero e proprio notaio. Così dettava la procedura obbligatoria, che per quei tempi costituiva una vera e propria novità. Orbene, le ricerche storiche scientificamente condotte demoliscono completamente i luoghi comuni sull'argomento. Uno specialista danese, Gustav Henningsen, ha spogliato con l'ausilio del computer più di cinquantamila processi della famigerata Inquisizione spagnola lungo l'arco di centocinquant'anni circa, reperendovi solo l'uno per cento di condanne a morte. Basta un semplice calcolo per costatare quanto si sia lontani da quei milioni di vittime" che la pubblicistica anticlericale s'è inventata. Luigi Firpo, storico "laico", intervistato da Vittorio Messori (cfr Inchiesta sul cristianesimo, Sei, Torino 1987) ha dichiarato serenamente che "davanti a quel tribunale, più che dei colpevoli di reati di opinione, dei paladini della libertà di pensiero, comparvero dei delinquenti comuni, delle persone colpevoli di atti che anche il diritto moderno considererebbe reati [...]. Gli Ucciardone e le Rebibbia di oggi sono le vere bolge infernali rispetto alle troppo diffamate celle dell'Inquisizione [...]; era, per esempio, prescritto che lenzuola e federe si cambiassero due volte alla settimana: roba da grande albergo [...]. Una volta al mese, i cardinali responsabili dovevano ricevere uno a uno i prigionieri per sapere di che avessero bisogno. Mi sono imbattuto in un recluso friulano che chiese di avere birra al posto del vino. Il cardinale ordinò che si provvedesse ma, non riuscendo a trovare birra a Roma, ci si scusò con il prigioniero, offrendogli in cambio una somma di denaro perché si facesse venire la bevanda preferita dalla sua patria".

Prima di tracciare brevemente la storia dell'Inquisizione, è opportuno sgombrare il campo da un equivoco su cui forse non si è riflettuto abbastanza: oltre all'Inquisizione cattolica, dopo la Riforma ci fu anche un'Inquisizione protestante. È ben nota l'ossessione per la presenza del demoniaco che caratterizzò la mentalità di Lutero e di Calvino. Tutta la letteratura horror fiorita attorno alle "streghe di Salem" non pone in evidenza (né era tenuta a farlo) non avendo ambizioni storiografiche) distinzioni d'epoca o di territorio. Vi faremo più lungo accenno in seguito.

Perché nasce l'Inquisizione

Quando il cristianesimo divenne la religione ufficiale dell'impero romano, gli imperatori ritennero loro dovere reprimere l'eresia anche con la morte, giacché nell'eretico ravvisavano non a torto l'eversore dell'ordine costituito. In precedenza, le prime grandi persecuzioni contro i cristiani erano state invocate proprio dall'atteggiamento degli eretici montanisti nei confronti dello Stato.

Questi rifiutavano infatti di prestare obbedienza all'autorità romana e di servire nell'esercito, al contrario dei cristiani ortodossi che erano numerosi nelle legioni e che non di rado occupavano alte cariche pubbliche. Se ripensiamo al processo di Gesù, possiamo costatare la riluttanza dello stesso Pilato a ritenere il Galileo un sovversivo nonostante l'insistenza dei Giudei. Proprio l'antiromanesimo giudaico ritornava nell'eresia montanista; esso diede luogo a non poche rivolte armate contro le autorità, talché gli imperatori pagani, poco propensi a sottili "distinguo" teologici in quello che per loro era uno dei tanti culti dell'impero, finivano spesso per fare d'ogni erba un fascio. Le Apologie, come quella più famosa di Tertulliano, non erano che scritti a difesa della lealtà cristiana alle istituzioni, indirizzati all'imperatore nel tentativo di scongiurare le persecuzioni e gli eccidi.

Mutato lo spirito dei tempi, nel IV e V secolo la repressione si indirizzò verso gli eretici, per i motivi già esposti. La Chiesa non si oppose alle sanzioni che il potere civile emanava. Tuttavia, per la penna di san Giovanni Crisostomo si dichiarò contraria alla loro messa a morte, perché Dio ne attendeva la sempre possibile conversione. Dal VI fino al X secolo gli eretici furono praticamente lasciati in pace in quanto propugnavano deviazioni di contenuto esclusivamente teologico; le dispute c'erano, e assai aspre, ma per lo più verbali.

Le cose presero altra piega quando insorsero le eresie a carattere popolare - oggi diremmo sociale" - in cui dal dissenso dottrinario si passava alla critica eversiva dell'assetto politico-istituzionale. Più che dallo scontro con l'Islàm, la cristianità medioevale vide infatti minacciata la sua Sopravvivenza come civiltà proprio da queste eresie.

Gli ultimi quattrocento anni del Medioevo, fino all'esplosione della rivoluzione protestante, furono letteralmente costellati di eresie; catari, patarini, leonisti, speronisti, arnaldisti amalriciani, guglielmiti, apostolici, dolciniani (quelli di cui parla il romanzo di Eco), umiliati, passagini e altri ancora. La lista è molto più lunga, ma basta a dar l'idea di come il Medioevo sia stato un'era densa di tensioni e conflitti, ben più gravi delle pestilenze.

Queste eresie - come si osservava - non erano semplici manifestazioni di dissenso teologico, ma veri e propri movimenti anarcoidi contro il potere politico e la società civile. Innanzi alle frequenti esplosioni di fanatismo l'autorità civile interveniva applicando le leggi, che all'epoca prevedevano punizioni quasi esclusivamente corporali (il carcere come pena è stato "inventato" dalla Chiesa; era una sanzione ecclesiastica applicabile solo ai chierici). Talché gli eretici finivano il più delle volte impiccati o bruciati, spesso dalla furia del popolo sdegnato e impaurito per i loro eccessi. Ma nella confusione dei linciaggi o dei processi sommari imbastiti dai principi e signori feudali, non di rado interessati più alla confisca dei beni del reo, capitava a volte che a farne le spese fossero persone assolutamente immuni da eresia.

Poteva inoltre accadere che qualcuno venisse falsamente accusato dal vicino invidioso, o che fossero divenuti eretici perché nel loro villaggio tutti lo erano, e pertanto ne temevano i soprusi. Altre volte, invece, si trattava di gente caduta in errore per ignoranza, così che il giudice civile raramente aveva la competenza teologica necessaria per stabilire con esattezza il confine tra ortodossia ed eresia.

Per tutti questi motivi la Chiesa decise di istituire il tribunale dell'Inquisizione. Solo esperti ecclesiastici potevano asserire con certezza chi fosse davvero eretico, garantirgli un giusto e formale processo e persuaderlo, ove possibile, a rientrare nella Chiesa. L'Inquisizione nacque proprio per digli eretici dagli abusi e per arginare il fenomeno, avendo di mira la salvezza di quante più anime possibile. Infatti, come vedremo, l'eretico pentito riceveva solo sanzioni spirituali; veniva consegnato all'autorità civile solo se aveva commesso qualche reato.

È opportuno tuttavia soffermarsi brevemente sulla più nefasta, nonché più persistente e diffusa, di queste eresie medioevali, per comprendere appieno la portata e il significato che ebbe il sacro tribunale: il catarismo.

L'eresia dai molti nomi

Catari, albigesi, bogomili, bulgari, tessitori, patari: tutti nomi diversi dello stesso fenomeno; anzi, proprio questa varietà di appellativi testimonia l'incredibile diffusione che ebbe la setta. I suoi adepti, che non disdegnavano alleanze persino coi musulmani pur di colpire la cristianità, erano penetrati profondamente in tutti gli strati sociali e specialmente in quello che oggi chiameremmo "sottoproletariato urbano", anche se non pochi principi e signori "simpatizzavano" (O li proteggevano per avversione al clero, in un'epoca in cui il potere doveva fare i conti con la presenza di sacerdoti e vescovi che ubbidivano al Papa prima che al principe: ricordiamo il lunghissimo braccio di ferro tra Papato e Impero per il controllo delle investiture vescovili).

Il fascino esercitato dai catari, soprattutto sulle persone più deboli e semplici, era dovuto più che altro alla loro apparente austerità di vita. Digiunavano spesso, non toccavano vino e carne, praticavano la povertà e la castità assolute. La loro dottrina era di tipo manicheo, incentrata cioè sulla credenza in due divinità: l'una buona, l'altra malvagia. A quest'ultima sarebbe da ascrivere la creazione del mondo; di qui la rigida ascesi per sottrarsi alla tirannia della materia e il divieto assoluto di generare per non perpetuare il peccato originale.

Gli adepti dovevano deporre tutti i loro beni ai piedi dei "perfetti" e rifiutare ogni servizio al mondo, come per esempio obbedire alle autorità, impugnare le armi, prestare giuramento. Negavano. inoltre, la realtà dell'Incarnazione, perché Cristo - a loro avviso - era un angelo e al suo posto sarebbe stato crocifisso un demonio. L'unico sacramento ammesso dai catari era il cosiddetto consolamentum, che poteva essere impartito una sola volta nella vita: chi fosse ricaduto nel peccato dopo averlo ricevuto, non avrebbe avuto più alcuna speranza di salvezza.

Ai "perfetti" era di fatto consentito ogni eccesso, perché ormai al di sopra del peccato, mentre il divieto di procreazione (che avrebbe significato l'estinzione del genere umano se generalizzato) finiva talvolta nella pratica della sodomia e di altri abusi sessuali contro natura. Chi riceveva il consolamentum spesso si suicidava o veniva ucciso subito dopo, per tema che ricadesse nel peccato (la cosiddetta "endura"), e a farne le spese erano soprattutto i malati e i bambini.

I furti, le rapine e gli omicidi erano permessi e incoraggiati, poiché ogni realtà materiale era partecipe del male. Se aggiungiamo che la civiltà medioevale era strutturalmente fondata sul "patto feudale" - cioè sul giuramento di fedeltà, che ai catari era vietato - abbiamo il quadro esatto della situazione. I capi della setta, perpetuamente itineranti, erano pressoché imprendibili: nelle maglie della giustizia - o nell'ira popolare - incappavano quasi sempre sprovveduti adepti.

Insomma il catarismo, lungi dall'essere una semplice manifestazione di libertà di pensiero, era la teorizzazione della violenza e dell'anarchia, nonché la condanna senza appello di ogni sforzo teso a migliorare le condizioni materiali di vita.

La reazione della Chiesa

Le basi dell'Inquisizione medioevale furono gettate durante il Concilio di Tours del 1163, presieduto da Alessandro III. Il tribunale si configurò subito con caratteri di assoluta novità: i vescovi erano incaricati di ricercare gli eretici e convincerli a desistere dall'eresia. Perché ricercarli? Perché l'eresia era così diffusa che nessuno osava farsi avanti - per accusare o per costituirsi - nel timore di rappresaglie.

Ma il successo dell'iniziativa fu scarso. I vescovi vivevano in loco e spesso avevano paura essi stessi. Più che una direttiva venuta da lontano, da Roma, poté l'amore del quieto vivere. Furono allora istituiti i legati pontifici, mandati direttamente dal Papa col potere di deporre gli stessi vescovi ove trovati negligenti nel compiere il loro ufficio.

Questa seconda Inquisizione (detta "legatina" per distinguerla dalla precedente "episcopale") fu affidata ai Cistercensi, che giravano per l'Europa predicando e disputando pubblicamente con gli eretici. Fu proprio l'insuccesso di questo ulteriore tentativo a convincere, nel 1206, san Domenico a impegnarsi nella predicazione itinerante, a piedi nudi e vivendo di elemosina. I predicatori domenicani nacquero appunto per contrastare l'eresia catara, opera non esente da pericoli (due anni più tardi gli eretici assassinavano il legato papale Pietro di Castelnau).

La data ufficiale di nascita dell'Inquisizione vera e propria è il 1233, anno in cui Papa Gregorio IX ne investì formalmente l'Ordine domenicano. E questa l'Inquisizione detta "monastica", in cui l'inquisitore non era più un semplice predicatore, ma un vero giudice, permanente e stabile. A far decidere il Pontefice fu l'atteggiamento di quello che è passato alla storia come il sovrano "illuminato" per eccellenza, Federico II, cui si deve l'introduzione ufficiale del rogo per gli eretici. Costui, scomunicato più volte, era notoriamente più interessato alla confisca dei beni degli eretici che alla salvezza delle loro anime. Il Papa decretò che il presunto eretico fosse sottratto alla giustizia civile e sottoposto all'Inquisizione, la sola legittimata ad agire in materia di fede.

Ai Domenicani vennero subito affiancati i Francescani, di recente istituzione. I due Ordini apparivano come mandati dalla Provvidenza al momento opportuno: la profonda preparazione teologica dei membri e la povertà autenticamente vissuta ne garantirono immediatamente l'immensa popolarità. Il frate non era nativo dei luoghi ove peregrinava, né era possibile che fosse attratto dalla cupidigia dei beni da confiscare a cagione del voto di povertà; a piedi nudi, contrapponeva ben altra austerità a quella apparente dei catari, così come il pericolo non lo spaventava affatto. La gente accorreva fiduciosa sotto la protezione dell'Inquisizione monastica, il cui successo fu immediato.

La "leggenda nera" narra di innumerevoli "vittime" dell'Inquisizione così come indugia a descrivere la crudeltà dei giudici. È per contro auspicabile che prima o poi qualcuno ponga mano a una storia delle vittime degli eretici, come san Pietro da Verona massacrato in un agguato. Per quanto riguarda l'altro aspetto della "leggenda", cioè la presunta crudeltà dei monaci inquisitori, ci limitiamo a citare le direttive che Bernardo Gui impartiva ai suoi subordinati: «In mezzo alle difficoltà e ai contrasti l'inquisitore deve mantenere la calma né mai cedere alla collera o all'indignazione [...]. Non si lasci commuovere dalle preghiere o dall'offerta di favori da parte di quelli che cercano di piegarlo; ma non per questo egli deve essere insensibile sino a rifiutare una dilazione oppure un alleggerimento di pena a seconda delle circostanze e dei luoghi. Nelle questioni dubbie sia circospetto, non creda facilmente a ciò che pare probabile e che spesso non è vero; né sia facile a rigettare l'opinione contraria, perché sovente ciò risultare vero. Egli deve ascoltare, discutere e sottoporre a un diligente esame ogni cosa, al fine di raggiungere la verità. Che l'amore della verità e la pietà, le quali devono sempre albergare nel cuore di un giudice, brillino dinanzi al suo sguardo, sicché le sue decisioni non abbiano giammai ad apparire dettate dalla cupidigia o dalla crudeltà».

La procedura

Cerchiamo ora di tracciare a grandi linee la procedura inquisitoriale.

L'inquisitore doveva essere esperto di diritto e di teologia, essere di notoria santità di vita e avere più di quarant'anni. Quest'ultimo requisito assume particolare rilevanza, ove si consideri che a quell'epoca si diventava vescovi a età molto inferiore. D'altronde il Medioevo non teneva in alcun conto l'età: tutta l'educazione era per così dire intesa a far uscire l'individuo dallo stadio infantile il più presto possibile; la nozione stessa di "balocco" quale l'abbiamo oggi era pressoché sconosciuta, essendo il bambino provvisto degli stessi strumenti di lavoro degli adulti, naturalmente in dimensione ridotta.

L'inquisitore rispondeva direttamente soltanto al Papa. Era competente a giudicare i soli battezzati, per cui gli Ebrei e i musulmani erano fuori della sua giurisdizione. Questo può sembrare ovvio, ma non è inutile sottolinearlo: un tribunale della fede poteva giudicare solo i fedeli.

Il giudice era generalmente accompagnato da un confratello, reclutato con gli stessi criteri. Non poteva emanare sentenze senza aver prima ascoltato il vescovo locale e sentito il parere obbligatorio dei boni viri. Erano costoro una vera e propria giuria, cosa che costituiva una novità assoluta per quei tempi. Scelti tra esperti di diritto, chierici o laici, in numero variabile (talvolta anche cinquanta), erano tenuti al segreto ed era loro taciuto il nome dell'imputato. L'ufficio era gratuito.

L'altra novità era il notaio, che fungeva da cancelliere e aveva l'obbligo di mettere per iscritto tutte fasi della procedura, le deposizioni e le testimonianze: a garanzia di trasparenza assoluta.

L'inquisitore, giunto in un luogo noto per essere infestato di eretici, si presentava subito al vescovo. Poi riuniva il popolo e teneva una predica sulla fede, scongiurando gli eretici di presentarsi spontaneamente. A tal fine veniva loro concesso il tempus gratiae, da quindici giorni a due mesi. Chi si fosse confessato era senz'altro assolto. Spesso la confessione avveniva in segreto per evitare che il penitente andasse incontro a difficoltà.

In pari tempo, gli eretici professi venivano invitati a presentarsi sulla parola. Gli imputati potevano ricusare i testimoni se dimostravano che questi avevano motivo di essere malevoli nei loro confronti. L'inquisitore non poteva giudicare un imputato, ove costui in passato gli avesse nociuto.

Giunge qui opportuna qualche considerazione intesa a dissipare tenaci equivoci sull'uso della tortura. Pratica diffusissima nei tribunali secolari durante gli ultimi secoli del Medioevo, in concomitanza col rifiorire degli studi di diritto romano (che ne faceva largo uso, specialmente nei confronti degli schiavi e per delitti particolarmente efferati), la tortura non fu, contrariamente a quel che si ritiene, quasi mai adoperata dall'Inquisizione. Su 636 processi celebrati a Tolosa dal 1309 al 1323, ad esempio, fu usata una sola volta verso un imputato notoriamente pericoloso e già reo confesso. "Ecclesia abhorret a sanguine" è una frase che ricorre spesso nei documenti. Dalle fonti si ricava inoltre che gli inquisitori non nutrivano alcuna fiducia nelle confessioni estorte, perché quasi mai veritiere.

Le pene inflitte

Da ultimo, era sempre presente il rischio per l'inquisitore di incorrere in gravissime responsabilità, poiché l'imputato poteva sempre appellarsi al Papa. Diversi inquisitori finirono i loro giorni in carcere a causa della loro eccessiva severità. Emblematico il caso di Roberto il Bulgaro, Inquisitore Generale, rimosso dall'incarico e severamente punito. Si trattava di un cataro convertito che si dedicò a estirpare l'eresia con una durezza che dal Papa venne giudicata abnorme. In più, l'imputato aveva diritto a un avvocato e i testimoni dovevano essere almeno tre. Inoltre, la testimonianza di gente notoriamente malfamata era considerata nulla. Le pene erano esclusivamente spirituali: pellegrinaggi, penitenze, preghiere; i più facoltosi potevano essere condannati a elargire somme di denaro a enti di beneficenza.

Se all'eresia era connesso qualche reato, interveniva il braccio secolare, ma l'inquisitore aveva facoltà di mitigare, commutare e anche condonare le pene. Al riguardo merita rilevare che fu l'Inquisizione a introdurre la "licenza" a favore dei carcerati, per malattia loro o dei congiunti, per attendere al lavoro dei campi, per buona condotta. Sul trattamento dei detenuti, valgano le osservazioni dello storico Firpo all'inizio di queste note.

Il "carcere" dell'Inquisizione si configurava tuttavia in modo diverso dal nostro. Le espressioni latine che si rinvengono nei documenti - "carcere perpetuo", prigione irremissibile" - stanno a significare in realtà un periodo di detenzione dai cinque agli otto anni, da scontarsi spesso in convento o addirittura a casa propria.

Agli arresti domiciliari sulla parola fu messo, come è noto, Galileo, di cui diremo più avanti. L'istituzione dell'ergastolo verrà infatti introdotto nelle legislazioni europee solo dopo la Rivoluzione francese. L'ideologia della libertà e dell'eguaglianza, come valori assoluti astrattamente intesi, ravvisava nel carcere la pena ideale: il carcere era "umanitario" (si pensi all'opera dell'illuminista Beccaria), toglieva il bene per eccellenza - la libertà - ed era egualitario perché uguale per tutti, nonché perfettamente graduabile all'entità del crimine.

Jean Dumont, forse il massimo storico dell'Inquisizione, riporta un curioso episodio accaduto nell'àmbito territoriale dell'Inquisizione spagnola (favolisticamente nota per essere stata la più terribile di tutte), che testimonia negli inquisitori una mitezza al limite della dabbenaggine. Pablo de Olavide, intellettuale illuminista (siamo nel 1778), venne condannato dall'Inquisizione al "carcere perpetuo" (cioè a otto anni di convento). Dopo pochi giorni il detenuto cominciò a protestarsi malato e chiese di essere inviato alle terme, in Castiglia. Subito accontentato, continuò a lamentarsi perché le cure prestate erano insufficienti ad assicurargli la guarigione. Fu allora mandato ad altri bagni termali, questa volta in Catalogna. Naturalmente, una volta vicino al confine, l'Olavide non tardò a fuggire in Francia, dove venne accolto come "martire" dell'Inquisizione. In quel Paese Pablo de Olavide terminò la sua esistenza - dopo aver visto il Terrore rivoluzionario - scrivendo in difesa della religione.

Forse molti ignorano che in Spagna, sul finire del secolo XVIII, l'abolizione dell'Inquisizione suscitò un numero impressionante di petizioni popolari volte al suo ripristino.

Le pene comminate dai tribunali civili erano, all'opposto, veramente inumane. Nell'età dell'assolutismo, specialmente, il condannato veniva torturato in più modi anche mentre era condotto al patibolo. Le confraternite religiose, istituite all'occorrenza dalla Chiesa, avevano la funzione di accompagnare il condannato al luogo del supplizio non solo per assicurargli i conforti religiosi, ma soprattutto per evitare che gli fossero inflitte ulteriori sofferenze.

Tutti i documenti evidenziano una mitezza a volte eccessiva dei tribunali inquisitoriali, di contro all'inflessibilità dei Pontefici nel perseguire i giudici troppo severi. E ciò non solo per ragioni di carità, ma anche per motivi politici: i rapporti tra la Chiesa e il potere civile furono quasi sempre tesi durante i secoli in cui fu in vigore l'Inquisizione. Così, ad esempio, in Italia i comuni ghibellini proteggevano ben volentieri i catari, che avevano le loro roccaforti a Venezia e specialmente a Orvieto.

In questa città Cristoforo Tosti, due volte assolto e altrettante volte ricaduto nell'eresia, arrivò a invadere con i suoi il convento dei Domenicani e a picchiare a sangue l'inquisitore. Nuovamente inquisito, la pena si limitò al bando.

Per parte sua Giovanni Boccaccio, nel Decamerone, mise alla berlina l'inquisitore di Firenze e non ebbe alcun fastidio. Qualche tempo prima, nel 1258, le autorità fiorentine avevano addirittura espulso l'inquisitore Giovanni Oliva, impedendogli persino di predicare.

Come si può osservare, la vita dell'inquisitore non facile, stretto tra gli eretici e l'autorità civile da un lato, e la severa vigilanza pontificia dall'altro. Nessuna meraviglia che l'ufficio fosse accettato sempre con riluttanza. Tuttavia, con le armi della misericordia, il catarismo andò progressivamente estinguendosi. La predicazione incessante degli Ordini religiosi e la protezione del tribunale dell'Inquisizione liberarono la gente dalla paura e dall'ignoranza, le due principali cause che favorirono la grande espansione dell'eresia.

Altro luogo comune che accompagna l'Inquisizione è quello della presunta connessione con la stregoneria.

La Chiesa considerò sempre magia, sortilegi e negromanzia nient'altro che pratiche superstiziose. E per il peccato di superstizione erano competenti, così come per gli altri, il vescovo e il confessore. L'inquisizione se ne occupava soltanto se quelle attività lasciassero sospettare eresie.

D'altronde, nei Paesi cattolici anche l'autorità civile puniva le pratiche magiche solo se comportassero reati veri e propri.

La diffusione della stregoneria nel Medioevo è stata in realtà esagerata da certa letteratura moderna. Come ha acutamente osservato di recente il cardinal Ratzinger, prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, l'irruzione del cristianesimo nella storia ha avuto l'effetto di liberare l'uomo da antiche millenarie paure. Non a caso Cristo dichiara di essere la "luce" del mondo. Il lieto annunzio che tutta la creazione è sotto l'imperio del Dio unico, Padre buono, fuga le tenebre della superstizione e dissolve l'incubo delle potenze malvagie operanti a danno dell'umanità. Non a caso sono proprio le epoche di maggior indebolimento dei valori cristiani a registrare il puntuale riaffiorare delle vecchie superstizioni, il ritorno alle pratiche esoterico-magiche, al determinismo astrologico e persino alle suggestioni del demoniaco.
Parimenti inquinata da disinformazione e faziosità ideologica è la questione degli Ebrei nel loro rapporto con l'Inquisizione.

Il problema degli Ebrei

Si è già rilevato come l'ebraismo fosse sottratto all'Inquisizione. Gli Ebrei godevano da parte della Chiesa di molteplici garanzie e protezioni; rinomata era la scienza di alcuni di loro e gli stessi Pontefici non disdegnarono di averli spesso come medici personali. Persino l'Inquisizione se ne giovò non di rado come giurati nel corso di processi contro Ebrei convertiti al cristianesimo e caduti in eresia.

In effetti i rapporti tra Ebrei e cristiani furono, a livello di popolo, sempre difficili. Sì consentiva agli Ebrei quel che ai cristiani era vietato, cioè il prestito a interesse o "usura", praticato a un tasso fisso di circa il trenta per cento. Trascorsero secoli rima che i teologi moralisti ammettessero anche per i cristiani la legittimità dell'interesse sul presto.

Spesso i principi cristiani attiravano gli Ebrei sui territori con la promessa di privilegi, per poter fruire dei loro crediti, di rado in verità rimborsati. In tempo di carestia erano sufficienti due o tre usurai per ridurre in miseria intere comunità rurali, essendo l'agricoltura la principale risorsa dell'economia medioevale. Di qui le sporadiche esplosioni della furia popolare, che le autorità riuscivano ad arginare con fatica. A ciò si aggiunga che i cittadini di religione ebraica non erano tenuti - proprio perché non cristiani - all'osservanza della chiusura festiva delle botteghe, la qual cosa veniva vissuta come concorrenza intollerabile, se si considera che nel Medioevo le festività religiose erano innumerevoli. I ghetti vennero istituiti proprio per motivi di ordine pubblico, così da ridurre al minimo i contatti tra le due comunità. La situazione era estremamente delicata in Spagna, dove gli Ebrei costituivano all'incirca il trenta per cento della popolazione. La propaganda negava sull'Inquisizione spagnola ha inizio con l'invasione napoleonica. Prima, al contrario, gli sforzi dei governi francesi - da Richelieu in poi - erano tesi a dimostrare l'insufficiente severità del Tribunale spagnolo, onde accreditare l'opinione che sola Francia difendesse energicamente la fede.

Per inquadrare correttamente la questione occorre considerare che nella Spagna del tardo Medioevo, appena liberatasi dai Mori dopo una lotta plurisecolare, molti Ebrei si erano convertiti al cristianesimo per mera convenienza, giungendo pressoché a dominare nella cultura, nell'economia e nella finanza. Non di rado importanti uffici erano ricoperti da Ebrei convertiti (conversos). Il già citato storico Jean Dumont riferisce che in Spagna la situazione arrivò al punto che in numerose chiese si celebravano riti giudaizzanti, con cerimonie che in taluni casi non avevano quasi più nulla di cattolico. Così che il popolo insorgeva con tumulti improvvisi accomunando in un solo linciaggio Ebrei, conversos veri e conversos falsi. Il compito precipuo dell'Inquisizione spagnola fu appunto quello di stabilire con esattezza secondo giustizia quali fossero i falsi convertiti. Avocando a sé la questione, si può dire che l'Inquisizione abbia avuto in Spagna il merito storico di aver preservato gli Ebrei dalle invidie di quanti in essi ravvisavano solo il ceto sociale economicamente più forte, e di averne garantito la prosperità.

Per ragione d'assoluta imparzialità l'Inquisizione fu affidata proprio a conversos, uno dei quali fu il famigerato Tommaso di Torquemada. Questi, che i romanzi "gotici" ci hanno tramandato come in personaggio torvo e sanguinano, fu in realtà un dei più grandi mecenati del suo tempo, instancabile promotore di amnistie proprio a favore di imputati ebrei. In sintesi è doveroso dire che l'Inquisizione spagnola, perseguendo solo chi simulava di essere cristiano per motivi di carriera, assicurò pace sociale e risparmiò al Paese gli orrori delle guerre di religione che di lì a poco, con l'esplosione protestante, avrebbero insanguinato tante regioni d'Europa.

I Templari e santa Giovanna D'Arco

In queste rapide considerazioni sui più diffusi luoghi comuni intorno all'Inquisizione non va taciuta la dolorosa vicenda dei Templari.

Come è noto, l'Ordine dei Cavalieri del Tempio venne sanguinosamente soppresso agli inizi del 1300. Gli storici sono ormai concordi nel ritenere l'orrendo crimine sia stato ordito dal sempre indebitato Filippo il Bello, re di Francia, al fine di impossessarsi delle ingenti ricchezze dell'Ordine. Clemente V venne praticamente raggirato da uomini al soldo di Filippo, che accusarono i Templari stregoneria e di perversioni sessuali. Siamo al tempo della cattività avignonese, quando la Chiesa era in completa balia dei sovrani francesi.

Fu davvero una vicenda oscura nella storia dell'Inquisizione, così come tale fu in seguito la condanna di Giovanna D'Arco, canonizzata poi da Benedetto XV. Si trattò tuttavia di processi "politici" promossi, nell'un caso, dal re di Francia e, nell'altro, dal sovrano d'Inghilterra, i quali si servirono di figure di comodo nell'assoluto dispregio delle procedure canoniche. I Papi furono tenuti all'oscuro della realtà dei fatti, e in entrambi i processi gli appelli interposti dai condannati non furono nemmeno portati a conoscenza della somma autorità della Chiesa.

Savonarola, Bruno e Campanella

Controversa rimane a tutt'oggi la figura di Girolamo Savonarola, la cui storia non s'intende qui ripercorrere. C'è solo da precisare - ove fosse necessario - che egli mai ebbe a che fare con l'Inquisizione, non essendo eretico. Come è noto, il Savonarola venne impiccato e arso dalle autorità fiorentine (che prima lo avevano protetto, nella complessa vicenda che vide contrapposte le fazioni cittadine) sotto l'accusa di sobillare il popolo.

Diverso è il caso di Giordano Bruno. Il discusso pensatore ebbe il suo momento di maggior fulgore nel secolo scorso, durante il lungo contrasto che oppose i governi liberal-massonici del neonato Regno d'Italia alla Santa Sede. Al filosofo nolano Crispi fece addirittura erigere a Roma un monumento, in piazza Campo dei Fiori.

Nei manuali di liceo ancor oggi Bruno è presentato come "martire del libero pensiero", ma il domenicano Tito Centi, uno dei maggiori tomisti contemporanei, confessava qualche anno fa di non capire in che cosa consista tutta la supposta "profondità filosofica" del pensiero del Nolano. Più rilevanti sono le opere di Tommaso Campanella, ad esempio, che pur viene spesso associato a Giordano Bruno. A proposito di Campanella è da dire che, nonostante la sua posizione dottrinale quanto meno eterodossa, pure fu protetto dal Papa Urbano VIII, che ne favorì la fuga dal Regno di Napoli ove era stato implicato in una congiura. Dopo una vita ricca di peripezie, a motivo delle ostilità che la sua concezione utopica di palingenesi universale suscitava, il filosofo calabro riparò a Parigi dove pubblicò tranquillamente le sue opere. Contrariamente a quanto i più ritengono, morì in terra francese senza subire alcuna persecuzione. Ma torniamo a Giordano Bruno, la cui vicenda è per molti versi esemplare ai fini del nostro discorso. Questo frate domenicano si segnalò subito per le sue opinioni decisamente eretiche sulla verginità della Madonna, sulla transustanziazione, sul culto dei santi, sull'inferno. Si spinse addirittura a sostenere la liceità della fornicazione e della bigamia, perdendosi in confuse teorie sulla trasmigrazione delle anime. Ovviamente le sue posizioni dottrinali richiamarono l'attenzione dell'Inquisizione (siamo nella seconda metà del '500: non si è ancora spenta l'eco della rivoluzione protestante e i massacri conseguenti). Deposto l'abito religioso, Bruno fuggì, peregrinando senza sosta per l'intera Europa.

Fu a Ginevra, dove si fece calvinista. Qui pubblicò un libello giudicato blasfemo e finì in carcere. Dopo esserne uscito, passò prima in Francia e poi in Inghilterra, dove cercò di introdursi alla corte di Elisabetta. Alla regina non piacquero i suoi scritti adulatori, così che Bruno dovette riparare in Germania. In terra luterana indirizzò sermoni celebrativi a Lutero (l' "Ercole" che aveva sconfitto il "lupo" di Roma), ma il suo carattere ombroso e polemico lo costrinse a cambiare più volte città.

Fuggito anche dalla Germania, riparò a Venezia che proteggeva volentieri gli eretici. Qui fu ospite per un certo tempo di Giovanni Mocenigo, al quale aveva promesso di insegnare l'arte della memoria di cui si proclamava maestro. Ma il patrizio veneziano, giudicando insoddisfacente il profitto che traeva dalle lezioni e preoccupato per i discorsi eretici religiosi del filosofo, lo denunciò all'Inquisizione. Il governo della Serenissima colse l'occasione per liberarsi dell'incomodo ospite ordinandone l'estradizione a Roma. In questa città ebbe come inquisitore Roberto Bellarmino, poi santo e Dottore della Chiesa. Posto di fronte alle sue tesi erronee, Giordano Bruno ritrattò dichiarandosi colpevole e pentito.

Quasi immediatamente però, spinto forse dal suo carattere orgoglioso, rinnegò tutto. Allora, nonostante le suppliche di Bellarmino, fu consegnato governatore di Roma che lo reclamava quale eversore dell'autorità costituita (Bruno aveva sempre disdegnato la disputa coi teologi, preferendo predicare direttamente sulle pubbliche piazze). L'autorità civile si premurò di avviarlo velocemente al patibolo, senza dar tempo agli ecclesiastici di reiterare i tentativi (del resto inutili) per indurre Bruno al pentimento.

Galileo

Per la vicenda giudiziaria senz'altro più famosa e meno conosciuta, quella cioè relativa a Galileo Galilei, si rimanda al mio scritto "La verità su Galileo" (Fogli, n. 90, settembre 1984). Qui mi limiterò a osservare che la leggenda ha talmente enfatizzato quel processo da trasformarlo arbitrariamente in una requisitoria della religione contro la scienza. Da allora, infatti, nella coscienza molti credenti è radicato un certo complesso colpa e d'inferiorità nei confronti del sapere fisico-matematico.

Purtroppo solo gli epistemologi, cioè i filosofi della scienza, sanno che Galileo fu processato per le sue posizioni teologiche decisamente eretiche, e non perché asseriva che fosse la terra a girare intorno al sole. Questo era noto fin dal secolo VI avanti Cristo, e Copernico l'aveva teorizzato matematicamente prima di lui. Del resto, il moto della terra poté solo essere intuito da Galileo. La dimostrazione scientifica effettiva fu molto più tarda.

Si ravvisa ancor oggi nella Chiesa della riforma tridentina la massima espressione dell'intolleranza, ma pochi sanno che Galileo aveva diversi figli (tra cui una suora) avuti da una donna che non sposò mai e che nelle fonti non v'è alcuna traccia di critica al riguardo da parte ecclesiastica. Anzi, la Curia pontificia lo teneva in gran conto, elargendogli a più riprese onori e somme di denaro. Carattere turbolento, passò la vita in perpetuo contrasto coi colleghi (che disprezzava apertamente), invidiosi della sua fama e del suo genio.

Furono gli astronomi gesuiti a difenderlo e a confermare le sue prime scoperte astronomiche. E furono i colleghi dell'Università a spingerlo a dichiarare pubblicamente che la Sacra Scrittura dovesse essere corretta sulla scorta delle sue scoperte.

Ma la Bibbia non è un libro scientifico: Bellarmino, che gli era amico e per più anni l'aveva protetto, cercò di comporre la controversia suggerendo a Galileo di insegnare le sue teorie per quel che erano, cioè mere ipotesi matematiche, strumenti inadeguati per trattare di teologia.

Dapprima Galileo acconsentì e la Curia lo colmò di onori e privilegi. Tuttavia in seguito, reso forse più sicuro dalla sua fama ormai universale, fece circolare il Dialogo dei massimi sistemi in cui la teoria eliocentrica era riproposta in modo a dir poco offensivo per lo stesso Pontefice Urbano VIII (adombrato nella figura di Simplicio).

Inquisito ancora, inviò certificato medico in cui denunciava malesseri e depressione. Il processo fu rinviato. Quando non fu più possibile differirlo, l'Inquisizione gli permise di alloggiare in casa dei vari cardinali che se ne contendevano la compagnia. La condanna di Galileo consisté nel recitare per tre anni i Salmi penitenziali una volta alla settimana nella sua villa di Arcetri. La pena fu quasi subito commutata, e lo scienziato ricominciò indisturbato a insegnare le sue teorie.

Tuttavia da quel momento si incrinò l'unità di fede e ragione che san Tommaso e altri pensatori della Scolastica avevano perseguito, e la scienza cominciò a rivendicare quell'autonomia assoluta che rischia oggi di produrre la paventate aberrazioni dell'ingegneria genetica.

Alcune osservazioni di metodo

Si è qui cercato non tanto di denunciare una mentalità profondamente radicata in molte coscienze, quanto di offrire spunti volutamente provocatori in merito all'Inquisizione, tali da stimolare e indurre ad approfondire la verità storica. La verità infatti libera, e la Chiesa non ha nulla da nascondere odi cui vergognarsi nel suo passato. Additare per venti secoli agli uomini d'ogni tempo, con mentalità e passioni molteplici e contrastanti, sempre il medesimo messaggio dovrebbe stupire e far riflettere sull'origine dell'istituzione ecclesiale. E tuttavia, sul piano della mera storicità, non è possibile parlare a uomini di secoli diversi e di molteplici nazionalità senza adottare un linguaggio loro conforme. D'altronde, è antico vezzo cercare di dare giudizi di valore avendo come misura la propria mentalità. Gli uomini di oggi subiscono il fascino di concetti quali "democrazia", "libertà", "uguaglianza"; solo pochi "addetti ai lavori" sono consapevoli che tali idee non avevano alcun significato, ad esempio, per gli uomini del XIII secolo (o ne avevano uno del tutto diverso). Così com'è per noi senza significato il gesto di un cavaliere crociato che passava anni di stenti, di fatiche e di privazioni, solo per avere il diritto di aggiungere al suo blasone gentilizio le insegne del proprio re.

Come argutamente osservava Chesterton, chi non crede più in Dio, lungi dal non credere in niente, finisce col credere a tutto. E, sull'onda della "demitizzazione", si continua a dare per scontata la "secolare connivenza tra Chiesa e potere", dimenticando l'ingiuria di Anagni, la cattività avignonese, la lotta per le investiture, il rifiuto del Papa di sciogliere il matrimonio di Enrico VIII (che provocò lo scisma anglicano), e analoghi altri fatti. Così come si continua a ritenere che i "diritti dell'uomo" siano una conquista della Rivoluzione francese e si dimentica il Terrore, o che prima del 1789 non esisteva neppure la leva militare obbligatoria o, ancora, che i concetti di "persona" e di "dignità umana" sono valori affermatisi con il cristianesimo.

Altra grave deformazione della verità è quella di ritenere che sia stato il messaggio evangelico a minare dall'interno le strutture dell'impero romano, laddove fu il cristianesimo a salvarne l'idea, la cultura e lo spirito delle istituzioni; o che le Crociate siano state promosse per motivi commerciali e di espansione... coloniale, dimentichi di quanti sovrani, cavalieri e semplici fedeli persero vita e beni nel tentativo di recuperare alla cristianità i Luoghi Santi. Al riguardo canta T. S. Eliot: «Solo la fede poteva aver fatto ciò che fu fatto bene, / l'integra fede di pochi,! la fede parziale di molti./ Non avarizia, lascivia, tradimento,/ invidia, indolenza, golosità, gelosia, orgoglio: / non queste cose fecero le Crociate,/ ma furono queste cose che le disfecero». Ciò che questa digressione ha inteso riaffermare è che non si dà convivenza sociale senza difesa di quelli che si considerano valori comuni. Che il regime democratico, fondato sul pluralismo e sulle "regole del gioco", reprima gli eversori di destra e di sinistra, è cosa che non stupisce nessuno. Orbene, c'è stato un tempo in cui gli uomini si riconoscevano nella Res publica christiana e chiedevano alla Chiesa di essere difesi dai falsi profeti, propagatori di idee non di rado aberranti, tali da minacciare gravemente i fondamenti dottrinali, culturali e istituzionali della società religiosa e civile. Fu a questo compito che sovrintese con mitezza e buonsenso il tribunale dell'Inquisizione.

La "leggenda nera" dell'inquisizione nasce con l'Illuminismo, con quegli ideologi che, portando alle estreme conseguenze l'infatuazione umanistica per un mitico mondo precristiano, si denominarono "illuministi", cioè coloro che rischiarano l'intelletto liberandolo dall'errore. Essi intesero i secoli fra l'età classica (quale l'immaginavano nei loro slanci letterari: si pensi all'insistenza sulle vantate virtù civiche dei Romani o alla fantasiosa età dell'oro e al mito del buon selvaggio) e quella dei "lumi" come epoca di tenebre, di mera barbarie, favorita dalla "superstizione" cattolica.

L'Inquisizione venne considerata - e additata - come la carceriera dell'umanità, come un "comitato di salute pubblica" incaricato di scovare ed eliminare il "dissenso", applicando quelle che di volta in volta erano le "direttive" di un presunto Consiglio segreto.

Ma ovviamente né il cristianesimo è una concezione del mondo, né l'Inquisizione fu un tribunale ideologico. Eppure poté tanto la propaganda che i protagonisti della Rivoluzione francese si affrettarono a emanare un decreto che "liberava" le suore dai conventi. Grande dovette essere la loro sorpresa (soprattutto dopo la lettura dei romanzi di Diderot sulla condizione di plagio in cui si sarebbero trovate le monache) quando si avvidero che solamente una decina di suore accettava la "liberazione", preferendo le altre piuttosto la ghigliottina. La storia attesta che là dove la Chiesa ha perduta la sua incidenza sulla società, il sangue è scorso fiumi. Dove invece fu operante l'Inquisizione, e per tutto il tempo in cui lo fu, ai popoli furono risparmiati gli orrori delle guerre di religione.

Ricordavo all'inizio l'equivoco in cui spesso s'incorre non distinguendo opportunamente fra Inquisizione cattolica e Inquisizione protestante.

L'Inquisizione protestante

Proprio lo scisma luterano offre agli storici un proficuo termine di paragone. Si pensi a quel che accadde ai cattolici nei Paesi separatisi da Roma: in Inghilterra, i "papisti" erano impiccati e arsi (l'ultimo fu bruciato nel 1696, e la discriminazione civile proseguì fino alla prima metà dell'Ottocento; in Germania, i contadini trucidati venivano allineati lungo le strade a monito contro ogni tentativo di emancipazione sociale; a Münster, gli anabattisti di Giovanni da Leyda arrivarono al cannibalismo sotto l'influsso delle "profezie" del loro capo; in Francia, gli ugonotti (vittime poi a loro volta, ma per ragioni politiche) si resero responsabili di inauditi massacri.

Si consideri altresì il regime teocratico di Ginevra, dove in poco più di un ventennio Calvino mandò a morte una sessantina di persone per bestemmia, idolatria, adulterio. Squadre di "santi" ispezionavano le case, fustigando gli oziosi e arrestando i peccatori. Un fanciullo di dieci anni fu decapitato perché aveva percosso i genitori. Il medico e letterato Michele Servet fu arso vivo avendo modificato - per sbaglio - una parola del simbolo di fede redatto da Calvino. I processi per stregoneria del Massachusetts (i "puritani" del Mayflower portarono in America anche la loro Inquisizione) sono infine troppo famosi perché vi si accenni.

Rotta insomma la comunione con Roma, e di conseguenza l'unità di dottrina che l'Inquisizione cattolica aveva per secoli preservato, le "Chiese cristiane" si moltiplicarono immediatamente scindendosi, separandosi e inquisendosi l'un l'altra, in un processo che si è espanso in progressione geometrica fino ai nostri giorni. Come i sociologi della religione hanno giustamente rilevato, questa moltiplicazione in sètte e gruppi che si proclamavano unici depositari della verità ha dischiuso la via allo scetticismo e all'incredulità, nonché al materialismo e a tutte le filosofie che comunque vi si sono ispirate. Come da tempo non manca di sottolineare un insigne filosofo, Augusto Del Noce, oggi l'idea stessa di una verità da ricercare è stata rimossa: il problema di Dio non è più neanche un fatto privato; è un "non problema". Il risultato è che la morte di Dio coincide con quella dell'uomo. È questo l'avvertimento che percorre tutto il Magistero dell'attuale Pontefice.

Verità senza pregiudizi

In anni in cui la Dottrina sociale cattolica conosce un promettente rigoglio e il laicato cattolico viene provvidenzialmente maturando la consapevolezza che una fede che non diviene cultura assomiglia al fico sterile del Vangelo, sembra più che mai necessario che ognuno contribuisca alla edificazione di una società a misura d'uomo e secondo il piano di Dio. Per questo, secondo l'alta parola di Giovanni Paolo II, "nel suo più nobile significato la cultura è inseparabile dalla politica, intesa come arte del bene comune, di una giusta partecipazione alle risorse economiche, di una ordinata collaborazione nella libertà". Ma in quest'opera di edificazione non va rinnegato né taciuto il proprio passato. Una civiltà cristiana c'è stata, non è da inventare. Pur con i loro limiti gli uomini del Medioevo concepirono e dispiegarono un grandioso sforzo per fondare l'esistenza su valori trascendenti. Scrisse Leone XIII nell'Enciclica Immortale Dei (1885): «Fu già tempo che la filosofia del Vangelo governava gli Stati, quando la forza e la sovrana influenza dello spirito cristiano era entrata bene addentro nelle leggi, nelle istituzioni, nei costumi dei popoli, in tutti gli ordini e ragioni dello Stato, quando la religione di Gesù Cristo, posta solidamente in quell'onorevole grado che le conveniva, fioriva all'ombra del favore dei principi e della dovuta protezione dei magistrati; quando procedevano concordi il sacerdozio e l'impero, stretti tra loro per amichevole reciprocanza di servizi. Ordinata in tal modo la società recò frutti che più preziosi non si potrebbe pensare, dei quali dura e durerà la memoria, affidata a innumerevoli monumenti storici, che niuno artifizio di nemici potrà falsare od oscurare».

Ecco dunque la necessità di riproporre incessantemente, in nome della solidarietà tra le generazioni, una storia dei secoli cristiani libera da preconcetti e opportunismi. Una storia - e un fare storia - che non sia più solo trastullo d'alto livello per intellettuali, ma che appaghi quella fame di chiara e semplice verità a ragione pretesa dai più giovani. Nell'indirizzarsi a loro, durante una celebre omelia del novembre 1974, il cardinal Stepan Wyszynsky esortava: «È venuto il tempo in cui dovete dire ai vostri educatori e professori: insegnateci la verità e non ci distruggete. Non strappateci la fede. Non annientate il nostro modo di vivere cristiano e morale attraverso uno stolto laicismo del quale nessuno comprende il senso e per il quale viene speso tanto denaro. Non ci togliete la fede nel Dio vivente. [...] È venuto il tempo in cui voi, giovani, nelle università e nelle case degli studenti, dovete avere l'ardire di esigere: non ci strappate la fede perché non ci potete dare nulla di più prezioso in cambio».

Conformemente a una massima del tempo, gli uomini della cristianità medioevale pensavano sé stessi come nani appollaiati sulle spalle di giganti. Nani sì, ma che potevano veder più lontano proprio perché tenevano nel giusto conto la tradizione. L'Inquisizione fu un istituto storicamente necessario. Se viene studiata correttamente, basandosi cioè sui fatti e non muovendo da pregiudizi o mettendo "le mani avanti" come il Ciampa pirandelliano" la fede del credente avrà un'ulteriore conferma.
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Re: Apologetica

Messaggioda GrisAdmi » gio ago 18, 2011 3:01 pm

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Titolo A gloria di Dio. Come il cristianesimo ha prodotto le eresie, la scienza, la caccia alle streghe e la fine della schiavitù
Autore Stark Rodney
Prezzo € 28,00
Dati 2011, 555 p., brossura
Traduttore Mengo D.
Editore Lindau (collana I leoni)

Descrizione
Molti oggi imputano alla religione certi tragici passaggi della storia, e in ogni caso le negano qualunque ruolo positivo nelle vicende dell'umanità. Per esempio, affermano che il cristianesimo ha ostacolato il progresso scientifico e offerto giustificazioni alla schiavitù. In realtà, al contrario, la scienza moderna è un prodotto della concezione cristiana del Dio unico, che attribuisce alla ragione un valore essenziale. La Chiesa cattolica ha poi avuto una parte rilevante nella diffusione dell'idea che la schiavitù fosse un abominio agli occhi di Dio e nella soppressione di questa pratica disumana in Occidente. Rodney Stark si prefigge lo scopo di denunciare e smascherare gli errori e i pregiudizi degli storici, e di dimostrare come le idee su Dio abbiano plasmato la storia e la cultura moderna dell'Occidente, costituendo l'indispensabile premessa di molte delle sue più importanti conquiste. Anche fenomeni complessi e contraddittori, come la caccia alle streghe e le eresie, sono in queste pagine oggetto di un'analisi nuova, ricca di stimolanti e inattese considerazioni, in grado di cambiare radicalmente il nostro modo di giudicarli. Come ha scritto Jeffrey Burton Russell, "ciò che comunemente sappiamo su scienza, religione, stregoneria, schiavitù e sette religiose, purtroppo, è falso". Questo libro di Rodney Stark "chiarirà le cose a chiunque abbia una mente abbastanza aperta per trarre degli insegnamenti dalla sua lettura".
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Re: Apologetica

Messaggioda Citocromo » gio ago 18, 2011 6:43 pm

Articolo tratto da "Il Timone" n. 26 di Luglio/Agosto 2003

I cattolici e le streghe

di Andrea Menegotto

Il sociologo statunitense Rodney Stark confuta la "leggenda nera" della caccia alle streghe. In Spagna, l’inquisizione non le perseguitava. Anche nell’Italia cattolica il fenomeno fu limitato. Non così nei Paesi protestanti.

Molto raramente "sociologia" fa rima con "apologetica" e ciò - evidentemente - non per motivi linguistici, ma di metodo. Tuttavia, recentemente, proprio colui che è considerato il maggior sociologo delle religioni vivente, nell’ambito di un suo ampio e articolato studio sul monoteismo, pur nel rigore dell’approccio value free (cioè, privo di giudizi di valore) che caratterizza la sociologia coltivata negli ambienti accademici, ha permesso a chi si vuole occupare di apologetica di attingere a piene mani dai dati nudi e crudi elaborati in sede scientifica, sfatando alcune "leggende nere" che riguardano talune vicende della storia della Chiesa cattolica. Leggende che circolano ancora in maniera massiccia nella vulgata comune e di cui si trovano ampie tracce sia nella saggistica storica che nella letteratura divulgativa.

Rodney Stark - ordinario di Sociologia delle religioni all’Università di Washington e padre (con altri) della teoria dell’economia religiosa, che da qualche anno nell’ambiente accademico prevale rispetto alla teoria della secolarizzazione come chiave per comprendere dal punto di vista sociologico la situazione della religione in Occidente - è infatti l’autore del volume in lingua inglese (ma di cui auspichiamo la traduzione italiana, pur con qualche debita precisazione su sui ci soffermiamo di seguito) For the Glory of God. How Monotheism Led to Reformation, Science, Witch-Hunts, and the End of Slavery (Princeton University Press, Princeton 2003).

Nel nostro Paese, l’attenzione sull’opera di Stark è stata richiamata dal collega Massimo Introvigne - che con il sociologo americano è autore di un volume di prossima pubblicazione: Dio è tornato. La rivincita di Dio in Occidente, Piemme, Casale Monferrato 2003 - attraverso un’ampia e articolata recensione, disponibile per la consultazione sul sito del CESNUR, di cui Introvigne è direttore:

http://www.cesnur.org/2003/mi_stark.htm

In For the Giory of God, Rodney Stark prende in esame in particolare quattro vicende della storia del cristianesimo in Occidente ritenute in qualche modo problematiche: le eresie medioevali e la Riforma, la nascita della scienza, la caccia alle streghe e la schiavitù. Particolarmente interessanti si rivelano le pagine sulla caccia alle streghe, una questione storiografica che costituisce un capitolo significativo dell’ampia "leggenda nera" di origine illuministico-massonico-marxista relativa all’Inquisizione (meglio sarebbe dire Inquisizioni, al plurale), tema a cui il Timone ha dedicato un dossier (cfr. il Timone, anno V - n. 23, gennaio/febbraio 2003, pp. 31-42), a cui chi scrive rimanda il lettore giustamente desideroso di inquadrare la problematica che affronteremo nel più ampio contesto storico in cui si colloca.

L’autore dichiara di accostarsi alla questione esaminando prima di tutto la letteratura storica, ma dedicando pure attenzione ai testi di carattere divulgativo e notando che, fortunatamente, le opere più recenti hanno ridimensionato la stima relativa addirittura a nove milioni di vittime - che peraltro compare ancora in alcune opere di carattere meno scientifico - quale risultato di una lotta sommaria alle streghe e riducendola a una più realistica cifra di circa 60.000. Ciò, naturalmente, non toglie nulla ai drammi individuali di chi ha rappresentato un’unità delle circa 60.000 vittime, ma mostra comunque con quanta disinvoltura i fautori della "leggenda nera" hanno spacciato dati tanto stratosferici quanto irreali. Se è vero che le scienze sociali della religione insistono sulla coesistenza nel tempo dell’esperienza magica - propria della stregoneria - con quella religiosa, è altrettanto vero che, secondo la distinzione tipica introdotta dal fenomenologo delle religioni rumeno Mircea Eliade (1907-1986), la magia si distingue dalla religione in quanto l’esperienza magica più che un’esperienza del divino o del sacro (ìerofania) è un’esperienza del potere (cratofania), dove l’uomo manipola il sacro e lo mette al proprio servizio. Se dunque l’uomo religioso invoca l’intercessione di Dio, il mago e la strega pensano di manipolare forze soprannaturali o preternaturali. È in questo senso che la Chiesa cattolica già a partire dalla Didachè (il più antico manuale conosciuto per l’insegnamento cristiano) - e. ancor prima, dall’Antico Testamento - da sempre condanna l’esperienza magica, a negromanzia, i sortilegi e la stregoneria come pratiche superstiziose.

Dunque, è di fatto un luogo comune appartenente appunto alla "leggenda nera" l’idea per cui all’Inquisizione sia da collegare automaticamente la caccia alle streghe.

Infatti da sempre per il Magistero cattolico la magia è in primis configurabile come superstizione e per tale peccato, come per gli altri peccati, risultano competenti vescovi e sacerdoti confessori. L’Inquisizione se ne occupava nella sua attività ordinaria soltanto se le pratiche magiche lasciavano trapelare qualche sospetto di eresia. Abbiamo evidenza dai documenti pontifici che i Papi raccomandarono sempre agl’inquisitori d’intervenire in relazione alla stregoneria limitatamente ai casi in cui vi fossero presenti elementi tali da far supporre il sacrilegio o l’idolatria, ovvero quando alla superstizione si aggiungeva, di fatto, l’eresia.

Come riferisce Stark, fra il XIV e il XVI secolo in Spagna il tasso degl’imputati di stregoneria corrisponde allo 0,2 per milione di abitanti ed è il più basso d’Europa. Ciò, evidentemente, a dispetto di quanti, sedicenti storici, nel corso dei secoli hanno diffamato la "famigerata" e "sanguinaria" Inquisizione spagnola, che in realtà ebbe la funzione di impedire la caccia alle streghe, reprimendo duramente non le streghe ma i loro aspiranti cacciatori. Non stupisce pertanto se si nota che nelle Fiandre la caccia alle streghe cessò proprio con l’avvento dell’occupazione spagnola.

La situazione evidenziata dal sociologo relativamente alla Spagna trova conferma anche nel dato riferito all’Italia, dove nello stesso periodo si possono contare 14,4 imputati di stregoneria per milione di abitanti. Altre zone tuttavia, presentano dati meno confortevoli: in aree di lingua tedesca come la Svizzera si contano 376,9 imputati per milione di abitanti, mentre nell’area di Norimberga il tasso sale addirittura a 956,5.

L’ampia divergenza fra le stime che si riferiscono a zone geografiche contigue, nel medesimo periodo storico, non è da ricercarsi nella maggiore o minore diffusione della magia popolare, che appare ben presente sia in Italia che in Svizzera (d’altra parte è nota l’espansione dell’occultismo e del pensiero magico nel tardo Medioevo e nel Rinascimento). Piuttosto, se si vuole trovare una differenza fra l’Italia e la Svizzera (o l’area di Norimberga) si deve notare sia la debolezza dell’autorità centrale, politica e religiosa, sia la presenza di conflitti armati e di anarchia politica e, in seguito, soprattutto nelle zone di lingua tedesca, di un forte conflitto tra cattolici e protestanti.

Alla luce di questi dati il sociologo ritiene che la caccia alle streghe nasca dalla concomitanza di tre fattori: (1) la pratica diffusa della magia e la sua interpretazione demonologica da parte della teologia che, a partire dal Medioevo, ricercando il perché occasionalmente la magia "funzioni" ritiene logico ipotizzare l’intervento del Demonio; (2) una situazione di conflitto religioso - quale i ripetuti scontri fra cattolici e protestanti nel XVI secolo - che rende più difficile tollerare le espressioni di dissenso; (3) la debolezza dell’autorità centrale che non riesce a opporsi con successo alle proposte locali di perseguire le streghe.

Rodney Stark non è certo un apologeta e il suo scopo dichiarato è quello di studiare le conseguenze sociologiche del monoteismo (e non di scrivere una "contro-storia"). Tuttavia la sua lucida analisi ci consente - una volta in più - di confutare una "leggenda nera": quella della caccia alle streghe, a cui le autorità della Chiesa cattolica certamente si opposero e che altrettanto certamente non favorirono e addirittura impedirono, proprio nel momento in cui dilagava in Europa a livello popolare e locale una fobia antistregonica, legata direttamente alla diffusione dell’occultismo e poi alla psicosi del demoniaco introdotta dalla Riforma protestante, i cui eredi - sulla scia di Martin Lutero (1483-1546) e di Giovanni Calvino (1509-1564), di cui è nota una certa ossessione per il demoniaco - si resero attori di una caccia alle streghe che passa spesso sotto silenzio, ma di cui alcuni eventi storici - a partire dalla vicenda delle "streghe" di Salem (Massachusetts, 1692), che ha ispirato molta letteratura horror - danno testimonianza.

Dunque, nessuna persecuzione dei cattolici contro una religione pagana clandestina, secondo un’idea notevolmente diffusa negli ambienti del revival neo-pagano contemporaneo; nessuna prepotenza patriarcale e maschilista contro le donne, dato che molti dei condannati erano uomini; nessun desiderio di impadronirsi dei beni degli accusati, che spesso erano poveri e neppure alcun fanatismo del clero, dato che le campagne contro la stregoneria nascevano molto spesso da iniziative popolari: la verità storica dimostra che le autorità ecclesiastiche si opposero alla caccia alle streghe e il loro successo fu tanto più evidente dove il loro potere, unitamente a quello dell’autorità politica, era più forte, come dimostra l’eloquente caso della Spagna.

Le conclusioni di Stark - e ciò rappresenta il vero pregio e la forza "apologetica" intrinseca, peraltro non intenzionale, del suo volume - appaiono credibili anche per chi analizza le vicende storiche da una prospettiva diversa rispetto a quella cattolica, per il fatto stesso che l’autore rimarca di non essere mai stato cattolico e precisa di non voler in alcun modo far proprio il metodo dell’apologetica, ma unicamente quello dell’analisi sociologica. Al contrario, e a conferma di ciò, lo stesso volume talora contiene affermazioni non in linea con l’ortodossia cattolica (Stark ritiene, per esempio, valida la successione della Chiesa anglicana) che, se dal punto di vista della fede cattolica "macchiano" purtroppo il testo di qualche errore dottrinale, da un’altra prospettiva rendono l’autore disinteressato e perciò insospettabile e libero da qualunque accusa di faziosità, rendendo ancora più inoppugnabili i suoi dati.

Di fronte ai preguidizi degli storici

Nel suo lavoro di ricognizione e analisi della letteratura storica, Rodney Stark afferma di essersi aspettato dagli autori di testi e manuali di storia pregiudizi di tipo materialista e marxista; tuttavia afferma con sorpresa: "[...] quello cui non ero preparato era scoprire quanti degli storici che ho dovuto leggere per preparare questo studio esprimono un anti-cattolicesimo militante, e quanti pochi fra i loro pari abbiano obiettato a una litania di commenti dispregiativi di taglio anti-cattolico, talora espressi senza neppure rendersene conto" e prosegue: "[...] benché molti storici viventi oggi probabilmente non abbiano pregiudizi contro la religione cattolica, o almeno non più di quanti ne abbiano contro la religione in generale, spesso mantengono idee false senza rendersi conto che sono il prodotto dell’anti-cattolicesimo di passate generazioni" (For the Glory of God, pp. 12-13. Le traduzioni dall’inglese sono di Massimo Introvigne).

Ecco così spiegate in breve le origini di molte "leggende nere", che non gettano le loro radici nell’obiettività della storia, ma si fondano su letture dei fatti storici che nascono viziate all’origine da pregiudizi ideologici. Da queste considerazioni possiamo ricavare un implicito richiamo, rivolto in primis agli storici cattolici e a chi - come direbbe Nostro Signore - "ha orecchi per intendere" (cfr. Marco 4,9) a lavorare maggiormente per l’approfondimento della reale verità storica e per la difesa della Chiesa cattolica dalle false accuse e dalle menzogne che, a torto, i suoi nemici vorrebbero attribuirle. (A.M.)

Ricorda

"(...) la tesi che responsabile della caccia alle streghe sia anzitutto l’inquisizione (sia quella romana, sia quella spagnola) non regge più alla prova dei fatti e dei documenti: che al contrario dimostrano come sovente gli inquisitori siano stati un elemento di riequilibrio di fronte alle istanze persecutorie emerse dal basso e a livello locale". (Franco Cardini, Quando le streghe venivano salvate dagli inquisitori, in Avvenire, 29 agosto 1990).

Bibliografia

In lingua italiana, sui temi affrontati da Rodney Stark:

Giovanni Romeo, Inquisitori, esorcisti e streghe nell’Italia della Controriforma, Sansoni, Firenze 1990. Gustav Hennlngsen, L’avvocato delle streghe. Stregoneria basca e inquisizione spagnola, trad. it., Garzanti, Milano 1990.
Rino Cammillerl, La vera storia dell’inquisizione, Piemme, Casale Monferrato 2001.
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Re: Apologetica

Messaggioda GrisAdmi » sab ott 01, 2011 8:15 pm

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Titolo Ipotesi su Gesù
Autore Messori Vittorio
Prezzo € 16,00
Dati 2001, XIII-273 p.
Editore SEI (collana Sestante)

Descrizione
Dal 1976 sino a oggi, questo libro è stato continuamente ristampato e tradotto. Venticinque anni dopo, l'autore ha riletto questo suo lavoro d'esordio e dopo la rilettura, ha deciso di procedere solo a un modesto lavoro di editing e di aggiungere, in appendice, un testo di commento. Ai lettori vagliare se siano ancora convincenti le risposte proposte qui sul più decisivo enigma della storia: le origini del cristianesimo. Quanto a Messori è più che mai convinto della tesi centrale di "Ipotesi su Gesù". La ragione stessa, cioè, se impiegata fino al limite delle sue possibilità, può portare a "scommettere" sul mistero della verità del vangelo. L'ipotesi della fede resta un rifugio dell'intelletto che rifletta sul "caso Cristo".
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Re: Apologetica

Messaggioda Citocromo » dom feb 05, 2012 7:20 pm

Inserisco la prima parte di un articolo di V. Messori tratto dal periodico Il Timone, n. 54, anno VIII, Giugno 2006, pp. 64-66:

Le ferrovie di Pio IX

di Vittorio MESSORI

Può sembrare un argomento marginale, un aneddoto per appassionati di storia. Invece, non lo è. Penso, cioè, alle tre righe che tutti abbiamo trovato sui libri di scuola: i quali quasi sempre, come si sa, si copiano nei contenuti e altrettanto quasi sempre si allineano al pensiero egemone del momento. Ricordo bene quando al liceo trovai la frase che mi incuriosì e che mi confermò nella diffidenza e nella lontananza dalla Chiesa: "L'oscurantismo del cattolicesimo della Restaurazione post-napoleonica si spinse sino a vietare la costruzione, nello Stato Pontificio, di ferrovie, considerate un'invenzione diabolica». E questo bastò a me, e chissà a quanti altri, per considerare il cattolicesimo come uno stolto oltre che pericoloso avversario del "Progresso". Insomma, non è un tema minore, vale la pena di occuparsene.
Poiché, tra l'altro, mi piacciono i treni (ne ho parlato, qualche volta), il loro bando "teologico" dal regno pontificio mi intrigava in modo particolare. Rinviavo sempre, però, l'attuazione del proposito di capire come stessero davvero le cose. Fino a quando, di recente, un'editrice specializzata ha pubblicato il grosso volume di un appassionato dal titolo per me irresistibile: Le ferrovie di Pio IX.

Vediamo, allora, come andò davvero. Cominciando con una cifra precisa: 260. Questo era il numero di chilometri di strade ferrate in tutta Italia nel 1846, quando Pio IX ascese al pontificato. Un'inezia, dunque: come il percorso tra Torino e Brescia, non dimenticando che erano tra l'altro linee a binario unico. Si trattava, comunque, di brevi tronchi non collegati tra loro e spesso costruiti come una sorta di giocattolo del Principe. Così le due prime linee, la Napoli-Portici che permetteva alla corte dei Borboni di raggiungere comodamente e rapidamente il palazzo reale; o come la Milano-Monza, voluta dai vicerè austriaci per raggiungere la reggia brianzola dove vivevano, pur avendo "l'ufficio" in città. In quel 1846, oltre al Lombardo Veneto e alle Due Sicilie, solo il Granducato di Toscana aveva anch'esso un pezzetto di ferrovia. Non ne aveva alcuno - guarda un po'! - quel Regno di Sardegna che ci presenteranno poi come l'avanguardia del progresso in Italia: solo alla fine del 1848 si inaugurò un tronco di pochissimi chilometri, quello tra Torino e Moncalieri (sede, anch'essa, di una reggia dei Savoia) che è un comune confinante con la Capitale e per raggiungere il quale bastavano pochi minuti di diligenza. Soltanto sei anni dopo, nel 1854, Torino sarà collegata a Genova.

Date e cifre precise rivelano dunque che il ritardo dello Stato Pontificio non era così abissale come vogliono farei credere. In ogni caso, il desiderio di Pio IX non solo di recuperare ma di porsi addirittura all'avanguardia tra gli Stati italiani è mostrato dal fatto che soltanto un mese dopo il Conclave nominava una "Commissione per le Strade Ferrate dello Stato di Sua Santità". Che facesse sul serio e non per celia lo dimostra il fatto che la "Commissione" tre mesi dopo pubblicava una Notificazione che è ben nota agli appassionati di cose ferroviarie. Si trattava di un bando di gara per assegnare alle Compagnie private in grado di farlo i lavori per ben mille chilometri di strade ferrate. Quattro volte, dunque, l'estensione a quel momento dell'intera rete della Penisola! Partendo da Roma, quattro linee avrebbero collegato la città alle altre zone d'Italia e all'Europa. Il fervore "ferroviario" nell'Urbe era tale, grazie al dinamismo dell'ancor giovane Papa, che Roma ebbe, dal 1847, un settimanale apposito, La Locomotiva, redatto da tecnici e ingegneri e da sempre ricercatissimo dai collezionisti.

Se gli eventi, poi, non furono pari alle aspettative e occorse aspettare il luglio del 1856 per la prima linea, la Roma-Frascati, non lo si deve di certo alle autorità pontificie. Innanzi tutto, al bando del governo per la concessione delle opere non poté rispondere il capitale locale, troppo debole, concentrato ancora sulla rendita fondiaria e non abituato a correre i rischi di un'impresa industriale. I soli, veri capitalisti, i principi romani, non erano certo inclini a questo tipo di investimento. Ci si rivolse dunque all'estero, ma le Compagnie che si fecero avanti non risposero ai requisiti tecnici richiesti. Anche perchè era difficile pensare a un adeguato ritorno economico costruendo ferrovie in zone dove l'industria era assente, l'economia povera, il traffico scarso. Inoltre non si trattava di stendere binari in pianure come quelle francesi o tedesche o magari padane ma di farsi largo, a suon di gallerie e viadotti spericolati, tra montagne friabili e tormentate come gli Appennini e di tenere per anni migliaia di operai tra le febbri delle Paludi Pontine. Non dimentichiamo, poi, che gli abitanti sotto l'autorità pontificia erano poco più di tre milioni e un terzo di questi era costituito da contadini poveri. C'era poi il problema delle frontiere e delle linee doganali che spezzettavano l'Italia, così che il tempo che si sarebbe guadagnato grazie al vapore lo si sarebbe perso nel controllo dei passaporti e nelle pratiche doganali. Mentre Pio IX e i suoi collaboratori cercavano di risolvere gli enormi problemi, scoppiò la guerra tra Piemonte ed Austria, con l'invio, in un primo tempo, anche di contingenti pontifici. Poi venne la rivoluzione, venne la repubblica mazziniana, venne la fuga del Papa a Gaeta, ospite del re di Napoli.

Al ritorno, nel 1850, il Pontefice trovò non solo una parte dei suoi territori devastata ma anche la bancarotta economica. Le rivoluzioni, come si sa, costano, visto che i rivoluzionari non si occupano di cose mediocri e prosaiche come i bilanci in ordine. La demagogia impone di concedere tutto a tutti, lasciando i debiti a chi verrà dopo. Così avvenne puntualmente anche con il triumvirato di Mazzini, Saffi, Armellini. I "progressisti" che hanno sempre tuonato contro il "malgoverno pontificio" si guardano bene dal ricordare che, in pochi mesi, la cosiddetta Repubblica Romana raddoppiò il debito pubblico, portò l'inflazione al 50 per cento e fece sparire l'oro e l'argento, imponendo il corso forzoso della carta moneta che nessuno voleva. Insomma, la stessa storia degli "assegnati" della Rivoluzione Francese. Da allora, un terzo del bilancio pontificio se ne andò ogni anno per pagare gli interessi sui debiti fatti in tutta Europa ma soprattutto con la banca degli ebrei Rotschild che, oltre a buoni rimborsi, cercavano anche di avere influenza sulle scelte del buon Pio IX. Eppure, nel 1859, quando il Piemonte iniziò un'altra guerra che lo portò all'occupazione illegale della parte settentrionale, la più ricca, dei Domini pontifici, nel 1859, dunque, il cardinal Giacomo Antonelli poteva annunciare che era stato raggiunto il pareggio di bilancio. Un risultato brillante per il quale, puntualmente, non si trova alcuna citazione nei libri di storia. Un risultato, per giunta, cui si giunse nonostante fosse finalmente in svolgimento, da qualche anno e grazie ai sussidi statali, il piano per i mille chilometri di strade ferrate.

Insomma, quando il regno d'Italia si avvicinò alla Roma papale per mettere fine al più antico tra gli Stati italiani, non solo non trovò il deserto ma linee già funzionanti e cantieri in attività. Così le truppe che entreranno poi da Porta Pia erano state trasportate sui binari e sui vagoni dell'irriso, oscurantista Papa-Re.

Quanto a Gregorio XVI, il predecessore di Pio IX, al secolo Bartolomeo Alberto Cappellari e papa tra il 1831 e il 1846, sono ovviamente inventate le storie di scomuniche contro le ferrovie e chi le usava. Quel pontefice aveva una vocazione contemplativa, aveva scelto volontariamente di farsi camaldolese, dunque benedettino di clausura. Aveva 30 anni quando i giacobini del giovane Bonaparte giunsero a Roma e combinarono quanto sappiamo. Dovette assistere impotente alla parabola violenta del potere napoleonico. Il giorno dopo la sua elezione, nel febbraio del 1831, scoppiava a Bologna un’insurrezione che avrebbe poi coinvolto vaste parti dello Stato, tanto che occorse l’intervento dell’Austria per riportare l’ordine. Tutto, insomma, lo portava a diffidare del "mondo nuovo", del quale le ferrovie erano addirittura un simbolo. Tra l'altro, non era certo il solo a temere la pericolosità, anche fisica, di quel mezzo rivoluzionario: pure buona parte della stampa laica metteva in guardia contro i rischi che si correvano ad affidarsi al vapore. Non si dimentichi che la prima corsa pubblica della storia, nell'Inghilterra del 1830, fu funestata da un incidente mortale. Non viene da ambienti romani né cattolici bensì dallo sgomento istintivo del popolo francese il detto divenuto famoso: chemin de fer, chemin d'enfer.

Non era dunque sorprendente che alcuni confessori ammonissero i penitenti, ricordando loro che la tutela non solo dell'altrui ma anche della propria vita è un grave dovere per i cristiani. Ma se Gregorio XVI decise di non costruire ferrovie, fu soprattutto perchè così gli suggerivano i suoi consiglieri che gli dimostravano, a suon di cifre e grafici, che l'economia romana non era in grado di gestire trasporti tanto costosi, che esigevano un rientro impensabile. Come dovette sperimentare poi Pio IX, che si scontrò con il rifiuto degli uomini d'affari di investire i loro capitali.

Si temeva, inoltre, l'invasione di merci straniere con le quali il mercato locale non era in grado di affrontare la concorrenza. Problemi concreti, di politica economica, insomma, non questioni teologiche né chiusure aprioristiche a un progresso al quale, lo abbiamo visto, aderì subito e con entusiasmo papa Mastai Ferretti. Il quale non trovò neppure un chilometro di ferrovia: ma alla pari, lo osservavamo, del re piemontese e di tanti altri sovrani dell'Europa del tempo. Eppure, per essi, nessuno ha parlato, come per lui, di "oscurantismo medievale".
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Re: Apologetica

Messaggioda Armando » lun feb 06, 2012 6:28 pm

Trianello ha scritto:Immagine

Titolo A gloria di Dio. Come il cristianesimo ha prodotto le eresie, la scienza, la caccia alle streghe e la fine della schiavitù
Autore Stark Rodney
Prezzo € 28,00
Dati 2011, 555 p., brossura
Traduttore Mengo D.
Editore Lindau (collana I leoni)

Descrizione
Molti oggi imputano alla religione certi tragici passaggi della storia, e in ogni caso le negano qualunque ruolo positivo nelle vicende dell'umanità. Per esempio, affermano che il cristianesimo ha ostacolato il progresso scientifico e offerto giustificazioni alla schiavitù. In realtà, al contrario, la scienza moderna è un prodotto della concezione cristiana del Dio unico, che attribuisce alla ragione un valore essenziale. La Chiesa cattolica ha poi avuto una parte rilevante nella diffusione dell'idea che la schiavitù fosse un abominio agli occhi di Dio e nella soppressione di questa pratica disumana in Occidente. Rodney Stark si prefigge lo scopo di denunciare e smascherare gli errori e i pregiudizi degli storici, e di dimostrare come le idee su Dio abbiano plasmato la storia e la cultura moderna dell'Occidente, costituendo l'indispensabile premessa di molte delle sue più importanti conquiste. Anche fenomeni complessi e contraddittori, come la caccia alle streghe e le eresie, sono in queste pagine oggetto di un'analisi nuova, ricca di stimolanti e inattese considerazioni, in grado di cambiare radicalmente il nostro modo di giudicarli. Come ha scritto Jeffrey Burton Russell, "ciò che comunemente sappiamo su scienza, religione, stregoneria, schiavitù e sette religiose, purtroppo, è falso". Questo libro di Rodney Stark "chiarirà le cose a chiunque abbia una mente abbastanza aperta per trarre degli insegnamenti dalla sua lettura".


R. Stark è un autore certamente interessante anche perchè mi sembra che iniziò i suoi studi con la crescita dei mormoni negli Stati Uniti, tuttavia specialmente in questo libro mi sembra che risenti di un retroterra protestante.
Non ho letto questo libro, solo qualche estratto in inglese da googlebooks, ma si confermano queste osservazioni fatte da un forum (collegato ad un sito con molto materale di formazione di qualità) che adesso è offline e che ho reperito non nella sua interezza (c'era anche il seguito della discussione con un allargamento della discussioni ad altri parti del libro), purtroppo.
Tento una sintesi del perché mi son sentito "tradito".


1. Stark è un docente universitario (Baylor Univ., Texas) ma, scorrendo il testo, ci si imbatte nella solita zuppa di luoghi comuni che nulla hanno di scientifico. Intendiamoci, sapevo che Stark non era cattolico, ma da un accademico raccomandato da cattolici italiani mi aspettavo qualcosa di meglio. Vi propongo alcune delle bestialità esposte.


2. L’A. sostiene che la simonia e il nepotismo sian state una caratteristica costante del papato dal 401 d.C. al 1044, facendo "solo pochi" (9) esempi e sostenendo che "molti altri papi erano figli, nipoti, fratelli di vescovi e cardinali" (p. 50).


3. Sul periodo di Costantino: "All’inizio, gli attacchi cristiani alle ‘false’ religioni venivano semplicemente giustificati dallo stato; erano gli attivisti cristiani a fare il lavoro sporco. In particolare, la rapida crescita del monachesimo fornì al personale delle chiese locali dei gruppi militanti e ferventi nella fede da mandare contro i propri oppositori" (p. 51).


4. Caratteristica costante della Chiesa sarebbe l’ignorare "le molte variazioni della dottrina … come mezzo per evitare la nascita di sette … (perciò) si svilupparono subito due ‘Chiese’ abbastanza distinte… la Chiesa del potere e la Chiesa della pietà" (p. 58).


5. "… descrivere il clima morale della Chiesa del potere, alla volta del IX secolo, con l’aggettivo ‘degenerato’ sarebbe una gentilezza. I papi erano nominati, corrotti e spesso uccisi dalle grandi famiglie ecclesiastiche romane" (p. 60).


6. "Tutti gli storici sanno che le crociate innescarono un’ondata di massacri antisemiti … Il motivo è che, essendo sorta una minaccia rilevante al punto da far sì che l’Europa cristiana muovesse guerra all’islam, venne negata la tolleranza anche alle non conformità poco pericolose" (p 68).


7. La ragione del proliferare delle eresie medievali: "la Chiesa non riuscì a riformarsi e insistette sul suo monopolio religioso" (p. 83).


8. "Non va dimenticato che nonostante tutte queste mancanze nella Chiesa del potere, la Chiesa della pietà esisteva ancora. C’erano migliaia di sacerdoti, monaci e suore devoti. Proprio loro avrebbero svolto un ruolo importante nella formazione e nella guida dei movimenti protestanti" (p. 96).


9. Sulla preparazione della rivolta luterana: "I manuali per l’uso nelle confessioni insegnavano ai sacerdoti a essere estremamente inquisitori, a cercare anche i peccati più piccoli e i dettagli più scabrosi" (p. 99). Peccato che non esistesse la stampa…


10. "… la pratica delle vendita delle indulgenze in nome dei defunti aveva offeso Lutero già molti anni prima che scrivesse la sua famosa protesta. Ciò che spinse Lutero ad agire fu una massiccia campagna di vendita". (p. 111).
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Re: Apologetica

Messaggioda GrisAdmi » mar feb 07, 2012 8:26 am

Ho letto diversi libri di Stark, tra i quali tutti quelli che ho citato in questa discussione. I volumi di Stark non hanno un approccio apologetico, ma prettamente scientifico. Ed è proprio qui che sta il loro valore apologetico. Che poi Stark dica delle cose che possono ferire le orecchie di chi è abituato all'apologetica ingenua di fine '800 non è un problema. Certo, alcune delle tesi che egli avanza sono in parte contestabili da un punto di vista storico, ma Stark non è uno storico, bensì un sociologo. Lui si appoggia ai lavori degli storici per fare sociologia. Una delle idee centrali del volume in oggetto è quella delle religioni come istuzioni. Egli nota, ad esempio, che la Riforma protestante si affermò nei paesi di più recente evangelizzazione, lì dove il Cristianesimo era stato imposto dall'alto, invece che attraverso un lavoro di proselitismo capillare (come invece era avvenuto nelle zone un tempo appartenenti all'Impero Romano), lì dove, appunto, il Cristianesimo era stato da sempre vissuto come una religione istuzionalizzata ed in cui il suddetto aveva avuto una scarsa penetrazione nella coscienza del popolo.
Che molti dei papi dei cosiddetti secoli bui non fossero degli stinchi di santi è un dato noto che è semplicemente ridicolo voler contestare in nome dell'apologetica cattolica, la quale, se vuole fondarsi sulla "santità" delle gerarchie cattoliche, è destinata miseramente a fallire.
Che la reazione di Lutero sia stata in parte dovuta alla massiccia campagna intrapresa da Johann Tetzel per la vendita delle indulgenze è altra cosa nota ed accettata universalmente da tutti gli storici di qualsiasi orientamento confessionale. Quello che, generalmente, si tace è che in realtà lo stesso Lutero aveva le idee confuse sul concetto di "indulgenza" (cosa che si evince leggendo proprio le sue 95 tesi) e che lo stesso Tetzel rispose alle tesi di Lutero con diversi scritti (ma chi li legge oggi?).
Anche le ondate di intolleranza antisemita durante le crociate sono un dato storico indubitabile, ma lo stesso Stark, nel volume intitolato Unico vero Dio, nota come queste avvennero proprio in zone scarsamente evangelizzate ed in cui la Chiesa aveva uno scarso controllo del territorio. Per ciò che riguarda le crociate, poi, Stark ha scritto un volume, Le armate di Dio, in cui demolisce gran parte dei luoghi comuni sulle suddette.
Non è turandosi le orecchie di fronte alle verità storiche più scomode o tacciandole di falsità che si può veramente rendere ragione della speranza che è i noi. Come ha scritto Gandhi: "la verità non danneggià mai una giusta causa". Noi siamo servitori della Verità e dobbiamo servirla anche quando questa è più aspra, nella certezza di essere nella Verità.
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