La CEDU: Il Crocifisso nelle scuole - Civiltà Cattolica 3840

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La CEDU: Il Crocifisso nelle scuole - Civiltà Cattolica 3840

Messaggioda Leonardo » sab giu 19, 2010 6:37 pm

Editoriale
IL CROCIFISSO NELLE SCUOLE

Il 30 giugno si riunisce la Grande Chambre della Corte Europea dei Diritti Umani (Cedu), espressione del Consiglio d’Europa, una sorta di Corte di appello della Cedu, per discutere il ricorso presentato, fra gli altri, dal Governo italiano contro la sentenza del 3 novembre 2009. Essa ha affermato che la presenza del Crocifisso nelle aule scolastiche contrasta con la necessaria neutralità che uno Stato dovrebbe avere nell’esercizio delle proprie funzioni pubbliche. Ma tale sentenza costituisce uno strappo nei confronti della giurisprudenza della Corte, che in tal caso non ha tenuto nel dovuto conto il principio di sussidiarietà. Inoltre non ha tenuto presente, come invece aveva sempre fatto in precedenza, il principio della rilevanza dell’appartenenza della stragrande maggioranza della popolazione italiana alla religione cattolica.

Quaderno n.3840 del 19/6/2010

Civiltà Cattolica (pag.529-532)
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Messaggioda Leonardo » sab giu 26, 2010 11:07 am

IL CASO

L'Europa vuole una Collina senza croci?

Richiedere la rimozione dei simboli religiosi dagli spazi pubblici non dimostra la neutralità dello Stato né assicura il vero pluralismo. Una richiesta come questa semplicemente mostra che, sotto le mentite spoglie della neutralità e della laicità, la priorità viene data ad una visione atea e ad un’ideologia laicista». Parola di chi si è visto strappare dalla propria terra simboli di fede difesi con la testimonianza, a costo della vita. A scrivere le parole sopra riportato è stato il presidente dei vescovi cattolici di Lituania, monsignor Sigitas Tamkevicius in un recente articolo rilanciato questa settimana dal sito internet Mercatornet

L’arcivescovo ha denunciato come a Strasburgo la croce sia «sul banco degli imputati». Il riferimento è naturalmente alla sentenza d’appello della Grand Chambre della Corte dei diritti dell’uomo, attesa per il 30 giugno, riguardante la precedente decisione dello stesso organo giuridico che imponeva all’Italia di togliere i crocifissi dalle scuole per non violare il diritto di chi non crede. Parlare di croce e Lituania fa andare subito alla mente a un’eloquente immagine di fede popolare e di resistenza all’ateismo di Stato imposto dal comunismo: la celebre Collina delle Croci, visitata nel 1993 da Giovanni Paolo II, che vi lasciò un suo personale crocifisso di ricordo. Nel suo intervento, il presule lituano fa un chiaro riferimento all’epoca sovietica e ai ripetuti tentativi di far sparire le croci della gente e di abbattere la Collina, divenuta nel tempo un luogo di pellegrinaggio: «Coloro che hanno occupato la nostra nazione capirono molto bene tutto questo dal momento che cercarono di sopprimere la nostra libertà, di spezzare il nostro spirito e indebolire la nostra coscienza nazionale. Non è passato molto tempo da quando la nostra nazione ha sofferto, lungo le epoche, allorché i simboli nazionali, statali o religiosi vennero pubblicamente spazzati via, mentre chiunque ne faceva uso veniva perseguitato».

Ma che l’esposizione della croce non sia una questione solo religiosa bensì qualcosa che ha a che fare con la libertà della cultura europea lo hanno ricordato anche i vescovi russi, i quali – come riportato ieri dall’Osservatore romano – hanno affermato: «Nel periodo caratterizzato dal regime comunista, i simboli religiosi furono proibiti e, dopo la caduta del comunismo, la ritrovata possibilità di esporli in pubblico è stata considerata una vittoria della democrazia e della libertà sopra il totalitarismo e l’oppressione».

La Collina delle croci – kryžiu kalnas in lingua locale – è uno dei luoghi di maggior dimostrazione pubblica di fede di tutt’Europa. Ancor oggi sono circa 56 mila le croci, di diversa foggia, colore, materiale, che campeggiano sulla collinetta nei pressi della cittadina di Siauliai, nella zona settentrionale della Repubblica baltica. Una pratica, quella di piantare il simbolo cristiano, che risale al 1831 quando, dopo la conquista russa e la conseguente repressione russa dell’insurrezione polacco-lituana, le croci diventarono manifestazione pubblica di protesta contro la violenza degli zar. Ma è durante l’epoca sovietica – la Lituania venne annessa dall’Urss nel 1940, a seguito del patto Molotov-Ribbentrop – che la Collina balzò agli onori della cronaca e divenne simbolo del cristianesimo sofferente d’Oltre cortina. Gli occupanti sovietici per quattro volte spianarono con i bulldozer la piccola collinetta (una decina di metri), schiacciando le croci e seppellendole sotto la terra. Ma dopo ogni rituale distruttivo – la prima fu nel 1961, qunidi nel 1973 e ancora nel ’75 – i cattolici lituani tornavano con i loro simboli religiosi e li ripiantavano sulla collina. Tanto che, come ebbe a dire il cardinale Vincentas Sladkevicius, la Collina ha assurto il ruolo di «cuore della Lituania aperto all’Altissimo».
Ma ora questo cuore, se passasse il divieto di esporre simboli religiosi in pubblico, che fine farebbe? Potrebbe esserci qualcuno che, urtato da tanta manifestazione di fede, ne chiederebbe la rimozione per non aver davanti agli occhi nessun emblema cristiano. Nel suo intervento monsignor Sigitas Tamkevicius, arcivescovo della città di Kaunas, parte da questa provocazione per poi difendere il diritto di esporre la croce in pubblico: «Una nazione non può essere libera se non è capace, in maniera privata e pubblica, di nutrire le sue tradizioni e la sua cultura, e di utilizzare i simboli che esprimono questa cultura e queste tradizioni».
Lorenzo Fazzini - Avvenire 26/6/2010
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Messaggioda Leonardo » dom giu 27, 2010 8:31 pm

Crocifisso scomodo da il Foglio (Hyde Park Corner) 25/6/2010

A mio parere non si è tenuto conto dell'effettiva superiorità della Fede cristiana rispetto alle altre molteplici religioni che vanno sì rispettate ma i cui frutti non sono nemmeno paragonabili ai frutti prodotti dall'albero cristiano, o meglio, cattolico. Tutti i diritti dell'uomo che oggi vengono reclamati hanno la loro sostanza e origine da Gesù Cristo prima e dal cristianesimo poi. Tutto! Occorrerebbe una riflessione seria ed approfondita. Laura Cadonici
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Messaggioda Leonardo » gio lug 01, 2010 7:54 pm

1 Luglio 2010

STRASBURGO
«Nella croce le radici della libertà religiosa»

Un giurista ebreo con la kippah, dieci Stati tra cui alcuni di religione prevalentemente ortodossa, un team di legali statunitensi di cui molti protestanti, tutti intervenuti a difesa della esposizione del crocifisso nelle scuole italiane. Qualunque sia la decisione che la Corte europea dei diritti dell’uomo vorrà prendere sulla questione, dopo la sua lunga riflessione, (forse sei mesi o persino un anno, si è anticipato), il dibattimento di ieri alla Grande Chambre è destinato comunque a segnare non il passato, ma il futuro dell’Europa.

«Non è un caso – dice Nicola Lettieri intervenendo a nome dell’Italia – se la "contestazione politica" delle tesi della ricorrente (Soile Lautsi, ndr) e alla sentenza di novembre (quella contro l’esposizione del crocifisso nelle scuole italiane, ndr) della Corte vengono in gran parte da Paesi che hanno duramente sofferto dell’ateismo di Stato». Lo "scandalo", dunque, è che si voglia evocare surrettiziamente la "libertà religiosa" per negare la "libertà religiosa". Un gioco di prestigio che non può riuscire contro Paesi che portano ancora le ferite della persecuzione contro il culto. Ci si deve ricordare, insiste Lettieri, che i principi richiamati nel dibattimento sono stati introdotti nella Convenzione europea dei diritti dell’uomo proprio a difesa di quelle nazioni.

Ma il gioco di prestigio ha un trucco : una concezione della dimensione "negativa" della libertà religiosa (libertà di non credere a nessuna religione) estesa fin al punto di negare la dimensione "positiva", dunque una battaglia "ideologica", "politica", quella iscenata con il ricorso contro l’esposizione del crocifisso che non ha nulla a che fare con i tanti casi affrontati ogni settimana di violazione dei diritti umani più elementari, un compito che è la ragione e l’onore di Strasburgo.
Nella memoria presentata alla fine di aprile, il governo, a riprova del fatto che si tratta di una battaglia ideologica, portata avanti da una atea militante, cita il fatto che la ricorrente è partner della Uaar (Unione degli atei e degli agnostici razionalisti).

Nicolò Paoletti, che apre l’udienza, difende la Lautsi assicurando che non si tratta di questo, che non si è mai pronunciata su questi temi, neppure con lui, che la sua è una semplice battaglia di "laicità". Il riferimento è ovviamente alla sentenza 203 dell’89 della Consulta nella quale viene definita principio "fondamentale" e "supremo" del nostro ordinamento. Al fatto che "il giudice delle leggi" ha deciso nel 2001 di rimuovere il crocifisso della sua aula. Paoletti tenta, poi, di rintuzzare la tesi della Federazione russa, secondo cui la sentenza del 3 novembre ha ristretto ad una angusta formula «il margine di apprezzamento» degli Stati sulle questioni di libertà religiosa. Ma non è facile replicare, visto che anche altri nove Paesi, più l’Italia dicono lo stesso.

Concezione ideologica quella della "laicità" della Lautsi – insiste Lettieri – perché la stessa Consulta, nella citata sentenza, specifica che non è indifferenza dello Stato alle religioni. Una concezione così ideologica da ritenere che senza la rimozione dei simboli religiosi non ci sarebbe neppure democrazia. Invece è vero il contrario. Cosa fare altrimenti con i numerosi Stati membri del Consiglio d’Europa che prendono espressamente posizione a favore di una religione, che la esprimono nei loro simboli?

Quanto al comportamento dei giudici italiani, l’agente a nome del nostro governo osserva che hanno seguito le norme europee, appurando tra l’altro che il consiglio di Istituto della scuola frequentata dai figli della Lautsi, dopo aver cercato di risolvere la questione con la discussione, ha respinto la richiesta di togliere il crocifisso con un voto democratico.
Pier Luigi Fornari
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Messaggioda Leonardo » sab lug 03, 2010 1:39 pm

INTERVENTO DI JOSEPH WEILER DAVANTI ALLA “GRANDE
CHAMBRE” DELLA CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO


STRASBURGO 30 GIUGNO 2010

1 Mi chiamo Joseph H.H. Weiler, professore di diritto presso la New York University e
professore onorario presso la London University. Ho l’onore di rappresentare i governi
dell’Armenia, della Bulgaria, di Cipro, della Grecia, della Lituania, di Malta, della
Federazione Russa e di San Marino. Tutte le Terze Parti sono dell’avviso che la seconda
Camera1 ha sbagliato nel suo ragionamento, nella sua interpretazione della Convenzione2
e nelle sue susseguenti conclusioni.
2. Il Presidente della Grande Camera mi ha spiegato che le Terze parti non possono
entrare nei dettagli di un caso, ma si debbono limitare a trattare i principi generali
sottostanti il caso, ed una sua possibile soluzione. Il tempo a disposizione è di 15 minuti, di
conseguenza toccherò solamente solo gli argomenti più essenziali.
3. La Camera3, nella sua decisione, formula tre principi chiave: gli Stati che intervengono
sono pienamente d’accordo con due di essi, ma dissentono decisamente dal terzo.
4. Concordano pienamente con il principio che la Convenzione garantisce agli individui sia
la libertà di religione, sia la libertà dalla religione (la libertà religiosa positiva e negativa),
ed essi concordano pienamente sulla necessità che un’aula scolastica educhi alla
tolleranza e al pluralismo.
5. La Camera formula anche un principio di “neutralità”: «Il dovere dello Stato di neutralità
e imparzialità è incompatibile con ogni genere di potere da parte sua di valutare la
legittimità delle convinzioni religiose o i modi d’espressione di quelle convinzioni»4.
6. Da una tale premessa la conclusione è inevitabile: l’esposizione di un crocifisso sul
muro di una classe è stata ovviamente ritenuta espressione di una valutazione della
1 La Camera di sette giudici della seconda sezione della Corte europea dei diritti umani con sede a Strasburgo, ndr.
2 La Convenzione europea dei diritti umani firmata a Roma il 4 novembre 1950 e modificata successivamente con vari
protocolli.
3 Cfr. nota 1, ndr.
4 Paragrafo 47 della sentenza del 3 novembre
legittimità di un convincimento religioso - il Cristianesimo - e quindi una violazione della
Convenzione.
7. Questa formulazione della “neutralità” è basata su due errori concettuali che sono fatali
per le conclusioni.
8. Primo, nel sistema previsto dalla Convenzione tutti i membri devono, in effetti, garantire
agli individui la libertà di religione, ma anche la libertà dalla religione. Tale obbligo
rappresenta un assetto costituzionale comune dell’Europa. E’, tuttavia, contro-bilanciato
da grande libertà quando si tratta della religione o dell'eredità religiosa nell'identità
collettiva della nazione e nella simbologia dello Stato.
9. Così, ci sono Stati membri in cui la laïcité è parte della definizione di Stato, come la
Francia, e nei quali, di conseguenza, non ci può essere un simbolo religioso approvato e
patrocinato dallo Stato in uno spazio pubblico. La religione è un affare privato.
10. Ma nessuno Stato è obbligato nel sistema della Convenzione a sposare la laïcité.
Così, dall’altra parte della Manica, c’è l’Inghilterra (ed uso questo termine a giusto avviso)
nella quale vi è una Chiesa di Stato, il cui Capo dello Stato è anche Capo della Chiesa,
nella quale i leader religiosi sono anche membri d’ufficio del Legislativo, nella bandiera c’è
la Croce e l’Inno nazionale è una preghiera a Dio di salvare il Monarca, e di concedere lui
o a lei la vittoria e la gloria. [Anche se qualche volta Dio non ascolta, come è capitato in
una certa partita di calcio, pochi giorni fa...]
11. Nella sua stessa definizione di Stato con una sua Chiesa ufficiale, l’Inghilterra
sembrerebbe, nella sua ontologia, violare le strettoie poste dalla Camera, perché come si
farebbe a non dire che con tutti quei simboli non vi sia un certo tipo di valutazione circa la
legittimità di un credo religioso?
12. In Europa c’è una straordinaria varietà di relazioni tra Stato e Chiesa. Più della metà
della popolazione dell’Europa vive in Stati che non potrebbero essere denominati Stati
laïque. Inevitabilmente nell’educazione statale, lo Stato e i suoi simboli hanno un loro
posto. Molti di questi, comunque, hanno un’origine religiosa o esprimono un’identità
religiosa attuale. In Europa, la Croce è l’esempio più visibile, apparendo su innumerevoli
bandiere, crinali, edifici, ecc. Sarebbe sbagliato sostenere, come alcuni hanno fatto, che la
croce sia solo o meramente un simbolo nazionale. Ma è egualmente sbagliato
argomentare, come alcuni hanno fatto, che ha solo un significato religioso. È tutti e due le
cose, data la storia, parte integrante della identità nazionale di molti Stati europei. [Ci sono
studiosi che sostengono che anche le 12 Stelle del Consiglio d’Europa hanno questa
stessa dualità!]
13. Consideriamo una fotografia della Regina d’Inghilterra appesa in classe. Come la
Croce, quella immagine ha un significato duplice. È l’immagine del Capo di Stato. Ed è
anche l’immagine del Capo titolare della Chiesa d’Inghilterra. È quasi come il Papa, che è
Capo di Stato e Capo di una chiesa. Sarebbe accettabile che qualcuno richiedesse che la
foto della Regina non debba stare appesa nelle scuole per il fatto che non è compatibile
con le sue convinzioni religiose e il suo diritto di educazione, perché cattolico, ebreo o
mussulmano? O con la sua convinzione filosofica, perché non credente? Potrebbero la
Costituzione irlandese, o quella tedesca non stare appese in una classe o non venire lette
in classe, dal momento che nei loro preamboli troviamo un riferimento, nella prima, alla
Santa Trinità e a Gesù Cristo Divino Signore, e, nella seconda, a Dio? Certamente il diritto
di libertà dalla religione deve garantire che un alunno che obietta, possa non essere
coinvolto in un atto religioso, possa non partecipare a un rituale religioso, o non debba
avere una qualche affiliazione religiosa come condizione per dei diritti statali. Lui, o lei,
dovrebbero certamente avere il diritto di non cantare God save the Queen5, se questo
contrasta con la loro visione del mondo. Ma può, questo studente, chiedere che non lo
canti nessuno?
14. Questa situazione europea rappresenta una enorme lezione di pluralismo e tolleranza.
Tutti i bambini in Europa, atei o credenti, cristiani, mussulmani ed ebrei, imparano come
parte della loro eredità europea che l’Europa garantisce da una parte il loro diritto di
praticare una religione liberamente - entro i limiti del rispetto dei diritti degli altri e
dell’ordine pubblico - e dall’altra il loro diritto di non credere affatto. Allo stesso tempo,
5 “Dio salvi la Regina”, l’inno inglese. ndr
come parte di questo pluralismo e di questa tolleranza, l’Europa accetta e rispetta una
Francia e una Inghilterra, una Svezia e una Danimarca, una Grecia e una Italia, ognuna
delle quali ha modi molto differenti di riconoscere simboli religiosi avallati pubblicamente
da parte dello Stato e ciò negli spazi pubblici.
15. In molti di questi stati non-laïque, ampi settori della popolazione, forse persino la
maggioranza, non sono più credenti. Ma il groviglio continuo di simboli religiosi nello
spazio pubblico, e da parte dello Stato, è accettato dalla popolazione secolarizzata ancora
come parte della identità nazionale, e come atto di tolleranza verso i propri connazionali.
Potrebbe anche essere che, un giorno, la popolazione britannica, esercitando la propria
sovranità costituzionale, voglia liberarsi della Chiesa d’Inghilterra, come fecero gli svedesi.
Ma questo è compito loro, non di questa egregia Corte, e la Convenzione non è mai stata
di certo interpretata come per forzarli a farlo. L’Italia è libera di scegliere di essere laïque. Il
popolo italiano può democraticamente e costituzionalmente scegliere di avere uno Stato
laïque (e non è una questione per questa Corte se il crocefisso sui muri sia compatibile o
meno con la Costituzione italiana, bensì per la Corte italiana). Ma la ricorrente, la signora
Lautsi, non vuole che questa Corte riconosca il diritto dell’Italia di essere laïque, ma
imporglielo come dovere. Questo non trova un fondamento nel diritto.
16. Nell’Europa di oggi i Paesi hanno aperto le loro porte a molti nuovi residenti e cittadini.
Noi dobbiamo offrire loro tutto ciò che è garantito dalla Convenzione. Dobbiamo dare a
loro un giusto trattamento, l’accoglienza e non discriminarli. Ma il messaggio di tolleranza
verso l’Altro non dev’essere tradotto in un messaggio di intolleranza verso la propria
identità, e l’imperativo giuridico della Convenzione non deve estendere il giusto obbligo
che lo Stato garantisca una libertà religiosa positiva e negativa, sino ad una affermazione
ingiustificata e senza precedenti che lo Stato si spogli di una parte della sua identità
culturale solo perché le espressioni di tale identità possano essere religiose o d’origine
religiosa.
17. La posizione adottata dalla Camera non è un’espressione del pluralismo proprio del
sistema della Convenzione, ma è una espressione dei valori dello stato laïque. Estenderla
all’intero sistema della Convenzione vorrebbe dire, con grande rispetto,
l’americanizzazione dell’Europa. Americanizzazione in due aspetti: primo, una singola ed
unica regola per tutti; secondo, una rigida separazione, in stile americano, tra Chiesa e
Stato, come se non si possa aver fiducia che i popoli di quegli Stati membri la cui identità
è non-laïque vivano i principi della tolleranza e del pluralismo. Questo, ancora una volta,
non è Europa.
18. L’Europa della Convenzione rappresenta un equilibrio unico tra libertà individuale di e
dalla religione, e libertà collettiva di definire lo Stato e la Nazione usando simboli religiosi,
o persino avendo una Chiesa ufficiale. Noi ci fidiamo delle nostre istituzioni democratiche
costituzionali per definire i nostri spazi pubblici e i nostri sistemi educativi collettivi. Noi
riponiamo fiducia nelle nostre corti, inclusa questa augusta Corte, per difendere le libertà
individuali. È un equilibrio che ha servito bene l’Europa nei passati 60 anni.
19. È anche un equilibrio che può agire come una guida per il resto del mondo, dato che
dimostra ai Paesi che credono che la democrazia implichi la perdita della propria identità
religiosa, che non è così. La decisione della Camera ha rovesciato quest’equilibrio unico e
rischia di appiattire il nostro panorama costituzionale rubandoci questa qualità superiore di
diversità costituzionale. Questa egregia Corte dovrebbe recuperare questo equilibrio.
20. Passo ora al secondo errore concettuale della Camera - la confusione pragmatica e
concettuale - tra laicismo, laïcité e neutralità.
21. Oggi, nei nostri Stati, la principale divisione sociale che riguarda la religione non è tra,
diciamo, cattolici e protestanti, ma tra il credente e il “laicista”.
La laïcité, non è una categoria vuota che significa assenza di fede. In tanti la considerano
un ampio punto di vista che sostiene, inter alia, la convinzione politica che la religione
trova un solo posto legittimo nella sfera privata, e che non può esserci alcun legame tra
autorità pubblica e religione. Per esempio, solo scuole pubbliche laiche saranno finanziate
dallo Stato. Le scuole religiose devono essere private e non godere di aiuto pubblico. È
una posizione politica, rispettabile, ma certamente non “neutrale”.
I non-laïque, benché rispettino in toto la libertà di e dalla religione, abbracciano anche
alcune forme di religione pubblica, di cui ho già parlato. La laïcité vuole uno spazio
pubblico denudato, un muro in classe privo di ogni simbolo religioso. È giuridicamente
disonesto adottare una posizione politica che divide la nostra società, e pretendere che in
qualche modo sia neutrale.
22. Alcuni Paesi, come i Paesi bassi e il Regno Unito comprendono il dilemma. Nel campo
dell’educazione, questi Stati capiscono che il loro essere neutrali non consiste nel
sostenere il laicismo in opposizione al religioso. Così, lo Stato finanzia scuole pubbliche
laiche, e nella stessa misura, scuole pubbliche religiose.
23. Se la tavolozza sociale di una società fosse solo composta di gruppi blu, gialli e rossi,
allora il nero - l’assenza di colore - sarebbe un colore neutro. Una volta, però, che le forze
sociali di una società si sono appropriate del nero come proprio colore, allora questa
scelta non è più neutrale. Il laicismo non favorisce un muro privo di tutti i simboli di uno
Stato; sono solo i simboli religiosi che hanno l’anatema.
24. Quali sono le conseguenze di tutto ciò sull’educazione?
25. Consideriamo la seguente parabola di Marco e Leonardo, due amici che stanno
cominciando la scuola. Leonardo va a trovare Marco a casa sua. Entra, e nota un
crocefisso: «Che cos’è?», gli chiede. «Un crocefisso - perché, non ne avete uno? Ogni
casa dovrebbe averne uno». Leonardo ritorna a casa agitato. La sua mamma, con
pazienza, gli spiega: «Loro sono cattolici praticanti. Noi no. Noi seguiamo le nostre
convinzioni». Ora immaginiamo una visita di Marco a Leonardo. «Caspita!», esclama
«nessun crocefisso? Un muro vuoto?» «Noi non crediamo in queste assurdità», gli dice il
suo amico. Marco ritorna a casa agitato. «Sì, noi abbiamo le nostre convinzioni». Il giorno
dopo entrambi i bambini vanno a scuola. Immaginiamo la scuola con un crocefisso.
Leonardo ritorna a casa agitato: «La scuola è come la casa di Marco. Sei sicura, mamma,
che vada bene non avere un crocefisso?». Questo è il nocciolo della domanda di Lautsi.
Ma immaginiamoci, anche, che in questo primo giorno di scuola i muri siano vuoti. Marco
tornerebbe a casa agitato. «La scuola è come la casa di Leonardo», griderebbe «Vedi, te
l’avevo detto che non ne abbiamo bisogno».
26. Ancora più allarmante sarebbe una situazione in cui i crocefissi, che stavano sempre
là sul muro, di colpo venissero rimossi.
27. Non fate quest’errore. Un muro denudato per mandato statale, come in Francia, può
suggerire agli alunni che lo Stato sta prendendo un atteggiamento anti religioso. Noi
abbiamo fiducia nei programmi scolastici della Repubblica francese, che insegnino ai loro
bambini la tolleranza e il pluralismo, ed allontanino una tale nozione. C’è sempre
un’interazione tra quello che c’è sul muro, e come esso è discusso e insegnato in classe.
Ugualmente, un crocefisso sul muro potrebbe essere percepito come coercitivo. Ancora,
dipende dal programma svolto in classe contestualizzare e insegnare al bambino nella
classe Italiana la tolleranza e il pluralismo. Potrebbero anche esserci altre soluzioni, come
mostrare simboli di più religioni, o trovare altri modi educativi appropriati per veicolare il
messaggio del pluralismo.
28. È chiaro che date le diversità dell’Europa su questo punto non ci può essere una
soluzione che sia calzante per ogni Paese membro, per ogni classe e per ogni situazione.
C’è bisogno di tenere conto della realtà politica e sociale dei diversi luoghi, della sua
demografia, della sua storia e delle sue sensibilità e delle suscettibilità dei genitori. Però,
la Francia con il crocefisso sul muro non è più Francia. L'Italia, senza, non è più l'Italia.
Così l'Inghilterra senza God Save the Queen.
29. Ci possono essere delle circostanze particolari in cui la soluzione adottata dallo Stato
potrebbe essere considerata coercitiva e ostile, ma l’onere della prova deve restare
comunque all’individuo, e il livello richiesto per la prova deve essere estremamente alto,
prima che questa Corte decida di intervenire in nome della Convenzione nelle scelte
educative fatte da uno Stato. Una regola per tutti, come ha deciso la seconda Camera,
priva di un contesto storico, politico, demografico e culturale non è solamente
sconsigliabile, ma mina il pluralismo, la diversità e la tolleranza più autentici che la
Convenzione intende salvaguardare, e che sono il marchio dell’Europa.
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Re: La CEDU: Il Crocifisso nelle scuole - Civiltà Cattolica 3840

Messaggioda Leonardo » lun lug 26, 2010 8:41 pm

Perché nelle celebrazioni del Papa il Crocifisso è al centro dell'altare?

CITTA' DEL VATICANO, venerdì, 23 luglio 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo una nota dell'Ufficio delle Celebrazione Liturgiche del Sommo Pontefice in cui si spiega il perché nelle celebrazioni di Benedetto XVI il Crocifisso viene posto al centro dell'altare.

* * *

Il Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica, al n. 218, pone la domanda: «Che cos’è la liturgia?»; e risponde:

«La liturgia è la celebrazione del Mistero di Cristo e in particolare del suo Mistero pasquale. In essa, mediante l’esercizio dell’ufficio sacerdotale di Gesù Cristo, con segni si manifesta e si realizza la santificazione degli uomini e viene esercitato dal Corpo mistico di Cristo, cioè dal Capo e dalle membra, il culto pubblico dovuto a Dio».
Da questa definizione, si comprende che al centro dell’azione liturgica della Chiesa c’è Cristo, Sommo ed Eterno Sacerdote, ed il suo Mistero pasquale di Passione, Morte e Risurrezione. La celebrazione liturgica deve essere trasparenza celebrativa di questa verità teologica. Da molti secoli, il segno scelto dalla Chiesa per l’orientamento del cuore e del corpo durante la liturgia è la raffigurazione di Gesù crocifisso.

La centralità del crocifisso nella celebrazione del culto divino risaltava maggiormente in passato, quando vigeva la consuetudine che sia il sacerdote che i fedeli si rivolgessero durante la celebrazione eucaristica verso il crocifisso, posto al centro, al di sopra dell’altare, che di norma era addossato alla parete. Per l’attuale consuetudine di celebrare «verso il popolo», spesso il crocifisso viene oggi collocato al lato dell’altare, perdendo così la posizione centrale.


L’allora teologo e cardinale Joseph Ratzinger aveva più volte sottolineato che, anche durante la celebrazione «verso il popolo», il crocifisso dovrebbe mantenere la sua posizione centrale, essendo peraltro impossibile pensare che la raffigurazione del Signore crocifisso – che esprime il suo sacrificio e quindi il significato più importante dell’Eucaristia – possa in qualche maniera essere di disturbo. Divenuto Papa, Benedetto XVI, nella prefazione al primo volume delle sueGesammelte Schriften, si è detto felice del fatto che si stia facendo sempre più strada la proposta che egli aveva avanzato nel suo celebre saggio Introduzione allo spirito della liturgia. Tale proposta consisteva nel suggerimento di «non procedere a nuove trasformazioni, ma porre semplicemente la croce al centro dell’altare, verso la quale possano guardare insieme sacerdote e fedeli, per lasciarsi guidare in tal modo verso il Signore, che tutti insieme preghiamo».

Il crocifisso al centro dell’altare richiama tanti splendidi significati della sacra liturgia, che si possono riassumere riportando il n. 618 del Catechismo della Chiesa Cattolica, un brano che si conclude con una bella citazione di santa Rosa da Lima:

«La croce è l’unico sacrificio di Cristo, che è il solo “mediatore tra Dio e gli uomini” (1 Tm 2,5). Ma, poiché nella sua Persona divina incarnata, “si è unito in certo modo ad ogni uomo” (Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 22) egli offre “a tutti la possibilità di venire in contatto, nel modo che Dio conosce, con il mistero pasquale” (ibid.). Egli chiama i suoi discepoli a prendere la loro croce e a seguirlo (cf. Mt 16,24), poiché patì per noi, lasciandoci un esempio, perché ne seguiamo le orme (cf. 1 Pt 2,21). Infatti egli vuole associare al suo sacrificio redentore quelli stessi che ne sono i primi beneficiari (cf. Mc 10,39; Gv 21,18-19; Col 1,24). Ciò si compie in maniera eminente per sua Madre, associata più intimamente di qualsiasi altro al mistero della sua sofferenza redentrice (cf. Lc 2,35). “Al di fuori della croce non vi è altra scala per salire al cielo” (santa Rosa da Lima; cf. P. Hansen, Vita mirabilis, Louvain 1668)».
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Messaggioda Leonardo » lun lug 26, 2010 8:44 pm

SIMBOLI DELLA FEDE

Frattini: l'Europa non può vietare di esporre il crocifisso

«Non possono esserci regole su come, quando e se esporre il crocifisso. Questo diritto nessun Tribunale ce l'ho potrà togliere. È un diritto che nessuno può togliere perchè noi rispettiamo il diritto di chi non crede e rivendichiamo il diritto dei credenti di farlo con i loro simbolo». Lo afferma il ministro degli Esteri Franco Frattini in un passaggio del suo intervento alla tavola rotonda "Identità italiana e libertà della Chiesa" in corso a Orvieto.
«La Corte di Strasburgo - prosegue il titolare della Farnesina - ha detto una cosa offensiva ed inaccettabile quando ha detto che il crocifisso sarebbe un simbolo di divisione che divide coloro che credono, da coloro che non lo fanno. Il crocifisso è un simbolo di riconciliazione, un simbolo nel quale gente ha cercato la pace».

Il Ministro degli Esteri ricorda poi un episodio della sua esperienza da commissario europeo: «Ero a Bruxelles e sono andato in un grande magazzino per comprare le statuette del presepe. Lì - racconta - ho letto un cartello in cui c'era scritto "Qui non si vendono simboli religiosI", quindi le statuette non erano in vendita perchè offendevano chi non crede. Questo è un messaggio distorto di una mentalità presente non solo a Strasburgo, ma che si diffonde come un tumore da estirpare e cioè che professare la mia religione sia un attacco alle altre».

Sul tema della libertà di religione, Frattini ha poi annunciato che il presidente del Consiglio, Silvia Berlusconi, ha portato la questione del diritto di professare la propria religione al Consiglio europeo in modo «da ottenere una risoluzione in cui si sottolinei che la libertà di tutte le religione non è una questione che riguarda solo noi, ma ogni paese del mondo. Il governo italiano preparerà una risoluzione sul diritto della libertà religiosa nel mondo da portare a settembre all'assemblea dell'Onu».
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Re: La CEDU: Il Crocifisso nelle scuole - Civiltà Cattolica 3840

Messaggioda Leonardo » ven lug 30, 2010 11:08 am

Il crocifisso e un «giudizio» che chiama tutti i credenti a fedeltà e amore - Avvenire 30/7/2010
Quel Segno dice di noi

Il crocifisso è in attesa di giudizio. In appello presso la Grande Chambre della Corte di Strasburgo. La croce, i due assi ai quali generazioni di cristiani hanno affidato le loro sofferenze, le attese e le speranze; quegli stessi che hanno nominato la storia di due millenni, sono adesso in attesa di giudizio da parte di una giuria chiamata a decidere non si sa con quali criteri giuridici, storici, filosofici oppure solamente politici e di opportunità. E, come sempre accade alla vigilia di un pronunciamento, c’è già chi si dispone ad accogliere positivamente il verdetto peggiore. Non solo tra gli oppositori della fede (che non mancano), ma anche tra i credenti, alcuni dei quali presumono di essere gli autentici (e soli) interpreti della democrazia.

Più volte abbiamo sentito ripetere che la rimozione dei crocifissi dai locali pubblici, altro non sarebbe se non un recesso degli ultimi lembi di un «potere temporale» che ancora sarebbe esercitato dalla Chiesa gerarchica. Molti di questi neo-secolaristi credenti, così facendo, pensano di accreditarsi come soggetti protagonisti della modernità e dei tempi nuovi, senza sapere (o trascurando di farlo) che la storia ha già vissuto passioni iconoclaste e ha già sperimentato l’odio per la croce e per qualsiasi altro segno della fede.

E si capisce: la croce, infatti, è anche giudizio; annuncio dell’ineludibilità per l’uomo del doversene fare carico per la salvezza. La croce cioè, diversamente da quanto si vorrebbe far credere, non è il simbolo di una ingiustificabile «potenza temporale» della Chiesa, ma, al contrario, lo è della sua condizione di debolezza (e di peccato) e, dunque, dell’ansia di salvezza della cristianità. Con questi suoi intrinseci valori, la croce è stata confitta nella contraddittoria vicenda umana, nella storia. Segno a un tempo di pentimento e di speranza. Via faticosa per migliorarsi e simbolo intangibile d’amore. Così la croce ha accompagnato la storia dell’uomo; così essa ne ha segnato il lungo cammino fino a oggi, accettando di essere scacciata, aggredita e schernita, ma sempre risorgendo incorrotta sull’orizzonte della coscienza dell’uomo e sua maestra.

Quando da ragazzo vedevo il crocifisso sulla parete dell’aula della scuola, sapevo che lì e, sia pure invisibile, in ogni altro luogo, esso vegliava sulla mia fatica di vivere. E così sempre mi ha accompagnato, facendomi riconoscere persona nei percorsi del dolore e anche del conforto alla sua pena. Dove c’è l’uomo sempre c’è una croce e nessuna corte, seppure avesse deliberato da sopprimerla, potrebbe poi impedire che essa rinasca liberamente nel cuore dell’uomo come criterio ultimo e decisivo di giudizio tra il bene e il male.

Io non so quali donne e uomini "togati" nel prossimo autunno, saranno chiamati a giudicare la croce e non voglio neppure saperlo. Ma spero che tutti i credenti (anche quelli "democratici") sentano il dovere di testimoniare la loro fedeltà (e il loro amore) a questo segno semplice e drammatico sul quale anche la nostra umanità ha scritto, con caratteri incancellabili, la sua storia e la sua ansia di bene.

Pio Cerocchi
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Re: La CEDU: Il Crocifisso nelle scuole - Civiltà Cattolica 3840

Messaggioda algoritmo70 » dom ago 01, 2010 2:15 pm

Trovo normale che ciò accada in una Europa che vuole essere tutto meno che Cristiana Cattolica,tutto ciò accade perchè nel segno Cristiano del Crocifisso c'è la verità di Dio nella seconda persona della ss. Trinità che è morto e risorto per l'umanità,questa è una verità scomoda perchè non si serve Dio e mammona, dice il vangelo,ma algoritmo70basta aprire gli occhi per capire.
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Re: La CEDU: Il Crocifisso nelle scuole - Civiltà Cattolica 3840

Messaggioda Leonardo » sab ott 02, 2010 8:58 am

Povero Cristo

Vi mando una mia riflessione (in romanesco) sulla vicenda del Crocifisso.
Padre Lucio Maria Zappatore, parroco di S. Maria Regina Mundi.

POVERO CRISTO

“Discenni da la croce,
e noi te crederemo”:
in quer momento estremo
gridaveno a gran voce.

“Discenni giù dar muro”
se sente gridà adesso.
Te vonno fa’ lo stesso:
levatte de sicuro.

E tu zitto, nun fiati:
‘na Vittima infinita,
stai lì a donà la vita,
puro pe’ ‘sti sfrontati.

Ma doppo sei risorto:
te trovi in celo e in tera,
in chiesa e a la galera,
dovunque m’arivorto.

E puro’sta straniera
ch’ha fatto ‘sto casino,
Te ciaritrova insino
drento a la su’ bandiera! ¹

¹ La bandiera della Finlandia, patria della signora che ha fatto il ricorso per togliere il crocifisso dalle aule scolastiche, è divisa in 4 parti da una croce...

11 novembre 2009
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Re: La CEDU: Il Crocifisso nelle scuole - Civiltà Cattolica 3840

Messaggioda Leonardo » lun nov 01, 2010 4:46 pm

Il Crocifisso, vessillo di speranza nella distruzione morale e civile

Vi è un’immagine del terribile terremoto di Haiti che colpisce per la sua carica simbolica : su uno sfondo di macerie si staglia un grande Crocifisso, miracolosamente indenne dal disastro. Il contrasto è impressionante. Le macerie sono quelle di edifici all’interno dei quali fino a ieri ferveva la vita e che ora, nel groviglio delle pietre e dei corpi, sono un’icona di morte.di Roberto de Mattei
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Vi è un’immagine del terribile terremoto di Haiti che colpisce per la sua carica simbolica : su uno sfondo di macerie si staglia un grande Crocifisso, miracolosamente indenne dal disastro. Il contrasto è impressionante. Le macerie sono quelle di edifici all’interno dei quali fino a ieri ferveva la vita e che ora, nel groviglio delle pietre e dei corpi, sono un’icona di morte. Il Crocifisso, che è in sé un’immagine di sofferenza e di morte, è un simbolo di vita, quella vita che la morte dell’Uomo-Dio immolato sul Calvario ha portato all’umanità. E questo Crocifisso che svetta sulle rovine appare come il simbolo della sua vittoria su di un mondo che ha preteso di fare a meno di Lui e che si è votato all’autodistruzione.

Le macerie di Haiti potrebbero essere quelle di qualsiasi altra città del mondo, perché la distruzione tutto uguaglia nella sua tragica spirale. Ma anche il Crocifisso non appartiene a un Paese o a un’epoca storica : è un simbolo universale di vita e di ricostruzione, così come le rovine possono essere l’immagine della distruzione e della morte di una città, ma anche di un popolo e di una civiltà. Il contrasto esprime simbolicamente la vittoria dello spirito sulla materia, dell’anima sul corpo. L’uomo è fatto anche di materia, ma accanto al corpo materiale ha un’anima spirituale, che è il principio vitale che permette al suo corpo materiale di esistere. Ma oggi l’anima è dimenticata, o apertamente negata. La vita materiale è la sola cosa che conta, e la morte del corpo appare come l’unica tragedia possibile. Il mondo moderno, che è immerso nell’edonismo e ha perso la fede, giudica come mali assoluti, solo quelli fisici. Tra tutti i mali fisici, il peggiore è la morte, perché essa è la fine di ogni speranza di sopravvivenza materiale. Ma si dimentica che esistono, accanto ai mali fisici, mali morali e tra questi il male supremo è il peccato, perché il peccato, che è la violazione deliberata della volontà di Dio, separandoci irrimediabilmente da Lui, provoca la morte dell’anima, che una volta caduta nel peccato mortale non è più in grado da sola di ritrovare la vita. Solo la grazia di Dio può risollevare l’uomo dal peccato, ma nessun uomo ha la certezza di ottenere da Dio una nuova grazia, dopo quella che egli ha deliberatamente rifiutato scegliendo il peccato. La morte, d’altronde, è entrata nel mondo con il peccato, come ci ricorda san Paolo: “Per un uomo entrò nel mondo il peccato e con il peccato la morte, così anche la morte ha raggiunto tutti gli uomini perché in lui tutti hanno peccato” (Rom. 5, 12). Tutto il disordine e tutti i mali del mondo, tutti i pianti e le lacrime che sgorgano dal cuore degli uomini, hanno la loro sorgente nel peccato originale trasmesso da Adamo all’umanità.

I mali possono essere fisici e spirituali, ma anche individuali e collettivi. Mali fisici collettivi sono le sciagure come i terremoti e le catastrofi naturali. Mali spirituali collettivi sono quelli commessi dalle nazioni che deliberatamente rifiutano la legge naturale e divina, soprattutto i peccati delle nazioni cristiane che rifiutano la grazia divina dopo averla ricevuta. Questi mali sono veri e propri terremoti spirituali. Il processo rivoluzionario che ha investito l’Occidente negli ultimi secoli può essere paragonato a un terremoto prolungato nel tempo e sempre più dilatato nello spazio che ha trasformato il peccato individuale in peccato sociale o, secondo un’espressione di Giovanni Paolo II, in “strutture di peccato” (Udienza generale del 25 agosto 1999).

Il peccato della società, nel suo complesso è più grave dei peccati dei singoli uomini che la compongono, per lo stesso motivo per cui il bene comune dei cittadini è più alto dei loro singoli beni. Esiste in questo senso un « male comune », analogo e opposto al bene comune della società. Una nazione che legalizza l’aborto, l’eutanasia, il matrimonio omosessuale, ovvero che ispira le sue leggi non al bene comune, ma alla sua negazione, realizza un « male comune » che, come ogni male, è in sé distruttivo della società stessa. E’ un male spirituale collettivo che può essere definito Rivoluzione, perché ogni rivoluzione è il sovvertimento di un ordine; ma l’ordine che in questo caso gli uomini sovvertono deliberatamente non è un semplice ordine fattuale: è un ordine morale e metafisico e in questo senso esprime in sé stesso, indipendentemente dalle intenzioni di chi lo pone in essere, un profondo odio a Dio.

Il terremoto storico che ha progressivamente espulso Dio dalla vita sociale dell’Occidente non è stato un evento naturale, come un terremoto fisico, ma una catastrofe spirituale deliberatamente voluta e organizzata dai nemici di Dio e della Chiesa che hanno promosso e guidano questa Rivoluzione. Un nemico, diceva Pio XII, che si trova dappertutto e in mezzo a tutto, e che sa essere violento o subdolo a seconda delle occasioni (Discorso Nel contemplare, agli uomini di Azione Cattolica del 12 ottobre 1952) : talvolta uccide i corpi, più spesso corrompe le anime e la corruzione delle anime è più micidiale della distruzione dei corpi. Un nemico il cui piano è quello di sradicare definitivamente la Croce dalle anime, scristianizzando la società.

Il Crocifisso però è in piedi tra le rovine e si erge davanti ai nostri occhi per indicarci l’unica risposta possibile. Essere cristiani significa essere fatti a immagine del Crocifisso e la Croce è il vessillo trionfante dell’umanità redenta, l’albero della redenzione dell’umanità che vince la morte. Essa è un simbolo di sofferenze, di umiliazione, di dolore, ma anche di lotta, di vittoria, di gloria. « Quanto a me – afferma ancora san Paolo – non sia mai che io mi glori se non nella Croce del Signor Nostro Gesù Cristo, per il quale il mondo è crocifisso per me ed io per il mondo » (Gal. 6, 14).

Scarso è il numero di coloro che amano la Croce di Gesù, dice l’Imitazione di Cristo (Libro II, cap. XI). Per molti, questa è una parola dura : « rinnega te stesso, prendi la tua croce e segui Gesù » (Mt. 16, 24 ; Lc. 9, 23). Eppure non c’è difesa dal nemico, né vittoria possibile, al di fuori della Croce. La battaglia in difesa delle radici cristiane della società, a cui ha chiamato Giovanni Paolo II e oggi invita Benedetto XVI, è una battaglia in difesa della nostra memoria storica, senza la quale non c’è identità nel presente, perché è sulla memoria che si fonda l’identità degli uomini e dei popoli. Ma le radici cristiane non appartengono solo alla memoria o alla storia: esse sono viventi perché il Crocifisso, che le riassume, non è solo un simbolo storico e culturale, è una fonte attuale e perenne di verità e di vita; non è un pezzo di legno, ma è Gesù Cristo stesso, Uomo-Dio, che si è incarnato per redimere i nostri peccati e assicurarci la vita eterna. E la vita eterna è la sola speranza di cui può vivere un uomo o una società. Se togliamo ad un uomo o ad un popolo la speranza della vita eterna, gli togliamo tutto, condannandolo all’autodistruzione. La battaglia in difesa della vita non è solo la battaglia contro l’aborto, ma è anche la battaglia per il Crocifisso. E la battaglia decisiva della nostra epoca, di cui la Croce che si leva sulle macerie di Haiti è tragico ma eloquente simbolo.
(RC n. 52 - Febb/Marzo 2010)
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Re: La CEDU: Il Crocifisso nelle scuole - Civiltà Cattolica 3840

Messaggioda Leonardo » ven mar 18, 2011 10:06 pm

18 marzo 2011
STRASBURGO
Crocifisso, Italia assolta
Santa Sede: sentenza storica


L'Italia ha vinto la sua battaglia a Strasburgo: la Grande Camera della Corte europea per i diritti dell'uomo l'ha assolta dall'accusa di violazione dei diritti umani per l'esposizione del crocefisso nelle aule scolastiche. La decisione della Corte è stata approvata con 15 voti favorevoli e due contrari. I giudici hanno accettato la tesi in base alla quale non sussistono elementi che provino l'eventuale influenza sugli alunni dell'esposizione del crocefisso nella aule scolastiche.

La Santa Sede esprime "soddisfazione" per la sentenza della Corte Europea sulla esposizione del crocifisso nelle scuole. Si tratta, afferma il direttore della sala stampa vaticana padre Federico Lombardi in una dichiarazione scritta, di una sentenza "assai impegnativa e che fa storia".

La sentenza costituisce un punto di riferimento imprescindibile sulla questione della presenza dei simboli religiosi negli spazi pubblici in tutta Europa. Con la sentenza la Corte ha scritto la parola fine sul dossier del caso "Lautsi contro Italia". Un procedimento approdato a Strasburgo il 27 luglio del 2006, quando l’avvocato Nicolò Paoletti presentò il ricorso con cui Soile Lautsi sosteneva che la presenza del crocifisso nelle aule delle scuole pubbliche italiane costituiva una violazione del diritto dei genitori a educare i figli secondo coscienza e senza interferenze da parte dello Stato, nonché una violazione della libertà di pensiero, coscienza e religione degli alunni. La prima sentenza della Corte ha dato sostanzialmente ragione alla signora Lautsi, scatenando un’ondata d’indignazione che ha preso anche la forma di decine e decine di lettere di protesta inviate a Strasburgo da semplici cittadini. «Ne abbiamo ricevute quasi duecento», ha riferito una fonte che ha chiesto di non essere citata.

Alcune contengono critiche alla sentenza, altre minacce ai giudici, altre ancora semplici farneticazioni. «Ma se nei primi mesi l’invio era, per così dire, fatto su base spontanea, da qualche mese c’è chi ha provveduto a organizzarlo», ha aggiunto la stessa fonte mostrando una lettera indirizzata al presidente della Corte in cui si denuncia «la profonda offesa arrecata dalla Corte» ai cattolici. Una sentenza contro la quale il governo italiano ha subito fatto ricorso, trovando tra l’altro il sostegno di altri dieci Paesi membri del Consiglio d’Europa (Armenia, Bulgaria, Cipro, Grecia, Lituania, Malta, Principato di Monaco, Romania, Russia e San Marino) esplicitato il 30 giugno scorso in occasione della prima e unica udienza pubblica svoltasi nell’ambito del "processo" d’appello.
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Re: La CEDU: Il Crocifisso nelle scuole - Civiltà Cattolica 3840

Messaggioda Leonardo » ven mar 18, 2011 10:13 pm

18 marzo 2011
La Corte europea assolve il crocefisso

L'Italia vince alla Corte di Strasburgo: il crocefisso nelle scuole non viola la libertà religiosa

La Corte europea dei diritti dell'uomo ha dato ragione all'Italia sull'esposizione del crocifisso nelle scuole pubbliche. La sentenza della Grand Chambre, con 15 voti a favore e due contrari, ribalta quella del 3 novembre del 2009 che aveva condannato l'Italia per violazione della libertà religiosa accogliendo il ricorso di Sole Lautsi, cittadina italiana di origine finlandese. I giudici hanno stabilito che non vi sono elementi che provino la supposta influenza sugli alunni dell'esposizione del crocifisso nelle aule.

"Il Crocifisso è un segno di civiltà anche se non lo si riconosce teologicamente, è uno dei grandi simboli dell'Occidente". Lo afferma il card. Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, commentando l'attesa della sentenza della Corte per i diritti umani del Consiglio d'Europa.


clicca:
Leggi Nessuno si senta obbligato a dimostrare che il crocefisso non offende nessuno di Giuliano Ferrara

Leggi Il significato umano e umanistico del crocifisso secondo padre Samir

Leggi Perché la Corte europea ha difficoltà a distinguere un Crocefisso da un tronista
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Re: La CEDU: Il Crocifisso nelle scuole - Civiltà Cattolica 3840

Messaggioda Leonardo » gio mar 31, 2011 1:19 pm

Lautsi contro Lautsi

Simbologia religiosa e Corte europea dei diritti dell’uomo
di Rafael Navarro Valls*


ROMA, mercoledì, 30 marzo 2011 (ZENIT.org).- Non capita di frequente che la Grande Chambre della Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU) ribalti una sentenza emessa da una delle sue Camere o sezioni. L’eccezionalità è ancor più sorprendente se la sentenza ribaltata è stata adottata (il 3 novembre 2009) all’unanimità.

La sentenza “Lautsi contro Italia” (relativa alla causa di una madre contro lo Stato italiano, per presunta violazione della Convenzione europea dei diritti dell’uomo per l’esposizione del crocifisso in una scuola) ha innescato un importante discussione sociale in Europa. Quando l’Italia ha fatto appello, si è prodotto un fatto singolare nella storia della CEDU: dieci Stati membri del Consiglio d’Europa hanno chiesto di intervenire in qualità di “terzi” davanti alla Corte, cosa che ha permesso loro di presentare osservazioni scritte e orali. Nessuno Stato ha chiesto di intervenire a difesa della sentenza oggetto dell’appello.

Oltre a quei dieci Stati membri, altri Stati si sono pronunciati contro la sentenza, come l’Austria o la Polonia che hanno emesso dichiarazioni politiche, rispettivamente, il 19 novembre e il 3 dicembre 2009.

Inoltre, sono stati ascoltati 33 membri del Parlamento europeo che hanno chiesto di intervenire, nonché diverse organizzazioni non governative: dalla Commissione internazionale di giuristi, al Centro europeo di diritto e giustizia. Il motivo di questo inusitato interesse sta nel fatto che era in gioco un elemento fondamentale dell’identità europea, uno dei suoi simboli più rappresentativi: il crocifisso.

Il messaggio che la prima sentenza sul caso “Lautsi contro Italia” sembrava trasmettere era paradossale: la religione doveva restare fuori dalla scuola a causa del suo carattere conflittuale, mentre l’ateismo o l’agnosticismo potevano essere collocati in una zona pacifica, esente da turbolenze. Si capisce subito che garantire – come faceva la prima sentenza – a persone che si dichiarano atee il diritto di veder rimossi simboli da loro odiati o che semplicemente ritengono essere falsi, significherebbe dare loro la possibilità di imporre le proprie convinzioni sulla maggioranza. E ciò, senza altra prova se non la semplice affermazione della presunta influenza dei simboli cristiani sulle menti “particolarmente vulnerabili” dei giovani.

In realtà, come afferma il mio collega, il professor Martínez-Torrón, “non risulta alcuna conversione al Cristianesimo in conseguenza della presenza del crocifisso nelle aule”. Per questo la nuova sentenza (chiamiamola “Lautsi II”), del 18 marzo 2011, afferma che, effettivamente, il crocifisso “è soprattutto (anche se non solamente) un simbolo religioso, ma non vi è nulla che dimostri che la sua esposizione sui muri di un’aula scolastica possa avere un’influenza sugli alunni”. La Corte aggiunge che “un crocifisso apposto su un muro è un simbolo essenzialmente passivo, la cui influenza sugli alunni non può essere paragonata a un discorso didattico o a una partecipazione ad attività religiose”.

Diritto all’intolleranza?

Una parte del problema da valutare era la seguente: se i genitori di un solo alunno vogliono un’istruzione “senza crocifisso” e i genitori degli altri ventinove alunni della classe la preferiscono “con crocifisso”, come va tutelato il diritto fondamentale dei genitori di poter scegliere una istruzione che sia in linea con le proprie convinzioni religiose e filosofiche? Sono d’accordo con il giudice Bonello quando, nel suo parere separato, concordante con la sentenza, sostiene che la prima sentenza ha operato una discriminazione contro la maggioranza dei genitori, tutelando le preferenze di uno solo, senza che fosse dimostrato che i figli di questo fossero stati lesi dalla semplice contemplazione occasionale di un simbolo religioso passivo: “mantenere un simbolo lì dove è sempre stato non è un atto di intolleranza dei credenti. Rimuoverlo sarebbe un atto di intolleranza degli agnostici e laicisti”.

Giorni prima che la Grande Chambre emettesse la seconda sentenza sul caso Lautsi, la Corte costituzionale austriaca – senza conoscere l’esito del caso “Lautsi II” – ha espresso la stessa valutazione: che la presenza di un crocifisso è in linea con la Costituzione quando la maggioranza degli alunni presenti è formata da cristiani. La sentenza, emessa sul caso di due genitori che hanno protestato contro una norma della Bassa Austria che permette l’affissione del crocifisso nelle aule, dichiara che questo simbolo non esprime “una preferenza per una religione di Stato o un per un particolare credo religioso”. Una felice coincidenza ex ante con la sentenza definitiva di Strasburgo.

Laicità contro laicismo

Molti anni fa ho ricevuto, da un vecchio costituzionalista, un consiglio che non dimentico mai di seguire: “per comprendere il senso globale di una sentenza importante, non dimenticare di leggere – dopo il dispositivo – i pareri concordanti emessi dai singoli giudici”. Effettivamente, per comprendere tutti gli aspetti della sentenza della Grande Chambre, bisogna tenere conto delle opinioni concordanti allegate dai giudici Rozakis, Bonello e Power. In particolare quella del secondo, a cui ho prima fatto riferimento.

In esse si mette in guardia contro posizioni giuridiche di un certo “vandalismo culturale”, che rischiano di rovinare “secoli di tradizione europea”. Questo avrebbe significato cadere in una sorta di “Alzheimer storico”, di amnesia delle radici culturali dei popoli. Con la prima sentenza, la CEDU tendeva a sostituire i fatti della storia propria di una nazione (in questo caso, le sue radici cristiane) con i propri modelli etici elaborati a migliaia di chilometri da una Corte, in un esercizio di alchimia sperimentale. Ciò avrebbe trasformato un organo giudiziario in un parlamento, esattamente ciò che la sentenza definitiva della Grande Chambre rifiuta.

In fondo, nella sentenza “Lautsi I” era presente una latente condivisione della neutralità dello Stato intesa come “asetticità” religiosa e ideologica, incompatibile con la presenza dei simboli religiosi. Ma questo è impossibile. I simboli – tra cui il crocifisso – con il loro significato multiforme e aperto a percezioni soggettive imprevedibili, sono l’espressione storica e culturale di un Paese, che inevitabilmente è carica di elementi religiosi e ideologici.

La sentenza definitiva (“Lautsi II”) rigetta soprattutto l’idea che possa essere attribuito a un tribunale il diritto di cambiare la percezione sociale maggioritaria di un popolo, su quale sia la funzione della religione nella vita pubblica (“Lautsi I”). Questo non compete ai tribunali, ma ai parlamenti. Nel rettificare la posizione iniziale di una sua sezione (per questo mi sono permesso di intitolare queste brevi riflessioni con il titolo “Lautsi contro Lautsi”), il plenum della CEDU non ha solo reso omaggio alla prudenza giuridica e alla verità storica, ma ha anche restituito fiducia a milioni di europei gelosi delle proprie radici, comprese quelle religiose.

---------

*Rafael Navarro-Valls è docente della Facoltà di diritto dell’Università Complutense di Madrid e segretario generale della Real Academia de Jurisprudencia y Legislación spagnola.
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