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Un ricordo di don Diana

MessaggioInviato: dom mar 15, 2009 1:28 pm
da Gabriella Prosperi
Il 19 marzo è l'anniversario della morte di don Giuseppe Diana, più conosciuto nel rione napoletano di Scampia, come don Peppino.
Don Diana fu ucciso dalla camorra, nella sua chiesa, poichè la sua lotta per strappare a quegli artigli i giovani durava da diversi anni e dal 1991 si era accentuata.
L'occasione per dare impulso alla sua lotta fu l'uccisione di un ragazzo innocente, capitato per caso sotto il fuoco dei killer.
Forse pochi sanno che quel ragazzo era Testimone di Geova.
Per don Diana era figlio, così come quelli per cui si batteva e per i quali è morto.

Gabriella Prosperi

Re: Un ricordo di don Diana

MessaggioInviato: mar mar 17, 2009 4:28 pm
da Leonardo
GRAZIE Gabriella,
per questo sintetico ma energico ricordo di don Diana. E' stata una figura che ha lasciato una traccia e come il sangue generoso versato da altri martiri anche il suo darà frutti.
Leonardo

Re: Un ricordo di don Diana

MessaggioInviato: gio mar 19, 2009 9:34 pm
da Leonardo
Un augurio e omaggio in rima per Don Giuseppe DIANA

Preghiera a San Giuseppe Frittellaro
di Checco Durante
San Giuseppe frittellaro
tanto bbono e ttanto caro,
tu cche ssei così ppotente
da ajutà la pora ggente,
tutti pieni de speranza
te spedimo quest'istanza:
fa sparì dda su la tera
chi ddesidera la guera.

Fa vvenì l'era bbeata
che la ggente affratellata
da la pace e dar lavoro
non ze scannino tra lloro.

Fa ch'er popolo italiano
ciabbia er pane quotidiano
fatto solo de farina
senza ceci né saggina.
Fa cche ccalino le tasse
e la luce, er tranve e'r gasse;
che ar ttelefono er gettone
nu' lo mettano un mijone,
che a ppotè legge er ggiornale
nun ce serva 'n capitale.

Fa che tutto a Campidojo
vada liscio come ll'ojo:
che a li ricchi troppo ingordi
je se levino li sordi
pe' ccurà quer gran mmalato
che sarebbe l'impiegato,
che così l'avrebbe vinta
p'allargasse'n po' la cinta.
Mo quer povero infelice
fa la cura dell'alice
e la panza è ttanto fina
che se 'ncolla co' la schina.

O mmio caro San Giuseppe
famme fa 'n ber par de peppe (scarpe)
ma fa ppure che er pecione (carzolaro)
nun le facci cor cartone
che sinnò li stivaletti
dopo 'n mese che li metti
te li trovi co li spacchi
ssenza sola e ssenza tacchi.
E fa ppure che'r norcino
er zalame e er cotichino
ce lo facci onestamente
cor maiale solamente
che sinnò lì drento c'è
tutta l'arca de Noè.

Manna er ffreddo e manna er zole,
tutto quello che cce vole
pe' ffa bbene a la campagna
che ssinnò qqua nun ze magna.

Manna l'acqua che ricrea
che sinnò la Sora ACEA
ogni vorta che nun piove
se 'mpressiona e ffa le prove
pe' ppoté facce annà a lletto
cor lumino e'r mmoccoletto.

O ggran santo benedetto
fa che ognuno ciabbia un tetto,
la lumaca affortunata
cià la casa assicurata
cha la porta sempre appresso.
fa ppe' noi puro lo stesso:
facce cresce su la schina
una cammera e ccucina.

Fa che l'oste, bontà ssua,
pe' fa er vino addopri l'uva,
che ssinnò, quanno lo bbevi,
manni ggiù l'acqua de Trevi.
Così er vino fatto bbene
fa scordà tutte le pene
e tte mette l'allegria.
Grazie tante.
...Accusì ssia !!!!!

Re: Un ricordo di don Diana

MessaggioInviato: sab mar 21, 2009 12:51 pm
da Leonardo
La morte di don Peppino Diana - AVVENIRE 21/3/2009
I quattro spari come una scossa
Il popolo cominciò ad alzare la testa

«Se vuole, lei può entrare», mi disse, gentile, il poliziotto che tentava di tenere a bada la folla che si accalcava davanti alla Parrocchia di San Nicola, dove poco prima era stato barbaramente ucciso il parroco, don Giuseppe Diana. Entrai. Peppino era ancora là, riverso in una pozza di sangue, appena dietro la porta d’ingresso. Sul presbiterio, attoniti, muti c’erano l’allora vescovo di Aversa, Lorenzo Chiarinelli, e pochi preti. La notizia ancora non si era propagata. Il vescovo ci volle accanto a sé in quel momento terribile per elevare, stringendoci all’altare, la nostra preghiera al Signore della vita. Eravamo sconvolti. Per la prima volta, a memoria d’uomo, nella nostra diocesi veniva ucciso un prete e per giunta in chiesa. A nessuno era dato di sapere il motivo dell’efferato omicidio, ma che dietro ci fosse la mano della camorra era evidentissimo.

Don Peppino. Nato e cresciuto a Casal di Principe, nel suo paese svolgeva anche il ministero pastorale. Aveva solo 38 anni quando quella mattina, solennità di San Giuseppe, e sua festa onomastica, si sentì chiamare mentre si accingeva a celebrare la Messa: «Don Peppì!». Neanche il tempo di voltarsi e il vigliacco gli aveva già esploso contro 4 colpi di pistola. Casale rimase sgomenta. Nelle prime ore della mattinata e fino a sera ci fu nel paese un silenzio di tomba.

Poi, timidamente, cominciarono le prime reazioni. Apparvero i primi striscioni davanti alle chiese: «Don Peppino come don Puglisi. Come il vescovo Romero». Il papa Giovanni Paolo II all’Angelus della domenica, ricordò l’omicidio del prete aversano. Monsignor Riboldi, già vescovo di Acerra, noto per il suo coraggio nello scagliarsi contro la camorra, mi raccontò che era stato lui a dargli, nell’aula Paolo VI, la notizia, avuta poco prima da un giornalista. «Santità, hanno ucciso un prete dalle mie parti…». E il Papa: «Perché state qua, correte, andate a vedere e non abbiate paura». Il giorno del funerale erano migliaia le persone che si stringevano attorno alla bara. Si faceva a gara a chi la portasse sulle spalle. La messa fu celebrata in piazza, all’esterno del cimitero.

Il vescovo, commosso come mai lo avevamo visto, all’omelia riprese il celebre brano di Isaia: «Forgeranno le loro spade in vomeri… Un popolo non alzerà più la spada contro un altro popolo…». «Terra di Casale – gridò – mai più sangue… proteggi i tuoi figli… trasforma le tue armi in falci». «Per amore del mio popolo, non tacerò». Era il titolo della lettera che i vescovi campani avevano indirizzato ai fedeli qualche anno prima. Don Diana lo riprese, quando, a sua volta, volle scrivere agli abitanti di Casale. Non c’erano state, che io ricordi, azioni eclatanti nei mesi che precedettero l’assassinio. Ci fu, invece, ed è importante, l’azione seria, costante, precisa di un prete che, insieme ai confratelli, prende coscienza che è chiamato ad incarnare il Vangelo nella sua terra che, purtroppo, da molto tempo, è terra di camorra. Una camorra che tiene prigioniera la sua gente, con soprusi e angherie di ogni tipo. Don Giuseppe vuole che il termine casalesi ritorni ad indicare il popolo di cui è figlio, un popolo buono e laborioso. Vuole che sia ancora il sudore e non il sangue a bagnare e fertilizzare le campagne dell’agro aversano. «Per amore del mio popolo non tacerò». E non tacque. E lo uccisero. Ma «la voce di quel sangue ancora non si è spenta. Abele ancora piange. Ancora geme Abele. Chiunque versa il sangue di Abele porta il nome».

E quindici anni dopo la Campania, nel nome di don Peppino e delle tante vittime della camorra, rialza la testa. Circa ventimila persone si sono date appuntamento al suo paese per dire che di camorra e camorristi hanno le scatole piene. In testa il cardinale Sepe e il pastore della diocesi Mario Milano. Non tacque, don Peppino, e come lui non tace, oggi, la Chiesa campana ed il meglio della società civile. Ieri sera tanti fedeli si sono riuniti in preghiera in cattedrale perché siano sconfitte la camorra e ogni tipo di prepotenza che impedisce il normale svolgimento della vita. Perché ritorni la pace ed il gusto per l’impegno e la legalità. Coloro che hanno pagato con il sangue il nostro diritto alla libertà sono veramente tanti. I loro nomi li sentiremo questa mattina, scanditi, uno ad uno in piazza Plebiscito. Don Giuseppe voleva che il termine casalesi tornasse a indicare gente buona e laboriosa.

Maurizio Patricello