MOBILITAZIONE SPIRITUALE PER ELUANA- Zenit 30/11/08

Avvisi, comunicazioni personali, richieste, proteste, domande... escluso politiche e reclamistica.

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Re: MOBILITAZIONE SPIRITUALE PER ELUANA- Zenit 30/11/08

Messaggioda Leonardo » sab nov 27, 2010 10:45 pm

20 novembre 2010 -Avvenire

Il direttore risponde
Io amico di Eluana vi dico

Caro direttore, dopo una lunga riflessione ho deciso di scriverle in merito alla trasmissione "Vieni via con me" di lunedì sera, con particolare riferimento al modo in cui sono stati trattati i casi Englaro e Welby. Per me non è semplice prendere posizione sull’argomento, dato che sono uno degli amici le cui parole in ricordo di Eluana sono state lette da Fazio in trasmissione, prima dell’intervento di Beppino Englaro. Ed è ancora più difficile scriverle, perché la vicenda di Eluana riapre ogni volta in me una ferita personale, dato che io per primo, pur essendo suo amico, l’ho abbandonata al suo destino, considerandola praticamente già morta, nonostante lei fosse viva, in un letto d’ospedale.
Ciò nonostante Eluana, che mi considerava un vero amico, non mi ha lasciato andare e mi ha voluto coinvolgere di nuovo nella sua vicenda tramite la determinazione del padre, che in tutti questi anni mi ha costantemente cercato e coinvolto, in ogni passaggio della sua battaglia personale. Devo dire grazie per questo a Beppino, per il quale provo affetto e stima, pur non condividendo i principi né il tragico esito che ha voluto dare alla sua battaglia. Proprio questo è il punto: per me il "caso" Eluana è prima di tutto una immane tragedia che colpisce una giovane donna e la sua famiglia; quando se ne parla non si dovrebbe mai perdere di vista il fatto che questa è la realtà, al di là di opinioni ed ideologie.
È sulla base di questo presupposto che in tutti questi anni io, cattolico praticante, mi sono confrontato sulla vicenda con Beppino. È stato un confronto aperto, senza pregiudizi, senza che nessuno dei due facesse riferimento a qualsiasi vessillo ideologico: lui, un padre immerso in una tragedia inconcepibile che perseguiva in perfetta buona fede quello che riteneva essere il bene per la figlia; io, un amico che non voleva più scappare da una vicenda che aveva percepito come più grande di lui e che cercava di stargli vicino nell’unico modo che riteneva possibile, cioè la presenza ed il confronto delle idee.
In tutto questo periodo, discutendo con lui, ho spesso seguito il suo pensiero, approfondendo e verificando tutte le sue argomentazioni senza mai oppormi aprioristicamente; ma la domanda fondamentale che continuavo a pormi era: ma questa è vita? Alla fine io ho risposto alla domanda. Perché nel momento in cui è uscita la sentenza della Cassazione ho definitivamente smesso i panni della persona che può stare a destra o a sinistra, può essere cattolico o no e mi sono detto: ma tu lo faresti veramente? E la risposta è stata: no. Io non riuscirei mai a fare questa cosa. Perché dentro, nel profondo di me stesso, sentivo che quella vita, anche ad livello così minimo di coscienza, era comunque una vita, una cosa misteriosa che non mi sarei mai sentito di sopprimere.
Questa mia posizione non è emersa da idee astratte o da suggestioni ideologiche, ma dal confronto con chi la pensava diversamente e dal giudizio sulla realtà che mi stava di fronte; quella realtà nella quale lo stesso Beppino mi aveva voluto immergere. È per questo che alla fine mi sono determinato a scriverle.
Ero a conoscenza di come sarebbe stato trattato in trasmissione il caso di Eluana ed avevo comunque accettato di ricordarla ancora una volta con le mie parole, ma mai mi sarei aspettato un monologo come quello di Saviano su Welby.
Mi è sembrato un vero e proprio attacco alla Chiesa, ideologico quanto ingiustificato e, in ultima analisi, neanche particolarmente suggestivo o raffinato sotto il profilo retorico. In particolare l’argomento secondo cui il funerale cattolico è stato concesso a dittatori e mafiosi e negato a Welby, oltre ad offendermi come cattolico, è apparso come una semplificazione brutale ed intellettualmente disonesta. Si tratta di una posizione che nasce da un pregiudizio e certamente non tiene conto della realtà: esattamente l’opposto del modo in cui, almeno secondo me, le vicende più importanti nella nostra vita dovrebbero essere trattate.
Nicola Brenna


I lettori si saranno resi conto, leggendola, di quanto intensa e preziosa sia la sua testimonianza, caro avvocato Brenna.Io e i miei colleghi, che da tempo conosciamo e abbiamo sempre rispettato i suoi sentimenti e il suo riserbo, vogliamo solo sottolinearne la luminosa e illuminante straordinarietà. Grazie.
mt
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Re: MOBILITAZIONE SPIRITUALE PER ELUANA- Zenit 30/11/08

Messaggioda Leonardo » sab nov 27, 2010 10:52 pm

27 novembre 2010 -Avvenire
SECONDO NOI

La vanità e la vergogna

Anch’io ho scritto un "decalogo per la vita" e chiedo di poterlo leggere a "Vieni via con me"», annuncia la deputata Maria Antonietta Farina Coscioni, che sarebbe la terza o forse la quarta esponente radicale a intervenire alla trasmissione. Ma ciò che sconcerta è il prosieguo del suo comunicato: «Siamo alla fiera dell’ipocrisia e delle vanità che arriva a lottare per accaparrarsi soldi pubblici per associazioni private. Beninteso: in nome dei malati», scrive. Se il riferimento è a qualche oscuro progetto politico a lei noto, l’onorevole Coscioni farebbe bene a spiegarsi meglio e a precisare i suoi bersagli. Perché se, invece, l’oggetto del comunicato fosse la campagna per il diritto di parola che i malati, i loro familiari e le loro associazioni stanno conducendo assieme a questo giornale, allora farebbe bene a chiedere subito scusa. E arrossire di vergogna per aver parlato a sproposito di ipocrisia, vanità e ricerca di soldi.
Av
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Re: MOBILITAZIONE SPIRITUALE PER ELUANA- Zenit 30/11/08

Messaggioda Leonardo » lun nov 29, 2010 1:53 pm

17 novembre 2010 - Avvenire
La tv tribunizia/2 La propaganda eutanasica
Gli «indiscutibili» sanno disinformare

Sa parlare è Roberto Saviano, le «orazioni» sono «civili» e i monologhi «potentissimi»: lo asseriscono i comunicati di Rai 3 e tutte le agenzie di stampa devotamente rimbalzano. E chi oserebbe dissentire? Nemmeno chi non ha mai letto una sola riga di Saviano se la sentirebbe più di mettere in dubbio le sue verità assolute: perché Saviano è Saviano, un po’ come Sanremo. E così, di guru in guru, se un Saviano e un Fazio uniscono le sapienze, il risultato non può che essere indiscutibile. La tecnica è antichissima, valida ai tempi delle Catilinarie come a quelli del tivucolor: se passa l’assunto che l’oratore non solo non può mentire ma nemmeno sbagliare, ciò che dice è sempre «indiscutibilmente» vero e chiunque lo metta in dubbio sarà esposto al pubblico ludibrio. Raggiunto tale risultato, non sarà più nemmeno necessario fingere di rispettare le regole minime del dibattito e della ricerca di una verità: largo ai tribuni e ai loro monologhi, senza mai un contraddittorio. E il pubblico (del foro come del piccolo schermo) si berrà tutto come vero: «L’ha detto la tivù!».

Anche la Rai di Fabio Fazio è (o dovrebbe essere) servizio pubblico, anche la sua è pagata da tutti gli italiani (almeno quelli che versano il canone), eppure l’uso che ne fa, in compagnia dei suoi ospiti, è di un salotto privato dal quale diffondere e inculcare quelli che ritiene «valori» e «princìpi di civiltà» (è suo diritto), ma che per la gran parte degli italiani sono disvalori gravissimi (e tener conto di questo è invece suo preciso dovere).

Anche l’altra sera, com’è suo costume, la tribuna l’ha quindi concessa, senza contraddittorio alcuno, oltre che a Saviano anche a Beppino Englaro e a Mina Welby, chiamati a recitare ognuno il suo "elenco" di verità inoppugnabili. Nessuno toglie loro il diritto di avere certezze e convinzioni, più o meno fondate, ma nessuno può nemmeno imporle a noi come fossero Vangelo, eppure questo è stato fatto ancora una volta ai milioni di telespettatori seduti davanti a "Vieni via con me". Togliere la vita a Eluana è stata cosa buona e giusta? Basta che lo dicano Fazio, e Saviano, ed Englaro che è pure suo padre (come potrebbe sbagliare?), non occorre ascoltare con onestà intellettuale le voci opposte. Nessuno spazio alla sacralità della vita e al rifiuto di una pratica spaventosa come l’eutanasia, sebbene questa agiti ancora nella nostra coscienza memorie recenti e colpe incancellabili, e nel nostro Paese sia un reato punito alla stregua di un omicidio.

Si gioca con le parole, si evita accuratamente di pronunciare il termine "eutanasia" (salvo invocarla in altre sedi e occasioni), la si sostituisce con «principio di diritto sancito dalla Cassazione in seguito alla vicenda Englaro». Non si dice, però, che dal giorno in cui la Cassazione stessa spianò la strada all’eutanasia di Eluana, e quindi di chiunque volesse seguire le orme di quel padre, nessuno lo ha fatto. Né si racconta la verità su Eluana, perché farlo lascerebbe attoniti gli italiani, ancora convinti che fosse malata, che fosse terminale, che vivesse attaccata a macchine, che soffrisse, e magari pure che la sua volontà fosse morire.

E come mai ne sono convinti? Lo raccontarono all’epoca i Saviano e i Fazio... Di una Eluana condannata a «farsi tenere in vita per decenni dalle macchine» scrisse Saviano nel febbraio 2009, alimentando l’errore (speriamo in buona fede, forse non conosceva la materia); di lei parlò come di un «viso deformato, smunto, gonfio, le orecchie callose» e addirittura «senza capelli» (di nuovo lo giustifichiamo: a differenza nostra, la descriveva senza averla vista). E Fazio? Prima e dopo la morte della giovane invitò Englaro nel suo salotto privato di Rai 3, senza confronto, senza dibattito. Eluana fu spenta il 9 febbraio 2009, il 21 febbraio Fazio in diretta abbracciava Englaro: «Grazie a nome di tutti gli italiani per ciò che ha fatto». Di tutti gli italiani. È questo il suo stile, questo il giornalismo dei Fazio e dei Saviano. «Il giornalista non deve omettere fatti o dettagli essenziali alla completa ricostruzione dell’avvenimento. Non deve intervenire sulla realtà per creare immagini artificiose» (Carta dei doveri del giornalista, 8 luglio 1993).
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Re: MOBILITAZIONE SPIRITUALE PER ELUANA- Zenit 30/11/08

Messaggioda Leonardo » mar feb 08, 2011 10:10 am

8 febbraio 2011 -Avvenire
L’ira di Englaro contro le suore di Lecco
Crudele e ingiusta

Me l’hanno violentata per quindici anni». Lo disse subito, Beppino Englaro, non appena da Udine gli arrivò la telefonata che Eluana era morta, il 9 febbraio di due anni fa. A violentarla – intendeva – non era stato chi le aveva tolto la vita, ma le suore Misericordine di Lecco, cui lui stesso l’aveva affidata due anni dopo l’incidente, nel 1994, quando ormai il futuro di sua figlia si presentava come un’immensa incognita senza spazi e soprattutto senza tempi prevedibili. Un anno? Dieci? Venti? Quanto sarebbe durata la grande incognita? Nella sua mente – ormai lo sappiamo, ce lo ha raccontato decine di volte in conferenze e convegni, e lo ha scritto nei suoi libri – c’era già la determinazione a spegnere quella vita disabile, così diversa dalla sua bellissima figlia, ma nel frattempo chi si sarebbe preso cura di lei?

Lo ricorda lo stesso Englaro, nella lunga intervista apparsa sul "Corriere" di domenica: «Ce la lasci, ce ne occupiamo noi», gli avevano subito aperto le braccia le suore di Lecco. Ma persino questo nelle sue parole ha il tono aspro dell’accusa. Come se quel «ce la lasci» non fosse stato un gesto affettuoso di accoglienza, come se quella figlia le suore gliel’avessero presa con la forza, per assisterla – anche per tutta la vita – al posto suo.

Non racconta, Englaro, che in quella clinica di Lecco l’aveva condotta lui stesso, dopo due anni di ricovero a Sondrio, che non è dietro l’angolo, ma dove quotidianamente sua moglie si recava pur di stare con Eluana. E lì, per la seconda volta, la vita fragile della sua unica figlia veniva raccolta dalle stesse mani: perché proprio alla "Talamoni" ventun anni prima Eluana era venuta al mondo. Ora al mondo continuavano a tenercela, con amore infinito, finalmente a due passi da casa, consentendo a mamma Saturna di poter accudire la sua creatura come lei sapeva e voleva fare.

Ma così la racconta Englaro dalle pagine del "Corriere": «Le suore avevano visto consumarsi anche la mamma di Eluana accanto al suo letto. Volendola lì con loro, erano state un po’ crudeli con Eluana e con sua madre. E io invece dovevo difendere mia figlia e mia moglie». Crudele – è ora di dirlo – è la pervicacia con cui Englaro all’amore risponde col disprezzo, continuando a riversare sulle Misericordine una rabbia incomprensibile.

Descrivere come crudeli quelle mani è sconvolgente e ingiusto. Sarebbero state crudeli con la madre e con la figlia: obbligando l’una a una tenerezza di mamma che lui non capiva più, e l’altra a un attaccamento di figlia, forse la sola forza ancora in grado di tenere acceso il lumino di una coscienza ben nascosta, ma che a volte faceva capolino (i neurologi conoscono bene il fenomeno e lo chiamano appunto "effetto mamma"). Lo scrissero chiaro i medici di Sondrio osservando l’andamento della giovane paziente: se a stimolarla era la madre, Eluana sembrava «rispondere», obbediva cioè «a ordini semplici».

Una notte, appuntano, pronunciò più volte e in modo inconfondibile la parola «mamma»… È vero, finché grazie alle Misericordine ne ha avuto la forza, mamma Saturna ha potuto restare accanto a sua figlia, senza che nessuno la costringesse. È vero, le suore le hanno dato tutto, assolutamente tutto ciò che in genere manca ad altre persone in stato vegetativo a causa dei costi economici, e ad ammetterlo è ancora Englaro nella sua intervista, quando dice che «Eluana ha avuto le cure migliori», anche se poi cade nella sua contraddizione: tutto era «inutile». Come la vita di Eluana, inutile perché ormai imperfetta. «Dipendeva in tutto da mani altrui», specifica, di nuovo con orrore per quelle mani, ben diverse dalle sue, mani di un padre che per «rispettarla» avevano scelto di «non toccarla con un dito». Mai.

E invece sono ancora i neurologi a dircelo: toccateli, accarezzateli, parlate con loro, non sappiamo quanto ci ascoltano, sappiamo però che poco o tanto ci percepiscono. E allora, almeno in questo, ha detto bene Englaro, spiegando al giornalista perché a differenza di sua moglie lui con Eluana non parlava più: «Sapevo di parlare a me stesso». Sua figlia è morta, spiega, da quando non ha più potuto «percepirla». Lui.
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Re: MOBILITAZIONE SPIRITUALE PER ELUANA- Zenit 30/11/08

Messaggioda Leonardo » dom feb 27, 2011 7:00 pm

26 febbraio 2011
L'OSPITE - Una retta interpretazione del Ddl sulla fine della vita
Con le Dat non si impone nulla

Ma certe scelte non sono delegabili

Un grande maestro europeo del diritto, R. Von Ihering, ha scritto una volta un aureo libretto che ricordo di avere letto nei miei anni giovanili. Il titolo è Der Zweck im Recht (La finalità nel diritto). Lì Jhering spiega che per interpretare una norma e collocarla in modo corretto nel sistema normativo di cui essa è parte bisogna prima di tutto intendere la finalità della norma stessa, l’interesse umano che essa intende proteggere. Anche per capire la legge che stiamo facendo sulle Dichiarazioni Anticipate di trattamento dobbiamo domandarci: “quale è il telos (il fine), quale è l’interesse che la legge intende proteggere?”. È l’interesse ed il diritto della persona a vivere fino al termine naturale della propria esistenza. Questo implica il rifiuto della eutanasia ed il rifiuto dell’accanimento terapeutico. L’eutanasia pone alla vita un termine artificiale, fa morire una persona prima che la vita sia giunta al suo termine naturale.

L’accanimento terapeutico prolunga la vita oltre il suo termine naturale.

Non è possibile criticare questa legge per il fatto che essa non contiene prescrizioni eutanasiche. Qualcuno è a favore dell’eutanasia ed avrebbe voluto una legge che introducesse in Italia l’eutanasia, magari solo in alcuni casi, in modo da rompere la presunzione a favore della vita che regge oggi il nostro ordinamento e legittimare più tardi interventi legislativi più forti a favore della eutanasia. Io sono grato a chi afferma francamente di essere a favore della eutanasia perché questo permette di discutere con onestà intellettuale. Diffido un poco invece di chi inizia il suo discorso dicendo “io beninteso sono contro l’eutanasia” per poi arrivare nei fatti a chiedere la liberalizzazione di prescrizioni eutanasiche.
Vediamo adesso di fornire alcune chiarificazioni su alcuni artifici retorici che spesso ricorrono nella discussione intorno a questa legge. Alcuni dicono “io sono contro l’eutanasia ma non possiamo imporre la alimentazione forzata a chi non la vuole”. La legge non prevede nessuna alimentazione forzata. Se uno non vuole la alimentazione forzata e la rifiuta nessuno può imporgliela. Fa uso della sua libertà e ne dispone lui davanti a Dio e davanti agli uomini. Il problema insorge quando uno non è in grado di formulare un atto di volontà, per esempio perché è in coma. La persona non è in grado di badare a se stessa ed è affidata a chi ne ha cura. Immaginiamo che il paziente sia in cura intensiva e che siano esaurite le probabilità di una guarigione. Il paziente ha lasciato un documento in cui dice di non volere essere mantenuto in vita artificialmente. Il medico in questo caso ha il dovere di sospendere le cure straordinarie. A questo punto in genere il paziente muore. Servono in questo caso le direttive anticipate di trattamento? Certo che servono. Il medico avrebbe dovuto decidere comunque prima o poi di sospendere i trattamenti. Il fatto di avere la dichiarazione del paziente lo aiuta a prendere la decisione (insieme con il fiduciario indicato nelle dichiarazioni anticipate) e lo tutela anche contro possibili azioni legali dei familiari. La decisione verrà presa (probabilmente) prima e con minori difficoltà. A questo serve la dichiarazione anticipata di trattamento. Nella stragrande maggioranza dei casi le cose vanno in questo modo. Quasi tutti noi moriremo così.

A volte però il paziente anche dopo che tutte le terapie sono state interrotte si rifiuta di morire. Che dobbiamo fare in questo caso? Qualcuno pensa: provvediamo noi a farlo morire comunque, magari iniettandogli un qualche veleno nelle vene. Evidentemente questo non sarebbe un termine naturale dell’esistenza e ciò sarebbe incompatibile con la legge. Qualcuno allora, per aggirare questa difficoltà, propone di sospendere la alimentazione del paziente, per farlo morire di fame e di sete. È ammissibile questo? Evidentemente no. La morte per fame e per sete non sarebbe un termine naturale dell’esistenza. A rendere più penosa la situazione si aggiunge il fatto che non è sempre chiaro il confine fra il vero coma prolungato ed altri stati solo apparentemente simili nei quali il paziente mantiene sensibilità e capacità di soffrire, tanto è vero che chi sospende l’alimentazione e la idratazione ha cura di dare la sedazione al paziente perché è possibile, anzi probabile, che egli avverta il dolore. La legge pensa che questo non si possa fare ed il paziente debba essere alimentato fino a che sopravvenga la morte naturale.

Immaginiamo però che il paziente abbia lasciato scritto che non vuole la alimentazione artificiale. Che faremo in questo caso? La legge in preparazione dice che in questo caso non si deve tenere conto del documento. Perché? Perché è giusto obbedire alla volontà di chi dice di non volere la alimentazione artificiale e non è giusto obbedire ad un documento che chiede la stessa cosa? La ragione è semplice. Il rifiuto di terapie salvavita o di ordinarie misure di assistenza e cura che preservano la vita è un atto personalissimo assolutamente non delegabile. La persona deve esprimerlo direttamente. La ragione è che ogni atto di volontà si colloca in un contesto. Il contesto della imminente minaccia di vita è un contesto assolutamente straordinario. È elevata la probabilità che in quel contesto la persona esprimerebbe una indicazione diversa da quella che ha lasciato scritta in un documento. Ne abbiamo la riprova nel caso, ben noto, di chi tenta il suicidio. La sua volontà di morire è, in questo caso, evidente e comprovata da un gesto ben più eloquente di una dichiarazione scritta. Noi tuttavia lo assistiamo e, se questo è possibile, gli salviamo la vita. Nella maggioranza dei casi l’aspirante suicida è contento di essere stato salvato e non ripete il tentativo. Per questo è ingiusto parlare di “alimentazione forzata”. Semplicemente vale qui una presunzione a favore della vita in assenza di una indicazione contraria attuale. La semplice verità è che noi non sappiamo cosa pensi o voglia chi è in stato di incoscienza. In altre parole: se uno si suicida deve farlo lui personalmente, non può delegare l’incombenza ad altri e meno che mai al servizio sanitario nazionale.

Ma, si dice, in questo modo noi neghiamo il principio costituzionalmente garantito della autodeterminazione del paziente. E si cita, a questo proposito, l’art. 32 della Costituzione, secondo comma. Leggiamolo allora questo articolo 32, ma leggiamolo per intero e non in una versione abbreviata di comodo, come ha fatto anche di recente un autorevole commentatore del Corriere della Sera. Ecco il testo abbreviato e falsificato: “Nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario”. Ecco il testo autentico: “Nessuno può essere obbligato ad un trattamento sanitario se non per disposizione di legge”. Invece di un divieto assoluto abbiamo qui una semplice riserva di legge. La riserva è poi rafforzata da una clausola di chiusura: “la legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”. In altre parole ove venisse istituito un trattamento sanitario obbligatorio esso dovrebbe essere rivolto sempre (anche) al bene del paziente e dovrebbe trattarlo sempre come un fine in sé e non semplicemente come un mezzo. È risibile il tentativo di far derivare dal rispetto della persona umana il diritto alla eutanasia. Se alcuni vedono in tale diritto l’espressione suprema della libertà e dignità della persona altri vedono in esso la rinuncia più assoluta a tale libertà e dignità. È giusto che se ne discuta nel Parlamento e nel paese ma è bene che nessuno pretenda di chiudere le orecchie alle ragioni dell’altro sequestrando a proprio favore la Costituzione. La Costituzione è di tutti e non decide questo problema. Sarà bene ricordare, inoltre, che la Costituzione è il risultato di un patto fra cattolici, liberali laici e comunisti. Se una interpretazione capziosa ed estensiva altera i termini di questo patto e dichiara incostituzionali valori fondamentali dei cattolici allora è la ragione di vita della Costituzione che viene meno ed ha ragione chi dice che bisogna negoziare un nuovo patto costituzionale, ma non nelle aule dei tribunali bensì nel parlamento e nel paese. I cattolici possono accettare di essere sconfitti in una battaglia politica libera e democratica ma non possono accettare di essere considerati come cittadini di seconda categoria le cui convinzioni sono a priori contro la Costituzione.

Nel caso specifico che ci riguarda è però sbagliato scomodare l’art. 32 della Costituzione. Ciò di cui stiamo parlando sono semplicemente le condizioni di validità di un atto di volontà con cui si rinuncia a misure di sostegno vitale. Si dice semplicemente che questo atto non è delegabile. Nel bilanciamento fra il principio costituzionale della difesa della vita e quello della autodeterminazione si stabilisce un equilibrio per cui prevale il principio di autodeterminazione quando la volontà viene espressa direttamente e prevale il favor vitae quando manchi questa espressione diretta.

Resta infine da considerare un’ultima obiezione: la legge contraddirebbe gli indirizzi giurisprudenziali della Corte di Cassazione. Su questo punto basta replicare che le leggi non le fanno i giudici ma il Parlamento.
(testo integrale dell'intervento in Commissione Giustizia del 22 febbraio 2011, pubblicato in forma ridotta su Avvenire del 26 febbraio 2011)

Rocco Buttiglione, vicepresidente della Camera e presidente dell'Udc
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Re: MOBILITAZIONE SPIRITUALE PER ELUANA- Zenit 30/11/08

Messaggioda Leonardo » gio feb 09, 2012 11:13 am

Seconda Giornata Nazionale degli stati vegetativi e di minima coscienza: 9 Febbraio 2012

Eluana e gli altri: tre anni dopo

* La giusta attenzione

Il fondamento dell’etica sociale risiede nell’etica della vita. Recenti, ripetuti interventi del presidente della Cei, cardinale Bagnasco, ce lo hanno ricordato, confermando come oggi sia più che mai necessario ricercare attorno al valore della persona umana il denominatore comune capace di far superare all’Italia le lacerazioni che ne hanno destabilizzato le istituzioni e indebolito la stessa tenuta economica. Si tratta di ferite gravi e profonde, che nessuno può realisticamente pensare di sanare mettendo da parte il tema della vita giustificandosi con l’argomento che si tratterebbe di un terreno "divisivo". Infatti, se l’etica della vita è – come è – il fondamento dell’etica sociale, è illusorio pensare a un’autentica promozione sociale abbandonando l’uomo nei momenti di massima fragilità.
Sono trascorsi esattamente tre anni dalla morte di Eluana Englaro a Udine. Nessun’altra vicenda ha maggiormente lacerato le coscienze degli italiani negli ultimi anni quanto quella della giovane donna lecchese. Nessun’altra ha così diviso le istituzioni, mettendo in attrito tra loro gli schieramenti politici, una parte del Parlamento contro parte della magistratura, un’altra parte di quello stesso Parlamento contro il governo, e questi contro la presidenza della Repubblica. Nessuna vicenda, pertanto, richiede più di questa una riconciliazione delle coscienze e una ricomposizione anche nelle istituzioni, per identificare insieme il denominatore antropologico in grado di accomunarci come società. Può e deve aiutarci in questo impegno la seconda Giornata nazionale degli stati vegetativi e di minima coscienza, che si celebra oggi e che è stata istituita appunto perché quanto accaduto nel 2009 non diventi oggetto di rimozione o di contesa e chi si trova nelle condizioni di Eluana sia tenuto al centro di una sensibile attenzione delle istituzioni, della scienza, della società. Occorre, insomma, lavorare perché questa Giornata sia sempre più un’occasione preziosa per una riflessione corale sul valore della vita umana in condizioni di disabilità estrema, mettendo da parte polemiche inutili e strumentali.

Dev’essere infatti chiaro che attorno ai disturbi prolungati di coscienza si decide quale dignità la società riconoscerà all’uomo fragile negli anni futuri, a che livello verrà collocata l’asticella che separa chi ha diritto al rispetto di tutti e chi invece viene tragicamente considerato "sacrificabile" sull’altare di altri interessi, persino condivisibili, come il contenimento della spesa sanitaria.
Quella di oggi è un’occasione preziosa di riflessione, anche per ringraziare gli uomini di scienza che stanno lavorando intensamente per comprendere i disturbi di coscienza. Grazie alla ricerca, la frontiera degli stati vegetativi sembra restringersi progressivamente. Ogni giorno vengono pubblicate indagini che costringono a riclassificare una parte non trascurabile dei soggetti prima etichettati come "stato vegetativo". Si continua a parlare di errori diagnostici, ma il vero limite sta nella nostra incapacità di scoprire un livello di comunicazione residua. Questa scienza, prodotta a livelli altissimi anche in Italia, ha bisogno di sapere che il Paese le presta attenzione. E' una riflessione che dobbiamo ai pazienti e alle loro famiglie, per non demotivarle nella loro capacità di amore, per aiutarle a trovare un senso alle loro fatiche e a evitare il rischio della solitudine e della disperazione.

Meno di un anno fa l’accordo Stato-Regioni sui percorsi di assistenza ai pazienti in stato vegetativo, approvato all’unanimità, ha dimostrato che la ricerca del denominatore comune è possibile. Se si saprà uscire da talune posizioni ideologiche che ancora si affacciano, persino ostili sull’opportunità di celebrare l’importante appuntamento di oggi, la Giornata nazionale del 9 febbraio potrà aiutare tutti a realizzare concretamente le strutture che ancora mancano, come le realtà semintensive per i pazienti che stazionano impropriamente in rianimazione, o le unità di accoglienza permanente per la minoranza di pazienti in cui il recupero di coscienza non avviene. Il 9 febbraio servirà anche a suscitare attorno alle famiglie un’attenzione capace di evitare l’angoscioso fai-da-te alla ricerca di soluzioni e percorsi per i congiunti. E soprattutto, l’attenzione per questi fratelli più fragili potrà aiutare tutta la società italiana ad assumere un volto più fraterno e solidale.

Oggi, dunque, ciascuno si senta chiamato a prestare attenzione, ascolto e servizio.
Gian Luigi Gigli
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Re: MOBILITAZIONE SPIRITUALE PER ELUANA- Zenit 30/11/08

Messaggioda Leonardo » dom feb 26, 2012 9:41 pm

Inserita per conto della Dott.ssa Antonella.

>>>La prima vittima dell'eutanasia legalizzata.
TRE ANNI SENZA TE
ELUANA : 9 febbraio 2012

Angelo mio
Non ti volevano in tanti.
Chissà perché.
Ti pensavano piena di tubi, incapace addirittura di respirare da sola.
Invece tu reagisti con tutta la tua potenza e forza per dire no: “IO VOGLIO VIVERE!”
Che ne sanno dei tuoi pensieri; che ne sanno se tu, quando eri in quel tunnel, dal buio, vedesti la LUCE o se incontrasti già allora i tuoi cari nonni in Paradiso.
Sì perché molti raccontano di aver visto il Paradiso nelle tue condizioni, prima del viaggio di ritorno sulla terra.
Invece l’ indifferenza e la superbia ti hanno voluto togliere per sempre la luce.
Che ne sanno se tu aprivi i tuoi occhioni neri ogni qualvolta sentivi entrare qualcuno nella tua stanza, a quelle poche persone a cui era consentito vederti.
Non certo alla tua cara zia, né al tuo ragazzo, che prima di te, aveva già il suo destino crudele segnato.
Che ne sanno loro di quel tuo ultimo viaggio che ti devastò, mentre nessuno ti sentiva tossire o reagire e che ti portò a subire il tuo ultimo calvario.
Che ne sanno loro che non ti volevano, mentre si ingrassavano, davanti a succulenti cibi e bevande, e a te neanche le briciole, che non si negano neanche ad un cagnolino.
A Te quel poco bastava e nulla più chiedevi.
A Te che tutto bastava, anche il voler vivere così : dichiarato in quell’ ATTACCO DI PANICO, quando qualcuno sosteneva che Tu preferivi morire.
Che ne sanno loro, se per Te la Vita così aveva un senso.
Tu che nulla di male facevi al mondo.
A differenza di chi invece del male al mondo fa.
Tu tanto Amore potevi e sapevi Donare, non solo a me mio caro Angelo.
Quante non verità ti circondano.
Quante omissioni. Chissà perché!
Tu che nulla a nessuno chiedevi, se non di essere Amata.
Sì Tu così apparentemente impotente, davi fastidio, non ti sentivano, no non sentivano neppure l’ Amore che sapevi solo Tu Donare.
Tu prima Vittima Innocente dichiarata, per un diritto negato: LA TUA VITA!
A Te che la NUOVA SCIENZA si è negata perché a Te non serviva, dicevano.
Che ne sanno se Tu sorridevi a qualcuno.
No dicevano, erano solo smorfie.
Che ne sanno loro delle Tue reazioni d’ansia, in seguito a forti emozioni.
Che ne sanno delle Tue “ strette “ di mano, a chi ti amava.
Non Ti volevano, DOLCE ANGELO.
Ti hanno voluto crocifiggere, Tu LEGNO SECCO, con l’ ipocrisia, l’indifferenza e la superbia di molti, e con l’inganno.
Come è cambiato il mondo, piccolo ma grande Angelo mio.
Hanno confuso il male per bene, il bene per male. Superbia e indifferenza ti hanno inchiodata su quella CROCE.
Insieme a tua madre che ancora oggi soffre in un profondo e solitario silenzio per Te.
DOLCE ANGELO MIO


Dott.ssa Antonella Vian
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Re: MOBILITAZIONE SPIRITUALE PER ELUANA- Zenit 30/11/08

Messaggioda Armando » lun feb 27, 2012 5:51 pm

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Re: MOBILITAZIONE SPIRITUALE PER ELUANA- Zenit 30/11/08

Messaggioda Leonardo » lun feb 27, 2012 7:13 pm

GRAZIE Armando, per aver immesso nel forum anche l'immagine di Eluana.
Ci sta' bene ed é la giusta firma che mancava alle parole straordinarie della dott.ssa Antonella Vian.
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Re: MOBILITAZIONE SPIRITUALE PER ELUANA- Zenit 30/11/08

Messaggioda Leonardo » lun gen 21, 2013 10:59 am

Il Quirinale, la decretazione d'urgenza, il caso Eluana -Avvenire 18 Gennaio 2012

«Nessuna ombra sui poteri del Colle»
Ma resta una ferita aperta

Caro direttore,
su Avvenire di ieri è apparso un articolo firmato da Marco Olivetti – "Quella sentenza fa storia (ma rafforza qualche dubbio)" – a commento della sentenza con la quale la Corte Costituzionale ha definito il conflitto di attribuzione tra la Presidenza della Repubblica e la Procura di Palermo, in cui l’autore sostiene fra l’altro che alcuni passaggi della sentenza potrebbero avallare interpretazioni estensive del ruolo del Capo dello Stato «chiamato talora a decidere in ultima istanza come correttore degli orientamenti del Governo e della sua maggioranza, ad esempio nell’adozione di decreti-legge».
Solo a questo proposito vorrei osservare che quanto affermato dall’articolista nulla ha a che vedere con il caso Englaro, riportato come esempio di tali possibili alterazioni nell’equilibrio dei poteri. Per una esatta ricostruzione di quella vicenda è sufficiente rifarsi alla lettera del 6 febbraio 2009 indirizzata al Presidente del Consiglio dei Ministri con la quale il Presidente Napolitano chiarì, con ampiezza di argomentazioni, le ragioni che gli impedivano di emanare un decreto-legge, non solo privo dei requisiti di straordinaria necessità ed urgenza richiesti dall’art. 77 della Costituzione, ma diretto in particolare a disattendere una decisione definitiva dell’autorità giudiziaria. Si sarebbe concretata in tal modo una evidente violazione proprio di quel principio della distinzione e del reciproco rispetto tra poteri e organi dello Stato che il Presidente della Repubblica è chiamato a far osservare come primo garante del corretto funzionamento delle istituzioni.
Del resto, numerosi erano già i precedenti analoghi – riportati nella stessa lettera – consistenti sia in formali dinieghi di emanazione di decreti-legge sia in espresse dichiarazioni di principio dei suoi predecessori, a conferma di come il Presidente Napolitano si sia sempre attenuto, anche in materia di emanazione di decreti­legge, a prassi ampiamente consolidate.

Cordialmente
Pasquale Cascella
Consigliere del Presidente della Repubblica per la Stampa e la Comunicazione




Approfitto della lettera del consigliere Cascella per precisare il senso di un passaggio del mio articolo di ieri. Nel sintetizzare l’interpretazione del ruolo del Presidente della Repubblica contenuta nella sentenza n. 1 del 2013 della Corte costituzionale, imperniata sulla nozione di «magistratura di influenza e di impulso», e nell’esprimere condivisione rispetto ad essa, ho manifestato qualche dubbio sulla compatibilità con tale lettura – che mi pare sottolinei la dimensione «persuasiva» e «comunicativa» del ruolo del Capo dello Stato, rispetto a quella che fa leva su suoi poteri di «decisione di merito» – di alcune scelte compiute in passato dall’attuale Presidente della Repubblica. In particolare, continuo a essere perplesso – anche dopo l’ennesima rilettura della lettera del Presidente della Repubblica del 6 febbraio 2009 – sulla conformità a Costituzione di un rifiuto assoluto di emanazione, da parte del Capo dello Stato, di un decreto-legge deliberato dal Governo. E ciò almeno per tre ragioni. In primo luogo – e qui sta il nesso con la sentenza n. 1 del 2013 – la potestà del Presidente di rifiutare l’emanazione di un decreto-legge ne fa un decisore di ultima istanza, mentre la Costituzione gli conferisce solo su specifiche questioni tale ruolo (si pensi allo scioglimento delle Camere o alla nomina del Presidente del Consiglio) e mai in solitudine, ma sempre con la controfirma del governo, che assume la responsabilità politica dell’atto. Ben avrebbe potuto il Presidente della Repubblica chiedere al Consiglio dei ministri una nuova deliberazione sul decreto-legge del febbraio 2009, ma, qualora l’esecutivo avesse insistito, a esso doveva essere lasciata l’ultima parola. Del resto è sotto la responsabilità del governo – e non del Capo dello Stato – che il decreto-legge viene adottato, secondo la lettera dell’art. 77 della Costituzione. In secondo luogo, i precedenti invocati dal Presidente della Repubblica nella sua lettera del 9 febbraio 2009 sono quasi tutti assai dubbi e si riferiscono proprio a casi in cui il Capo dello Stato chiese al governo di rivedere la sua decisione, riuscendo a 'persuadere' l’esecutivo. Ma quello del febbraio 2009 era il primo caso di un rifiuto assoluto di emanazione, o almeno è l’unico caso in cui il rifiuto si è manifestato in forma chiara ed esplicita, senza le ambiguità che avevano accompagnato gli altri casi. In terzo luogo, a differenza del consigliere Cascella e in linea con altre valutazioni, ritengo che il decreto-legge del febbraio 2009 fosse destinato a salvaguardare beni costituzionali di valore primario, vale a dire il diritto indisponibile alla vita (a fronte di una sentenza che ne aveva determinato la disponibilità sulla base del criterio della volontà presunta). Ma non è questo il punto: una eventuale incostituzionalità del decreto, qualora esso fosse stato emanato, avrebbe ben potuto essere dichiarata dalla Corte costituzionale, cui la questione sarebbe certamente stata sottoposta in un giudizio in via incidentale, e prima ancora dal Parlamento, in sede di conversione del decreto-legge in legge. Ma questa decisione (ribadisco, la decisione finale) non spettava – a mio avviso e ad avviso di altri che, più volte, lo hanno scritto su queste colonne – al Capo dello Stato. E ciò non solo su questioni di vita o di morte, ma anche se la controversia avesse riguardato la disciplina della produzione e commercializzazione degli oli minerali. Resta il fatto, e anche l’attuale Capo dello Stato lo ha rimarcato in diverse occasioni, che è certamente deprecabile l’abuso del decreto-legge da parte di molti dei governi succedutisi negli ultimi venti anni. E ciò è vero anche con riferimento al caso Englaro, nel quale il governo dell’epoca avrebbe ben potuto intervenire con maggiore tempismo, evitando di operare di corsa, nel contesto drammatico di quei giorni di febbraio di quattro anni fa. Ma mi pare davvero difficile negare che in quel caso l’urgenza sussistesse, come la morte di Eluana ha purtroppo dimostrato.

Cordiali saluti
Marco Olivetti
Ordinario di Diritto Costituzionale nell’Università di Foggia
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