Commento al Credo

Si suppone la conoscenza della Dottrina Cattolica in linea di massima. Qui si dà spazio al chiarimento di punti che rimanessero lacunosi per alcuni utenti.

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Commento al Credo

Messaggioda GrisAdmi » mar dic 09, 2008 8:23 pm

In questa discussione inserirò un interessante (spero) commento al Simbolo degli Apostoli ricavato da alcune dispense che ho reperito sul sito http://www.qumran2.it . Mi auguro di rendere un servizio utile a tutti coloro che approdano al nostro Forum mentre sono in ricerca della Verità.
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Re: Commento al Credo

Messaggioda GrisAdmi » mar dic 09, 2008 8:34 pm

INTRODUZIONE

Fin dai primissimi tempi i discepoli di Gesù si sono serviti di alcune brevi frasi per cercare di sintetizzare la realtà del loro maestro. In genere erano formule brevi che con il tempo la chiesa ha ampliato sia per esigenze di completezza e sia per prendere le distanze dalle deviazioni (eresie) che cominciavano a manifestarsi riguardo al mistero di Gesù Cristo.
Inoltre si è sentita la necessità di raccogliere l’essenziale della fede in sintesi articolate e complete destinate in particolare a coloro che intendevano entrare a far parte della comunità mediante il Battesimo.
Per questa ragione tali sintesi vengono chiamate Simboli della fede e costituiscono anche oggi il primo e fondamentale riferimento di ogni catechesi di iniziazione alla vita cristiana.

Fra tutti i simboli della fede, due hanno un posto speciale nella Chiesa di oggi:
Il Simbolo Apostolico, così chiamato perché ritenuto il più antico riassunto della fede degli apostoli. La sua autorità deriva dal fatto che è il simbolo accolto dalla Chiesa di Roma, dove ebbe la sua sede Pietro, il primo degli apostoli, e dove egli portò l’espressione della fede comune.
Il Simbolo detto di Nicea-Costantinopoli, il quale trae la sua autorità dal fatto di essere frutto dei primi due concili ecumenici (Nicea 325; Costantinopoli 381). Attualmente questo simbolo viene usato sia dalle chiese dell’Occidente che da quelle dell’Oriente.

La Chiesa per conferire il Battesimo a coloro che intendono farne parte propone dunque una serie di affermazioni a cui occorre prestare l’assenso (credo). Da qui la consuetudine di chiamare Credo l’insieme di queste affermazioni.

Prima di esaminare le singole affermazioni occorre chiarire il significato dell’assenso che ad esse viene chiesto. In altre parole si tratta di comprendere il significato del verbo credere.


CREDERE: UN VERBO DAI MOLTI SIGNIFICATI

Credere è uno strano verbo in italiano perché contiene sia l'idea di sicurezza e sia quella di insicurezza. Infatti "credere" viene usato nei seguenti modi

1. "Credo che..." = penso che..., ma non ne sono sicuro.
Es.: "Credo che domani faccia bello" = non ne sono ben sicuro ma non mi meraviglierei troppo qualora capitasse il contrario.


2. "Credo a... (qualcuno)" = mi fido di qualcuno e perciò accetto quanto mi dice.
Es.: "Credo al medico che mi propone una certa cura" = mi fido del medico e perciò accetto come valido per guarire qualcosa che per me non è verificabile e perciò mi rimane sempre, fino a guarigione avvenuta, un margine più o meno grande di dubbio.


In questo caso "credere" è accettare come vero qualcosa che non mi è evidente e che tuttavia accetto sulla parola di persone in cui ho fiducia, non in base a prove di tipo razionale, ma in base ad "indizi" o "garanzie". Prima mi fido della persona e poi accetto per vero quello che la persona dice.
Però, dato che non c'è l'evidenza soggettiva di ciò in cui credo, rimane sempre un margine di dubbio sul "valore" delle persone che mi propongono l'inevidente.

3. "Credo a ... (qualcosa)" = sono assolutamente sicuro della verità di un'affermazione.
Es.: "Quello è uno che crede a ciò che fa" = è assolutamente sicuro di ciò che fa e si butta con convinzione, entusiasmo e rischio in ciò che fa.


In questo caso però, se voglio essere chiaro, devo precisare da dove nasce questa mia sicurezza. Una certa affermazione è vera perché

a) la constato vera, oppure ho esperienza della realtà espressa da quell'affermazione;
b) l'ho dimostrata razionalmente;
c) mi fido di qualcuno che me la garantisce, perché lo ritengo degno di fiducia.
In quest'ultimo caso ricado nel 2° significato del verbo "credere".

Proviamo ad applicare quanto detto alla prima affermazione che troviamo nel Credo: Credo in Dio.
Che senso può avere la frase: "Credo in Dio?"
In quale dei significati del verbo "credere" analizzati precedentemente si usa la frase?

1. Non sono ben sicuro dell'esistenza di Dio.
Normalmente chi dice "Credo in Dio" non usa "credo" in questo senso. Qualora lo usasse così, occorre notare che questo atteggiamento non può reggere una vita. Ci sarà una continua oscillazione fra il sì e il no a seconda dei fatti che succedono, belli o brutti.

2. Accetto l'esistenza di Dio, perché mi fido.
Questa affermazione può essere però intesa in due sensi:
a) Mi fido di Dio e perciò mi lascio guidare da Lui.
Ma chi dice così come fa a fidarsi di una persona che non conosce? Dio l'ha visto? Come fa ad essere sicuro che c'è? (v. sotto, punto 3.)
b) Mi fido di qualcuno che mi dice che Dio c'è.
In questo caso accetto l'esistenza di Dio sulla parola di qualcuno che me l'ha detto e mi porta "garanzie" (non "prove") che io ritengo sufficienti perché mi fidi di lui.
Questo "intermediario" fra me e Dio non può portare "prove". Se infatti mi portasse prove di tipo razionale che io ritengo valide, io non crederei a lui, ma esclusivamente al mio cervello.
In questo caso occorre però precisare chi è questo "intermediario" e quali garanzie offre per essere creduto quando afferma che Dio c'è.
Per ciò che riguarda Dio, Mosè, o Gesù, o Maometto, o vari altri lungo i secoli si sono presentati come "testimoni" di Dio. Il problema è: "A chi credere?"
E tutto sta nel valutare le "garanzie" che ognuno di essi porta per essere creduto.
Secondo i cristiani il modo valido per arrivare a Dio è: "Credo a Gesù di Nazareth il quale, proclamandosi Figlio di Dio, mi rivela Dio come suo Padre". Garanzia unica che Gesù porta per essere creduto è la sua risurrezione.

3. Sono sicuro che Dio c'è e affido a Lui la mia vita.
In questo caso però occorre precisare da dove nasce questa sicurezza.
Le risposte date storicamente sono state
a) perché l'ho visto, lo vedo, lo constato, lo scopro... fuori di me! oppure perché lo intuisco in me!
A chi risponde così si può domandare: "Sei sicuro che quello che hai visto o intuito sia Dio o non piuttosto una proiezione dei tuoi desideri, una tua costruzione psicologica per bisogno di sicurezza?
b) perché lo dimostro!
A chi risponde così si può domandare ancora: "Come? Con quali prove?".
Egli porterà le prove. Io le valuterò e se le troverò convincenti, "crederò" all'esistenza di Dio, ma solo fidandomi del mio cervello. Ringrazio lui di avermi aiutato a capire, ma Dio c'è non perché l'ha detto lui, bensì perché sono arrivato io a dimostrarne l'esistenza.
E anche qui "credere" non è usato in senso tecnico teologico. Crea confusione.
I cattolici accettano come valida per arrivare a dire che Dio c'è anche la ragione umana . Ma per dire questo si basano su un dato di fede, perché citano un'affermazione definita dal Concilio Vaticano I, la quale si basa su un testo di Paolo, lettera ai Romani 1,20:
- il testo del Vaticano I: "È possibile dalle cose create arrivare a conoscere con certezza che Dio c’è".
- il testo di Rom 1,18-20: "Si rivela infatti (l’)ira di Dio dal cielo contro ogni empietà e ingiustizia di uomini che tengono avvinta la verità in ingiustizia, perché ciò che è conoscibile del Dio è manifesto in essi: il Dio infatti ad essi (lo) manifestò. Infatti le cose invisibili di lui dalla creazione del mondo appaiono intelligibili per mezzo delle opere, sia l’eterna sua potenza, sia la divinità, ...". (ma qualcuno qui direbbe "inventato").


CREDERE E' CREDERE IN QUALCUNO (punto 2)

E’ l’esperienza del fidarsi senza avere prove certe, sorretti dalla sola garanzia della nostra fiducia in lui.
Ricordiamo la fede di Pietro: “Signore fino ad ora non abbiamo pescato nulla ma sulla tua parola getterò le reti”.
Ma c’è una difficoltà ulteriore: noi non abbiamo la possibilità di relazionarci in modo diretto con Gesù, il quale è venuto 2000 anni fa, per cui la nostra fiducia in lui può avvenire soltanto grazie alla mediazione di altri soggetti.

L'atto di fede oggi si sviluppa attraverso i seguenti passaggi:

1) atto di fiducia nella Chiesa, che abbia conservato bene l'insegnamento degli apostoli, selezionando e tramandando senza manipolazioni i libri che lo contenevano e interpretandoli secondo quanto gli autori volevano dire;

2) atto di fiducia (attraverso la Chiesa) negli apostoli che abbiano tramandato bene quanto Gesù ha fatto e detto, in particolare la risurrezione di Gesù;

3) atto di fiducia (attraverso gli apostoli) in Gesù che sia veramente quello che ha detto di essere, cioè il Figlio di Dio, il Cristo, poiché l'ha garantito con la risurrezione;

4) atto di fiducia (attraverso Gesù) in Dio, Padre di Gesù e Padre di tutti gli uomini, che abbia risposto al problema del senso della vita umana.

Questo è lo schema teorico di un corretto atto di fede cristiano.,


SIMBOLO APOSTOLICO

Io credo in Dio, Padre onnipotente
creatore del cielo e della terra;
e in Gesù Cristo,
suo unico Figlio, nostro Signore,
il quale fu concepito di Spirito Santo,
nacque da Maria Vergine,
patì sotto Ponzio Pilato,
fu crocifisso, morì e fu sepolto;
discese agli inferi;
il terzo giorno risuscitò da morte;
salì al cielo,
siede alla destra di Dio Padre onnipotente;
di là verrà a giudicare i vivi e i morti.
Credo nello Spirito Santo,
la santa Chiesa cattolica,
la comunione dei santi,
la remissione dei peccati,
la resurrezione della carne,
la vita eterna.
Amen
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Re: Commento al Credo

Messaggioda GrisAdmi » mar dic 09, 2008 8:40 pm

APPENDICE


Riferimenti bibliografici:

Catechismo della Chiesa cattolica.
In particolare per questa introduzione si possono leggere i nn.166-167-170-171-172-173-174-175-185-186-187-188-189-190-191-192-193-194-195-196-197.



Per la meditazione:

Dalle «Catechesi» di san Cirillo di Gerusalemme, vescovo
(Catech. 5 sulla fede e il simbolo, 12-13; PG 33, 519-523)

Il simbolo della fede
Nell'apprendere e professare la fede, abbraccia e ritieni soltanto quella che ora ti viene proposta dalla Chiesa ed è garantita da tutte le Scritture. Ma non tutti sono in grado di leggere le Scritture. Alcuni ne sono impediti da incapacità, altri da occupazioni varie. Ecco perché, ad impedire che l'anima riceva danno da questa ignoranza, tutto il dogma della nostra fede viene sintetizzato in poche frasi.
Io ti consiglio di portare questa fede con te come provvista da viaggio per tutti i giorni di tua vita e non prenderne mai altra fuori di essa, anche se noi stessi, cambiando idea, dovessimo insegnare il contrario di quel che insegniamo ora, oppure anche se un angelo del male, cambiandosi in angelo di luce, tentasse di indurti in errore. Così «se anche noi stessi o un angelo dal cielo vi predicasse un Vangelo diverso da quello che abbiamo predicato, sia anàtema!» (Gal 1, 8 ).
Cerca di ritenere bene a memoria il simbolo della fede. Esso non è stato fatto secondo capricci umani, ma è il risultato di una scelta dei punti più importanti di tutta la Scrittura. Essi compongono e formano l'unica dottrina della fede. E come un granellino di senapa, pur nella sua piccolezza, contiene in germe tutti i ramoscelli, così il simbolo della fede contiene, nelle sue brevi formule, tutta la somma di dottrina che si trova tanto nell'Antico quanto nel Nuovo Testamento.
Perciò, fratelli, conservate con ogni impegno la tradizione che vi viene trasmessa e scrivetene gli insegnamenti nel più profondo del cuore.
Vigilate attentamente perché il nemico non vi trovi indolenti e pigri e così vi derubi di questo tesoro. State in guardia perché nessun eretico stravolga le verità che vi sono state insegnate. Ricordate che aver fede significa far fruttare la moneta che è stata posta nelle vostre mani. E non dimenticate che Dio vi chiederà conto di Ciò che vi è stato donato.
«Vi scongiuro», come dice l'Apostolo, «al cospetto di Dio che dà vita a tutte le cose, e di Cristo Gesù, che ha dato la sua bella testimonianza davanti a Ponzio Pilato» (1 Tm 6, 13), conservare intatta fino al ritorno del Signore nostro Gesù Cristo questa fede che vi è stata insegnata.
Ti è stato affidato il tesoro della vita, e il Signore ti richiederà questo deposito nel giorno della sua venuta «che al tempo stabilito sarà a noi rivelata dal beato e unico sovrano, il re dei regnanti e Signore dei signori; il solo che possiede l'immortalità, che abita una luce inaccessibile, che nessuno fra gli uomini ha mai visto né può vedere» (1 Tm 6, 15-16). Al quale sia gloria, onore ed impero per i secoli eterni. Amen.  
Trianello

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Re: Commento al Credo

Messaggioda GrisAdmi » mar dic 09, 2008 9:07 pm

CREDO IN DIO

Io credo in un solo Dio”. Inizia così la professione di fede di Nicea-Costantinopoli, evidenziando l’unicità di Dio.
Già nell’Antico Testamento essa è chiaramente attestata: “Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, il Signore è Uno solo” (Dt 6,4).
Volgetevi a me e sarete salvi, paesi tutti della terra, perché io sono Dio; non ce n'è altri” (Is 45,22).


L’anagrafe di Dio

“Mosè disse a Dio: <<Ecco io arrivo dagli Israeliti e dico loro: Il Dio dei vostri padri mi ha mandato a voi. Ma mi diranno: Come si chiama? E io che cosa risponderò loro?>>.
Dio disse a Mosè: <<Io sono colui che sono!>>. Poi disse: <<Dirai agli Israeliti: Io-Sono mi ha mandato a voi>>. Dio aggiunse a Mosè: <<Dirai agli Israeliti: Il Signore, il Dio dei vostri padri, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe mi ha mandato a voi. Questo è il mio nome per sempre; questo è il titolo con cui sarò ricordato di generazione in generazione”
(Es 3,13-15).
Questo nome che Dio dice di se stesso è assai misterioso: dice ma allo stesso tempo non dice. “Veramente tu sei un Dio nascosto, Dio di Israele, salvatore” (Is 45,15).
Dio non vuole giocare a nascondino con l’uomo, ma la sua identità è così al di sopra di qualunque categoria comprensibile all’uomo che non può dire altro, l’uomo non capirebbe.
Tuttavia le espressioni usate nel dialogo con Mosè sono di per sé molto significative e ricche: io sono colui che sono equivale ad affermare: io esisto, io vivo, io sono il vivente. Tutta la storia dell’Antica Alleanza è impregnata di questa esistenza-presenza di Dio in mezzo al suo popolo.
Rivelando il suo nome, Dio rivela al tempo stesso la sua fedeltà che è da sempre, valida per il passato (“Io sono il Dio dei tuoi padri” – Es 3,6); come per il futuro (“Io sarò con te” – Es 3,12).

La promessa della prossimità di Dio con l’umanità ha il suo vertice con l’incarnazione, dove si da’ all’umanità attraverso il suo Figlio, il quale rivelerà che anch’egli porta il nome divino: “Quando avrete innalzato il Figlio dell'uomo, allora saprete che Io-Sono e non faccio nulla da me stesso, ma come mi ha insegnato il Padre, così io parlo” (Gv 8,28)

Nel nostro linguaggio l’espressione io sono è incompleta: io sono bravo, io sono intelligente, io sono obeso, ecc. Invece come nel caso di Dio la cosa può funzionare, nel senso che, lasciando la frase incompleta, possiamo e dobbiamo immaginare l’attributo positivo più grandioso che possa esistere: ma poiché nessun linguaggio umano lo conosce, non è lecito cercare di inventarlo, per non impoverire la realtà di Dio.
Tuttavia il Dio di cui parliamo si è rivelato più che con la carta d’identità, con il suo essere presente e operante nella storia degli uomini a partire dal popolo d’Israele. E lo stesso Israele ha potuto, poco per volta, scoprire che il motivo per cui Dio si era rivelato proprio a lui e non ad altri popoli era uno solo: il suo amore gratuito (1). I profeti hanno ravvivato poi la coscienza che Dio non si è mai stancato di amare nonostante le ripetute infedeltà del suo popolo (2).
I passi che evidenziano questa dimensione di Dio e la ‘raccontano’ sono molti: è consigliabile rileggerli (3).

Ma è con il suo Figlio Gesù che l’immagine di Dio si svela in tutta la sua chiarezza, al punto che attingendo soprattutto (ma non solo) alle opere dell’evangelista Giovanni (vangelo e lettere) scopriamo un linguaggio che ci permette di completare l’espressione rimasta in sospeso riguardo l’identità di Dio.
Io sono …, può ora diventare: io sono l’Amore
Carissimi, amiamoci gli uni gli altri, perché l’amore è da Dio: chiunque ama è generato da Dio e conosce Dio. Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore” (1Gv 4,7-8).
Queste dense espressioni della prima lettera di Giovanni indicano con chiarezza come per il cristiano credere in Dio non significa semplicemente ‘pensare’ che Dio esista, ma molto più: confessare (proclamare) con le labbra e con il cuore che Dio è amore.
Una prima conseguenza porta a riconoscere che Dio non può essere solitudine: per amare bisogna essere almeno in due. La Scrittura parla del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Il Padre è l’Amante; il Figlio l’Amato; lo Spirito Santo l’Amore scambiato, ricevuto e donato.

Allora credere in Dio amore significa credere che Dio è Uno in Tre Persone, in una comunione perfetta, intessuta di relazioni reali di reciproco scambio di incontro e di amore.
In rapporto alla nostra vita e alle nostre storie personali, credere in Dio Amore significa avere la certezza che nessun uomo davanti a Lui è semplicemente un numero, ma un essere unico e irripetibile.

Ma concretamente cosa significa affermare che Dio è Amore? Proseguiamo il brano della 1Gv: “In questo si è manifestato l’amore di Dio per noi: Dio ha mandato il suo unigenito Figlio nel mondo perché noi avessimo la vita per lui. In questo sta l’amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati (1Gv 4,9-10).
Siamo così rimandati ai piedi della croce dove l’amore di Dio si spinge fino al limite massimo, ben lontani dall’immagine, purtroppo ancora molto diffusa, di un Dio inaccessibile, solitario, giudice e giustiziere implacabile.
Il vero volto di Dio è il volto della vergogna,dell’insuccesso, dell’umiltà, della sofferenza, dell’assurdo. E’ chiaramente un’immagine capovolta rispetto tutte le concezioni di Dio che certa storia e certa cultura ci hanno consegnato.


Il Padre: l’Amante

In quanto Amore, Dio è anzitutto il Padre di Gesù, che l’ha consegnato alla morte per noi: “non ha risparmiato suo Figlio” (Rm 8,32).
Dio non può non amare. Cosa potrebbe farebbe d’altro? C’ è una bella espressione di Lutero: “Dio non ci ama perché siamo buoni e belli; Dio ci rende buoni e belli perché ci ama”. Dio non si stancherà mai di amarci, perché non ci ama per i nostri meriti, ma perché da sempre ha iniziato ad amare e per sempre continuerà ad amare.
La conseguenza dell’essere amati produce amore.
Amandoci, Egli ci rende capaci di amare. Amati possiamo anche noi cominciare ad amare. Il Padre si presenta come l’eterno Amante, che da sempre ha iniziato ad amare e che
suscita noi la storia dell’amore, comunicandoci la Sua gratuità4.


Il Figlio: l’Amato

E’ colui che da sempre si è lasciato amare. Da sottolineare la passività del lasciarsi amare. Non è divino soltanto l’amare: lo è anche il lasciarsi amare, il ricevere amore. Non è divina soltanto la gratuità: è divina anche la gratitudine. Il Figlio, l’Amato, sa dire grazie all’Amore, si fa accoglienza eterna.
Questo dinamismo si innesta nella nostra vita quando sappiamo dire grazie, cioè accogliamo l’amore degli altri. Non è sufficiente cominciare ad amare: occorre lasciarsi amare, diventare umili di fronte all’amore degli altri, riuscire a fare spazio alla vita degli altri. Come il Padre (l’Amante) ci contagia la gratuità, il Figlio (l’Amato) ci contagia la gratitudine, l’accoglienza.


Lo Spirito: l’Amore

Nella relazione tra il Padre e il Figlio lo Spirito è Colui che unisce e libera. Nella tradizione occidentale, da s.Agostino in poi, lo Spirito è contemplato come il vincolo dell’Amore eterno fra l’Amante e l’Amato. Pertanto quando lo Spirito entra in noi ci ricompone, ci riconcilia, ci unifica e ci unisce a Dio e agli altri. Ci rende capaci del linguaggio della comunione, della pace, di unità, in quanto vincolo della carità eterna.

La tradizione delle chiese orientali ci consegna una sfumatura diversa dello Spirito Santo. Viene chiamato l’estasi di Dio, in quanto apre il cerchio dell’Amore e realizza all’interno della divinità la verità che amare non significa stare a guardarsi negli occhi, ma guardare insieme verso la stessa meta. In altre parole lo Spirito non solo unisce Il Padre e il Figlio, ma fa uscire Dio da sé per comunicarsi a noi. E noi quando ci lasciamo raggiungere e trasformare dallo Spirito, non possiamo più accontentarci di guardarci negli occhi, perché sentiremo il bisogno di uscire, di portare agli altri il dono dell’amore con cui siamo stati amati.

-------------------------------------------------------------------------------------------------
NOTE

(1) Cf. Dt 7,8”Il Signore si è legato a voi e vi ha scelti, non perché siete più numerosi di tutti gli altri popoli siete infatti il più piccolo di tutti i popoli , ma perché il Signore vi ama e perché ha voluto mantenere il giuramento fatto ai vostri padri..”

(2) Cf. Is49,14-15 “ Sion ha detto: <<Il Signore mi ha abbandonato, il Signore mi ha dimenticato>>. Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se queste donne si dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai”.

(3) Le citazioni sono reperibili nel CCC in nota ai nn. 218, 219, 220, 221.
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Re: Commento al Credo

Messaggioda GrisAdmi » mar dic 09, 2008 9:09 pm

APPENDICE

Riferimenti bibliografici:

Catechismo della Chiesa cattolica.
Per approfondire si possono leggere dal cap. I i paragrafi 1 e 2 (nn. da 198 a 267)


Per la meditazione:

Abbiamo cercato di conoscere e sapere qualcosa su Dio.
Facciamo attenzione al pericolo che corse quell’uomo assetato di sapere sempre meglio chi fosse Dio: era un teologo, uno studioso delle cose di Dio.
Siamo nei primi secoli del cristianesimo in cui fiorisce la spiritualità dei padri del deserto. Poimen è un vecchio eremita, saggio e sapiente nelle cose di Dio. Il nostro cercatore di Dio si reca da lui per incontrarlo e incomincia a parlargli delle realtà celesti e della Trinità. Poimen lo sta pazientemente ad ascoltare senza dargli una sola risposta. L’uomo, stizzito, si accinge a lasciare l’eremita.
Il discepolo che viveva con l’eremita si avvicina a Poimen e gli dice: “Padre, questo grande uomo, che è tanto considerato e stimato nel suo paese, è venuto qui per te. Perché non gli hai parlato?”. Il vecchio rispose: “Lui abita lassù in alto e dice cose celesti, mentre io appartengo alla schiera di quelli che stanno sotto e dico cose terrene. Se avesse parlato delle passioni dell’anima, gli avrei risposto volentieri. Ma se parla di cose spirituali non le capisco”.
L’incontro del teologo con Poimen finisce qui per il momento.
Il discepolo raggiunge il teologo che si stava allontanando e gli dice: “Il vecchio non ama parlare della Scrittura, ma se qualcuno parla con lui delle passioni dell’anima, gli da’ risposta”. Il teologo riflette, ritorna da Poimen e gli dice: “Che devo fare quando in me prendono il sopravvento le passioni dell’anima?”. Il vecchio allora lo guarda con il volto pieno di gioia e riprende: “Adesso sei venuto a me nel modo giusto, ora apri la tua bocca per queste cose e io la riempirò di cose buone”. Il teologo ne ricavò grande vantaggio ed esclamò: “E’ proprio questa la strada giusta”. Da quel momento il loro colloquio diventò sincero ed essi si incontrano nel loro cuore, e assieme entrano in contatto con Dio.

*****************

Dio tre volte Santo, Trinità d’amore,
fa’ che io confessi con le labbra e con il cuore
l’infinita bellezza dell’eterna storia del Tuo divino amare.
Ti riconoscerò Padre, eterno Amante, da cui proviene ogni dono perfetto.
Ti confesserò Figlio, Amato che tutto riceve e tutto dona.
Ti adorerò Spirito Santo, insieme con l’Amante e con l’Amato,
come Amore ricevuto e donato,
vincolo della carità eterna ed estasi dell’eterno Amore.
In Te vorrò nascondermi,
per essere per sempre perdutamente amato
e alla Tua scuola imparare ad amare.
Trianello

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Re: Commento al Credo

Messaggioda GrisAdmi » gio dic 11, 2008 2:48 am

PADRE ONNIPOTENTE


Onnipotente nell’amore

In base a quanto detto riguardo la definizione di Dio indissolubilmente legata alla realtà dell’amore, possiamo ora inoltrarci ad esaminare il primo attributo che la professione di fede riconosce a Dio: l’onnipotenza. Parola che in passato, ma ancora oggi può creare degli equivoci. “L’onnipotenza di Dio viene chiamata in causa nella natura e nella storia là dove si arrestano la scienza e la tecnica, l’economia e la politica o quando non siamo più in grado di fronteggiare i nostri problemi personali… Ma dopo i massacri del nazismo e del comunismo, non è più possibile parlare di un Dio onnipotente, assoluto, che tutto potrebbe fare, ma di fronte a enormi catastrofi su naturali e crimini contro l’umanità, non interviene, ma tace, tace e tace …” (H.Kung, Il Credo, Milano, 1994, p.23).
Ma l’onnipotenza di Dio è altro: Dio, il Padre di Gesù, è Colui ha cominciato una volta e per sempre ad amare e che non è mai stanco di cominciare ad amare: è il Padre onnipotente.
Possiamo domandarci dove nasce in Lui questo coraggio di amare, tanto più sorprendente quanto più pensiamo alla storia d’ingiustizia, di peccato e di morte che è la storia del mondo in cui viviamo. Come fa questo Dio-della-vita a non stancarsi dei nostri rifiuti, delle nostre indifferenze, dei nostri tradimenti, che ci rendono uomini deboli, idolatri e sanguinari?
Questi interrogativi non hanno risposta se non si contempla il mistero della gratuità del Suo amore: “In questo sta l’amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati … Noi abbiamo riconosciuto e creduto all’amore che Dio ha per noi. Dio è amore: chi sta nell’amore dimora in Dio e Dio dimora in lui” (1Gv 4,10.16).
Il Padre è l’eterno Amante, Colui cui appartiene in assoluto l’iniziativa dell’amore: senza essere costretto o motivato da qualche causa esterna. Egli ha iniziato nell’eterno ad amare e continuerà per sempre ad amare.
“Uomo, dice il Signore, considera ch’io sono stato il primo ad amarti. Tu non eri ancora al il mondo, il mondo neppur v’era ed io già ti amavo” (S.Alfonso Maria de Liguori).
Quest’amore che un ‘dare gratuitamente’, è all’origine dell’atto della creazione: “E’ l’amore che fa esistere” (M.Blondel).
Lo stesso amore è alla radice dell’atteggiamento che il Padre ha nei confronti degli uomini.
Ama le pecore smarrite (1), i peccatori e i malati (2), i perduti (3): in una parola gli ultimi, quelli che nessuno ama.
Un brano di S.Paolo riassume bene questo orientamento di Dio: “Ma Dio ha scelto ciò che nel mondo è stolto per confondere i sapienti, Dio ha scelto ciò che nel mondo è debole per confondere i forti, Dio ha scelto ciò che nel mondo è ignobile e disprezzato e ciò che è nulla per ridurre a nulla le cose che sono” (1Cor 1,27-28).
Se dunque Dio è Padre è Amore non ci sarà nessun motivo o colpa per cui possa dimenticarsi dell’uomo e voltargli le spalle. Dio continua e continuerà ad amare gli uomini perché diversamente smentirebbe se stesso in quanto Amore incondizionato.


Le provocazioni

Di fronte al Padre di infinita misericordia si leva la domanda che viene dal dolore del mondo: perché il dolore se Dio ci ama? Perché il suo silenzio davanti ai dolori del mondo? Dov’è il Padre onnipotente nell’amore? Dio muore nell’innocente che muore (4).
Il primo senso di questa risposta tragica in cui si afferma la morte di Dio nell’innocente che muore porta a risolvere il senso della vita dell’uomo in un puro esistere per la morte, dove tutto è destinato al nulla. Tutte le risposte atee conducono a guardare la morte negli occhi e perdersi in essa, confessando che nulla ha veramente senso. Anche il ‘carpe diem’ non può che trascinarsi in una tristezza invincibile e una protesta contro Dio.
Alla protesta contro Dio si oppone l’atteggiamento opposto: la resa, la rinuncia alla domanda dell’uomo sofferente. Il grido del deportato di Auschwitz rivela qui il suo secondo senso: nell’innocente che muore si presenta la morte di un Dio senza cuore, dl Dio dei pii e di coloro che si ritengono giusti e sono convinti della giustizia divina ripristinata con le pene del mondo. Quasi una celebrazione della gloria di Dio a prezzo della morte dell’uomo.


La risposta di un Dio com-passionato

Accanto all’innocente che muore, solidale con lui ed in lui c’è il Dio della Croce: non un giudice lontano, impassibile spettatore della sofferenza umana; ma il Dio vicino, il Dio ‘compassionato’, il Dio che ha fatto suo il dolore del mondo per dare ad esso senso e conforto.
Il Vangelo del dolore di Dio è il Vangelo dl Crocifisso che si consegna alla morte per amor nostro. In questo modo si annuncia non la morte di Dio ma la morte in Dio, in senso trinitario. La passione del Crocifisso, e in essa la passione del mondo, toccano profondamente il mistero della divinità, coinvolgendo ciascuna delle Persone divine e inserendo la storia del dolore del mondo nell’eterna storia dell’amore divino.
Al patire umano viene così riconosciuta una dignità infinita: così grande da essere assunta dal Figlio e al contempo rivelativi della vicinanza di Dio Padre ad ogni sofferenza degli uomini, per redimerla e dare ad essa consolazione e speranza.
Il Vangelo della Croce non pretende essere la risposta al problema del silenzio di Dio: la domanda viene superata nella certezza della prossimità del Dio vicino, che offre a tutti, per vie misteriose, che Lui solo conosce, la possibilità di trasformare il dolore in amore, la bestemmia in invocazione, la storia della sofferenza in storia dell’amore del mondo.
“Se vogliamo sapere chi è Dio, dobbiamo inginocchiarci ai piedi della Croce” (J.Moltmann).

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NOTE

(1) Cfr. Lc 15,4-7: “Chi di voi se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va dietro a quella perduta, finché non la ritrova? Ritrovatala, se la mette in spalla tutto contento, va a casa, chiama gli amici e i vicini dicendo: Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora che era perduta. Così, vi dico, ci sarà più gioia in cielo per un peccatore convertito, che per novantanove giusti che non hanno bisogno di conversione”.

(2) Cfr. Lc 5,31s: “Gesù rispose: Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati;
[32]io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori a convertirsi”.


(3) Cfr. Lc 19,10: “il Figlio dell'uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto”

(4) Dinanzi ai poveri impiccati nel luogo dell’Olocausto, l’Auschwitz di ogni miseria umana, mentre il condannato più giovane si dibatte lottando con la morte, la voce di un prigioniero domanda: “Dov’è dunque Dio?”. E il grido di un altro racchiude tutte le possibili risposte: “Eccolo: è appeso lì, a quella forca”. (cfr.E.Wiesel, La notte, Firenze, 1980, p.67)
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Re: Commento al Credo

Messaggioda GrisAdmi » sab dic 13, 2008 6:06 am

CREATORE DEL CIELO E DELLA TERRA

A partire dalla redenzione

A questa domanda la fede cristiana sin dalle sue origini ha dato risposta collegando fra loro creazione e redenzione. Come aveva fatto il popolo d’Israele, così la Chiesa alla confessione del Dio creatore passando attraverso l’esperienza del Dio Salvatore.
E’ alla luce dell’evento pasquale che la storia delle origini è letta come storia trinitaria.
La creazione viene anzitutto riferita al Padre in quanto principio di ogni vita: dalla sorgente inesauribile della divinità ha origine tutto quanto esiste; dal Padre è “ogni paternità in cielo e in terra” (Ef 3,15). Riprendendo la formulazione niceno-costantinopolitana confessiamo che Dio Padre è onnipotente, creatore e signore del cielo e della terra, di tutte le cose visibili e invisibili.
Dalla distinzione fra il Padre e il Figlio deriva la comunione all’interno dell’infinità alterità fra il Creatore e ogni creatura: “tutto è stato creato per mezzo di Cristo e in vita di Lui (…)
per mezzo di Lui sono state create tutte le cose, quelle nei cieli e quelle sulla terra, quelle visibili e quelle invisibili ..” (cfr.Col 1,16).
Come nella vita divina trinitaria lo Spirito, in quanto amore unificante unisce il Padre al Figlio, così lo stesso Spirito unisce la creatura al Creatore.
Tutto è stato creato dal Padre, per mezzo del Figlio, nello Spirito. E nello stesso Spirito, per mezzo del Figlio unico mediatore, tutto ritornerà al Padre.


L’orizzonte creaturale

Pertanto, tutto quanto esiste, in qualunque forma o spazio o tempo esista, in quanto ha ricevuto essenza ed esistenza, va riconosciuto come creatura dell’unico e solo Dio. Ammettendo che esistano altri mondi a noi ignoti il Padre estende la sua signoria anche su di essi.
E’ chiamata in causa l’onnipotenza creatrice di Dio che non può essere misurata secondo i criteri valutativi della conoscenza umana, e neppure limitata nelle sue infinite possibilità dall’uomo. Dio è Dio e la creatura non è Dio.
Un richiamo alla vastità e profondità dell’azione creatrice di Dio è rappresentato dalla fede nell’esistenza di un universo angelico. Gli angeli esprimono la memoria permanente di un orizzonte oltre l’umano, che sfugge alle pretese della ragione. In un mondo adulto ed emancipato così come si presenta il mondo d’oggi, si sta riscoprendo fortemente il bisogno di un orizzonte più ampio, capace di oltrepassare le ristrettezze della ragione orgogliosamente sicura di sé e di un’umanità pensata e programmata a partire soltanto dall’uomo.
Anche l’angelo decaduto, Satana, esprime le possibilità radicali della creatura di fronte al Creatore, fino ad arrivare al tragico rifiuto di Dio, nella consapevole volontà di voler operare contro di Lui, pur rimanendo sotto il suo indiscusso primato.


Il peccato dell’origine: rifiuto del progetto creaturale di Dio

All’inizio Dio offre all’uomo la propria amicizia insieme ad una condizione di vita paradisiaca. L’uomo si ribella con il primo peccato, stravolgendo così la sua esistenza, e affondando in una moltitudine di peccati.
Questa dinamica della storia viene rappresentata simbolicamente in Gn 1-11, a partire al peccato originale di Adamo e di Eva.(1)
L’uomo cede alle seducenti tentazioni del serpente che incarna l’idolatria satanica. Non si fida più di Dio, rifiutando di riconoscerne la signoria sulla sua vita e norma dl suo agire. Cibandosi del frutto dell’albero della scienza dl bene e del male si autodetermina, facendosi legge a se stesso. Vuole sperimentare tutto e decidere da sé ciò che è bene e ciò che è male. Pretende di realizzare, senza Dio e la sua grazia, il proprio desiderio illimitato di vivere. Detto in sintesi, vuole essere praticamente un dio, autosufficiente e onnipotente.


Il peccato si estende e si moltiplica

Il rifiuto della comunione con Dio porta l’uomo a vivere in una terra diventata ormai ostile. Si sente umiliato dalla vergogna, minacciato e impaurito dalla morte, incapace di controllare i propri istinti. Gli uomini sperimentano la divisione tra di essi. L’armonia originaria con Dio, con se stessi, con gli altri e con la natura non esiste più.
L’umanità è trascinata dalla legge del peccato, precipitando nella confusione e nella disgregazione (2).


La riflessione del magistero della Chiesa sul peccato

Nel tentativo di conciliare il pelagianesimo e il protestantesimo, due visioni estreme maturate riguardo al problema del peccato e della salvezza, il magistero si è espresso secondo questi enunciati dottrinali (3).
-Il peccato primordiale dei progenitori ha causato la perdita della giustizia originale per loro e per tutti i discendenti;
-Il peccato originale ereditario è in ogni uomo per il solo fatto di nascere, in quanto riceve una sua natura umana privata -della giustizia originale, ferita e inclinata al peccato;
-La corruzione non è totale e la libertà può e deve cooperare con la grazia;
-La redenzione e la grazia di Cristo sono assolutamente necessarie a tutti per la giustificazione e la salvezza;
-Il peccato originale è soppresso mediante il battesimo;
Rimane la concupiscenza che deriva dal peccato e dispone al peccato, ma propriamente non è peccato.


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NOTE

(1) Cfr. CdA n.390

(2) Cfr. Gn 6,11; 11,1-9; CdA n.391-392

(3) Cfr. Sinodo di Orange (DS 371-372); Concilio di Trento (DS 1511-1515-1551-1552-1554-1555)
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Re: Commento al Credo

Messaggioda GrisAdmi » sab dic 13, 2008 6:09 am

APPENDICE


Riferimenti bibliografici:

Catechismo della Chiesa cattolica.
Per approfondire si possono leggere dal cap. I - paragrafo 3 (nn. da 268 a 274); paragrafo 4 (nn. da 279 a 314)


Note esplicative sul peccato originale e redenzione

Ogni uomo è plasmato dalla solidarietà con gli altri, con chi lo ha preceduto e con chi lo accompagna. Non si parte mai da zero. Viviamo inseriti in un intreccio di doni naturali, culturali e spirituali. La nostra libertà si attua sempre in una situazione storica oggettiva, da cui viene condizionata. La comunicazione della vita divina avviene in modo da valorizzare le mediazioni umane.
I nostri peccati indeboliscono la comunicazione del bene e alimentano il contagio del male. Tendono a deformare la società con una mentalità e con strutture di peccato, che gravano sulle decisioni personali. Si sviluppa così una storia separata da Dio, avversa a Cristo, che ostacola fino a bloccare l’iniziativa divina.
Ogni uomo, senza alcuna responsabilità personale, viene al mondo in questo contesto inquinato. Privato della grazia santificante, è incapace di entrare in dialogo filiale con il Padre e di amarlo sopra ogni cosa,; incline a chiudersi nell’esperienza terrena e di assolutizzare i beni temporali. Così la sua libertà, indebolita interiormente e condizionata negativamente dall’esterno, non riuscirà ad osservare la Legge di Dio e arriverà prima o poi, a commettere gravi peccati personali, incamminandosi verso la perdizione eterna.
La condizione in cui l’uomo nasce è uno stato soggettivo della natura umana, trasmesso insieme ad essa, non un atto delle persone. Viene chiamata peccato originale non perché sia una colpa, ma perché deriva da una colpa altrui e fruttifica in successive colpe personali. E’ analoga alle situazioni di peccati gravi e permanenti.
Nessun uomo da solo potrebbe con le sue sole forze uscire da questa situazione chiamata regno del peccato e della morte. Il Signore Gesù, crocifisso e risorto, ci comunica la potenza del suo Spirito e spezza le catene che ci tengono prigionieri, rigenerandoci a nuova vita.
Certamente, anche dopo questa rigenerazione, permangono sia le inclinazioni interiori disordinate che le seduzioni negative esterne, ma non sono più irresistibili. Occorre ancora combattere, ma si può vincere.
Anche la sofferenza e la morte rimangono, ma assumono un altro senso e diventano occasione di crescita spirituale. La vita divina elimina il peccato e ne trasfigura le conseguenze. Ci introduce nella vita pasquale che è superiore alla stessa vita paradisiaca originale.
“Laddove è abbondato il peccato, ha sovrabbondato la grazia” (Rm 5,20). (1)

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NOTE

(1) Cfr.CdA nn.396-397-398-399
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Re: Commento al Credo

Messaggioda GrisAdmi » dom dic 14, 2008 6:16 pm

E GESU' CRISTO, SUO UNICO FIGLIO, NOSTRO SIGNORE


La fede cristiana confessa che Gesù di Nazaret, il profeta della Galilea, morto crocifisso e risuscitato da Dio, è anche veramente Dio, nell’unità della Sua persona di Figlio eterno del Padre.

In passato c’è stata una tendenza ad accentuare talmente la divinità di Gesù Cristo da mettere in ombra la sua umanità: se nella vicenda terrena del Nazareno è il Figlio di Dio ad agire, sembrava necessario escludere da lui ogni imperfezione. Ne risultava l’immagine di un Dio impegnato a recitare la parte dell’uomo’ (J.Maritain).
Contro questa immagine di un Gesù troppo divino c’è stata la reazione, spesso eccessiva, che ha fatto sua l’esigenza di scoprire un Cristo umano, compagno di strada e amico degli uomini. Soltanto ‘questo’ Gesù sarebbe capace di parlare e relazionarsi con l’uomo contemporaneo: profeta di libertà, testimone contagioso di un amore spinto fino alla morte, individuo scomodo e inquietante per gli uomini di potere, povero e vicino ai poveri. Questo Gesù avrebbe avuto il merito di svelare all’uomo la possibilità di essere ‘soltanto’ uomo, senza cercare rifugio in un mondo divino alienante.
La sua morte di Croce sarebbe stata l’ora decisiva in cui sarebbe morta la figura di Dio, per far nascere quella dell’uomo adulto e sovrano.
Conseguenza di questa maturità dell’uomo sarebbe l’emancipazione da ogni forma di dipendenza, di affrancamento da ogni mediazione sacrale. Gesù avrebbe liberato l’uomo da ogni Chiesa. Il tutto si riassume nello slogan “Gesù sì, Chiesa no”.
Queste proposte pur essendo inaccettabili nelle loro conclusioni, sollecitano la presa di coscienza dei valori pertinenti alla fede nel Gesù Cristo Dio-uomo.

Se Dio si è fatto uomo, l’umanità di Gesù non è in concorrenza alla sua divinità, ma è, anzi, il luogo concreto in cui il volto di Dio si è rivelato per noi. Proprio in questa umanità umile e profonda, così come ci è data conoscere dai Vangeli, e che è stata oggetto di grande amore da parte dei santi, in questa vicenda umana di Gesù di Nazaret, ci è dato conoscere quanto grande sia la vicinanza del Dio trinitario alla nostra umanità, che così acquista una dignità senza pari.

Insieme a questa riscoperta dell’umanità di Dio, è necessario ribadire la divinità di Cristo: il messaggio scandaloso ed esaltante che il crocifisso dai potenti e risuscitato il terzo giorno, è il Figlio di Dio.
Senza questo annuncio, non avrebbe valore né la riscoperta della nostra dignità di persone umane a partire da Gesù Cristo, né la fiducia nella liberazione dal peso della colpa di origine, né la speranza della gloria che in lui ci è rivelata.
Se Gesù fosse soltanto un uomo, sia pure il più grande tra i figli dell’uomo, egli non ci avrebbe salvati, non ci avrebbe dato la vita che viene dall’alto e che è eterna: la morte non sarebbe vinta, né lo sarebbe il peccato.
Nel Figlio di Dio che muore per noi abbiamo la garanzia che è possibile vincere l’egoismo e il peccato, che è possibile amare e superare nell’amore la morte, che l’ultima parola della vita e della storia non sarà l’ingiustizia e il dolore, ma la pace fatta di giustizia e di gioia senza fine.
Ci si può domandare perché ci sono tante resistenze a credere nell’Uomo-Dio. E quali sono le difficoltà principali a confessare Gesù Messia e allo stesso tempo Figlio di Dio?
Scorrendo la storia è possibile individuarne quattro che muovono da presupposti diversi.

1. A partire dalla concezione di Dio che ci si è fatti prima di affrontare il problema e la realtà di Gesù Cristo.
Pensarlo e ritenerlo Dio-Uomo risulta scandaloso perché così viene perso il senso e il valore della trascendenza divina. Ritenere l’uomo di Nazaret, umiliato nella vergogna della Croce, il Figlio di Dio, non può che cozzare contro l’immagine di un Dio Assoluto, separato e straniero rispetto le miserie del vivere umano.
A questa obiezione la fede risponde con l’annuncio, sempre scandaloso, della buona novella: Dio si è fatto uomo, mettendosi per amore dalla parte degli uomini, dei peccatori, dei senza diritti della storia.
Il Dio cristiano rivela la follia del suo amore per noi proprio in ciò che sconcerta i presunti esperti del divino (1).

2. A partire dalla concezione di uomo che si ha.
Se Dio si è fatto veramente uomo perché non ha risolto i problemi fondamentali dell’umanità, le ingiustizie, le malattie, ecc.?
Di fronte a questa protesta sta ancora l’umile silenzio del Crocifisso immolato per amore: il Dio cristiano non sta dalla parte dei vincitori, né dalla parte di chi pretende di avere in mano le chiavi del destino degli altri. E’ un Dio dei poveri, che si è fatto vicino e compagno al vivere e al soffrire umano, il Dio-con-noi che non è venuto per condannare, ma per servire e salvare.
Nella fede questa debolezza di Dio risulta più potente della forza dei potenti, e il silenzio della passione più convincente delle proteste di coloro che si dibattono nella non speranza.

3. A partire dalla concezione della Chiesa.
La Chiesa, che dovrebbe essere custode e trasmettitrice del dono infinito del suo amore, troppe volte si è macchiata e presentata sotto il segno del peccato dei suoi figli. Dove sta l’autenticità del Vangelo nel silenzio complice di tanti cristiani di fronte ad esempio all’iniquo potere del mondo e delle sue atrocità?
Eppure di questa Chiesa Dio si è fidato, affidandogli il suo messaggio e l’opera della sua salvezza. Se non si fosse fidato a tal punto degli uomini, sia pure fragili e peccatori, come avrebbe potuto essere davvero il Dio vicino per raggiungere le tante e varie miserie umane? In fondo, quest’audacia dell’amore divino risulta più provocante di una Chiesa di perfetti, ristretta a una cerchia di eletti ma in realtà abbandonata alle sole capacità umane.

4. Infine la difficoltà che viene alla fede cristiana dal vissuto dell’amore.
E’ quella di chi, pur ammirando la bellezza delle urgenze espresse dal Vangelo e la testimonianza dei martiri e dei santi di tutti i tempi, non se la sente di far propria la proposta di perdere la propria vita per salvarla, di rischiare tutto per amore. E’ l’obiezione del giovane ricco, che abbandona Gesù, dopo che questi lo ha messo di fronte alle radicali esigenze della sequela (2). A questa difficoltà di compromettersi per il regno, Dio offre la consolante certezza che non chiede mai nulla a nessuno, senza prima avergli dato la forza e la gioia per compiere quanto viene richiesto. Il Dio cristiano non è il Dio delle cose impossibili, ma il Dio di tenerezza e di misericordia, che offre al peccatore la grazia del perdono, al debole la forza di ricominciare sempre da capo. Chi ha compreso questa sfida del Dio-umano non ha che una possibilità significativa: arrendersi al suo amore.
Cosa comporta questa incondizionata accoglienza? Confessare che Gesù è il Signore annulla ogni altro modo di accedere alla salvezza? La fede in lui è una delle tante fedi possibili? Se sì, perché allora credere così perdutamente in lui? Se no, che cosa distingue il Cristianesimo dalle altre religioni storiche?
A queste domande decisive si può rispondere partendo da quell’interrogativo che in un modo o nell’altro esiste in ogni uomo: la nostalgia del Totalmente Altro, come nostalgia di giustizia e di pace assolute che nessuna capacità umana sa realizzare. Ne consegue un atteggiamento di rispetto profondo da nutrire nei confronti di tutte le credenze e delle loro concretizzazioni storiche. Questo però non significa che tutto, in tutte le religioni storiche, promuova l’uomo e dia veramente gloria a Dio. E’ necessario un discernimento poiché non di rado la dimensione religiosa è stata ed è sorgente di alienazione o strumento di manipolazione di uomini, di popoli.
A questo proposito emerge l’esigenza di evidenziare un’altra prospettiva risolutiva: è solo la rivelazione storica di Dio che offre all’uomo i criteri capaci di discernere i valori presenti nel cuore degli uomini.
La fede cristiana riconosce questo criterio nella persona e nell’opera di Gesù di Nazaret, Signore e Cristo: è in lui che Dio ci ha parlato in pienezza; è in lui che ci ha raccontato la sua storia di Padre che ama, di Figlio che è amato e in cui noi siamo amati, di Spirito che è vita dell’amore; è in lui che ci è dato accesso a questa storia divina dell’amore, perché anche noi diventassimo capaci di amare.
Cristo si offre come la risposta alla nostalgia di Assoluto che ogni religione storica porta con sé, fondata come luogo d’incontro fra il cielo e la terra, fra gli uomini e Dio. Ma è un incontro realizzato nella Pasqua di morte e risurrezione, laddove le domande umane vengono anch’esse crocifisse per essere purificate e risolte nella resurrezione.
Cristo diventa allora luce per chi accetta di camminare nelle tenebre e accetta lo scandalo del morire con lui. In questo modo si spiega anche perché il Vangelo non è un’evidenza, non si impone mai, ma interpella e per essere significativo ha bisogno della libertà e decisione coraggiosa dell’uomo.
La novità cristiana è dunque la storia dell’amore di Dio e degli uomini che si aprono a lui credendo in Gesù Cristo. Ma questa novità apre al Cristianesimo un orizzonte missionario pur nella chiara consapevolezza ch’esso non può essere imposta a nessuno, anche se proposta a tutti.


Riferimenti bibliografici:

- Catechismo della Chiesa cattolica.
Per approfondire si possono leggere dal cap. II - nn. da 422 a 451.

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NOTE

(1) Cfr. 1Cor 1,22-23 “E mentre i Giudei chiedono i miracoli e i Greci cercano la sapienza, noi predichiamo Cristo crocifisso, scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani

(2) Mc.10,17-22
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Re: Commento al Credo

Messaggioda GrisAdmi » dom dic 21, 2008 5:22 pm

FU CONCEPITO DI SPIRITO SANTO,
NACQUE DA MARIA VERGINE



Fu concepito di Spirito Santo

L'annunciazione a Maria inaugura la « pienezza del tempo » (Gal 4,4), cioè il compimento delle promesse e delle preparazioni. Maria è chiamata a concepire colui nel quale abiterà « corporalmente tutta la pienezza della divinità » (Col 2,9). La risposta divina al suo: « Come è possibile? Non conosco uomo » (Lc 1,34) è data mediante la potenza dello Spirito: « Lo Spirito Santo scenderà su di te » (Lc 1,35).
Lo Spirito Santo, che è « Signore e dà la vita » (1), è mandato a santificare il grembo della Vergine Maria e a fecondarla divinamente.
Il Figlio unigenito del Padre, essendo concepito come uomo nel seno della Vergine Maria, è « Cristo », cioè unto dallo Spirito Santo, sin dall'inizio della sua esistenza umana, anche se la sua manifestazione avviene progressivamente: ai pastori, ai magi, a Giovanni Battista, ai discepoli. L'intera vita di Gesù Cristo manifesterà dunque « come Dio [lo] consacrò in Spirito Santo e potenza » (At 10,38).


Nacque da Maria Vergine

Ciò che la fede cattolica crede riguardo a Maria si fonda su ciò che essa crede riguardo a Cristo, ma quanto insegna su Maria illumina, a sua volta, la sua fede in Cristo.


L'Immacolata concezione

Per essere la Madre del Salvatore, Maria « da Dio è stata arricchita di doni degni di una così grande missione ». (137) L'angelo Gabriele, al momento dell'annunciazione, la saluta come « piena di grazia » (Lc 1,28). In realtà, per poter dare il libero assenso della sua fede all'annunzio della sua vocazione, era necessario che fosse tutta sorretta dalla grazia di Dio.
Nel corso dei secoli la Chiesa ha preso coscienza che Maria, « colmata di grazia » da Dio, (138) era stata redenta fin dal suo concepimento. È quanto afferma il dogma dell'immacolata concezione, proclamato da papa Pio IX nel 1854:

« La beatissima Vergine Maria nel primo istante della sua concezione, per una grazia ed un privilegio singolare di Dio onnipotente, in previsione dei meriti di Gesù Cristo Salvatore del genere umano, è stata preservata intatta da ogni macchia del peccato originale ».(2)

Questi « splendori di una santità del tutto singolare » di cui Maria è « adornata fin dal primo istante della sua concezione » (3) le vengono interamente da Cristo: ella è « redenta in modo così sublime in vista dei meriti del Figlio suo » (4). Più di ogni altra persona creata, il Padre l'ha « benedetta con ogni benedizione spirituale, nei cieli, in Cristo » (Ef 1,3). In lui l'ha scelta « prima della creazione del mondo, per essere » santa e immacolata « al suo cospetto nella carità » (Ef 1,4).
I Padri della Tradizione orientale chiamano la Madre di Dio « la Tutta Santa » (“Panaghia”), la onorano come « immune da ogni macchia di peccato, dallo Spirito Santo quasi plasmata e resa una nuova creatura » (5). Maria, per la grazia di Dio, è rimasta pura da ogni peccato personale durante tutta la sua esistenza.


La maternità divina di Maria

Maria, chiamata nei Vangeli « la Madre di Gesù » (Gv 2,1; 19,25), prima della nascita del Figlio suo è acclamata, sotto la mozione dello Spirito, « la Madre del mio Signore » (Lc 1,43). Infatti, colui che Maria ha concepito come uomo per opera dello Spirito Santo e che è diventato veramente suo Figlio secondo la carne, è il Figlio eterno del Padre, la seconda Persona della Santissima Trinità. La Chiesa confessa che Maria è veramente Madre di Dio (“Theotokos”).


La verginità di Maria

Fin dalle prime formulazioni della fede, la Chiesa ha confessato che Gesù è stato concepito nel seno della Vergine Maria per la sola potenza dello Spirito Santo, ed ha affermato anche l'aspetto corporeo di tale avvenimento: Gesù è stato concepito « senza seme [...], per opera dello Spirito Santo ». (6) Nel concepimento verginale i Padri ravvisano il segno che si tratta veramente del Figlio di Dio, il quale è venuto in una umanità come la nostra:

Così, sant'Ignazio di Antiochia (inizio II secolo): « Voi siete pienamente convinti riguardo a nostro Signore che è veramente della stirpe di Davide secondo la carne, (152) Figlio di Dio secondo la volontà e la potenza di Dio, (153) veramente nato da una Vergine; [...] veramente è stato inchiodato [alla croce] per noi, nella sua carne, sotto Ponzio Pilato. [...] Veramente ha sofferto, così come veramente è risorto ».

I racconti evangelici considerano la concezione verginale un'opera divina che supera ogni comprensione e ogni possibilità umana: « Quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo », dice l'angelo a Giuseppe riguardo a Maria, sua sposa (Mt 1,20).

Il silenzio del Vangelo secondo Marco e delle lettere del Nuovo Testamento sul concepimento verginale di Maria è stato talvolta causa di perplessità. Ci si è potuto anche chiedere se non si trattasse di leggende o di elaborazioni teologiche senza pretese di storicità. Pertanto la fede nel concepimento verginale di Gesù ha incontrato, e incontra ancora oggi, vivace opposizione, sarcasmi o incomprensione da parte dei non-credenti.
Il senso di questo avvenimento è accessibile soltanto alla fede, la quale lo vede in rapporto ai misteri di Cristo, dalla sua incarnazione alla sua pasqua. Sant'Ignazio di Antiochia già testimonia tale legame: « Rimase nascosta al principe di questo mondo la verginità di Maria e il suo parto, come pure la morte del Signore: tre misteri sublimi che si compirono nel silenzio di Dio».


Maria «sempre Vergine»

L'approfondimento della fede nella maternità verginale ha condotto la Chiesa a confessare la verginità reale e perpetua di Maria anche nel parto del Figlio di Dio fatto uomo. Infatti la nascita di Cristo « non ha diminuito la sua verginale integrità, ma l'ha consacrata ». (7) La liturgia della Chiesa celebra Maria come la “Aeipartheos”, « sempre Vergine ». (8)

A ciò si obietta talvolta che la Scrittura parla di fratelli e di sorelle di Gesù. La Chiesa ha sempre ritenuto che tali passi non indichino altri figli della Vergine Maria: infatti Giacomo e Giuseppe, « fratelli di Gesù » (Mt 13,55), sono i figli di una Maria discepola di Cristo (9), la quale è designata in modo significativo come « l'altra Maria » (Mt 28,1). Si tratta di parenti prossimi di Gesù.

Gesù è l'unico Figlio di Maria. Ma la maternità spirituale di Maria si estende a tutti gli uomini che egli è venuto a salvare: « Ella ha dato alla luce un Figlio, che Dio ha fatto "il primogenito di una moltitudine di fratelli" (Rm 8,29), cioè dei fedeli, alla cui nascita e formazione ella coopera con amore di madre ».


La maternità verginale di Maria nel disegno di Dio

Lo sguardo della fede può scoprire, in connessione con l'insieme della Rivelazione, le ragioni misteriose per le quali Dio, nel suo progetto salvifico, ha voluto che suo Figlio nascesse da una Vergine. Queste ragioni riguardano tanto la persona e la missione redentrice di Cristo, quanto l'accettazione di tale missione da parte di Maria in favore di tutti gli uomini.

La verginità di Maria manifesta l'iniziativa assoluta di Dio nell'incarnazione. Gesù come Padre non ha che Dio. « La natura umana che egli ha assunto non l'ha mai separato dal Padre. [...] Per natura Figlio del Padre secondo la divinità, per natura Figlio della Madre secondo l'umanità, ma propriamente Figlio di Dio nelle sue due nature ». (10)
Gesù, il nuovo Adamo, inaugura con il suo concepimento verginale la nuova nascita dei figli di adozione nello Spirito Santo per la fede. « Come è possibile? » (Lc 1,34). La partecipazione alla vita divina non proviene « da sangue, né da volere di carne, né da volere di uomo, ma da Dio » (Gv 1,13). L'accoglienza di questa vita è verginale perché è interamente donata all'uomo dallo Spirito.
Maria è Vergine perché la sua verginità è il segno della sua fede che non era alterata da nessun dubbio e del suo totale abbandono alla volontà di Dio.
Maria è ad un tempo Vergine e Madre perché è la figura e la realizzazione più perfetta della Chiesa: « La Chiesa [...] per mezzo della Parola di Dio accolta con fedeltà diventa essa pure Madre, poiché con la predicazione e il Battesimo genera a una vita nuova e immortale i figli, concepiti ad opera dello Spirito Santo e nati da Dio. Essa è pure la vergine che custodisce integra e pura la fede data allo Sposo ». (11)
­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­

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NOTE

(1) Cfr. Gn 3,20

(2) Pio IX, Bolla Ineffabilis Deus

(3) LG 56

(4) LG 53

(5) LG 56

(6) Concilio Lateranense , 649

(7) LG 57

(8) LG 52

(9) Mt 27,56

(10) Concilio del Friuli, 796

(11) LG 64
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Re: Commento al Credo

Messaggioda GrisAdmi » dom dic 21, 2008 5:35 pm

APPENDICE

Lettura del dogma nell'ìconografia della Chiesa Ortodossa Russa.


L'Annunciazione

Immagine

"La fonte dell’incorruttibilità, nostro Signore Gesù Cristo, non è entrato nel mondo attraverso un matrimonio, al fine di mostrare tramite la modalità della sua incarnazione questo grande mistero e cioè che unicamente la purezza è capace di accogliere Dio quando si presenta per entrare. Infatti, ciò che si è compiuto nel corpo dell’inviolata vergine Maria a causa della perfetta divinità di Cristo la quale è rifulsa nella Vergine stessa, si compie anche in ogni anima che rimane vergine secondo lo spirito; non che il Signore si renda più presente corporalmente, ma viene ad abitare spiritualmente, introducendo con sé il Padre

(San Gregorio di Nissa, De Virginitate)

Prendiamo in considerazione un’antichissima icona dell’Annunciazione del XII secolo proveniente da un monastero della regione di Novgorod (estremo nord della Russia).
I due personaggi si presentano come monumentali su un fondo d’oro che rappresenta il mondo del divino. Ma che la scena si svolge sulla terra è indicato dalla pedana su cui sta Maria. L’angelo si presenta messaggero della divinità: si vede dalla postura; il viso e lo sguardo si impongono; infine le vesti rosse, bianche e dorate fanno riferimento al mondo di Dio.
Per netto contrasto la Vergine appare racchiusa in un atteggiamento di calma, avvolta nel manto rosso che ricopre l’abito blu. La testa inclinata esprime accoglienza ed ascolto. Gli occhi, molto grandi con gli angoli esterni leggermente reclinati verso il basso ne accentuano l’espressione di dolcezza, non guardano l’angelo ma sono fermi sulla visione interiore del mistero compiutosi. La mano destra, prima che arrivasse l’angelo era occupata a tessere (tiene in mano la spola). Ma l'atto del tessere ha anche significato simbolico: sta tessendo la storia della salvezza. All’arrivo dell’angelo ha cessato di lavorare e si è sollevata all’altezza del cuore, dove appare il Verbo incarnato. Ma il filo secondo i vangeli apocrifi ha anche un altro significato: serviva a Maria per tessere il velo color porpora che ricopriva l’Arca dell’Alleanza, prefigurando così l’umanità che la Madre avrebbe tessuto al Figlio.

La figura di Cristo fanciullo si presenta ieratica, in atto benedicente, chiaramente impregnata di divinità in modo da fugare ogni sospetto di una generazione secondo la carne. Maria, Vergine Madre, è divenuta la dimora del suo Signore concepito per opera dello Spirito.
La dimensione divina, o meglio trinitaria dell’avvenimento è rafforzata dalla presenza in alto, nella lunetta, della figura di Dio Padre su un trono sorretto dai serafini. Dalla sua mano parte un raggio, simbolo dello Spirito Santo, che si dirige verso il seno della Vergine.
Un testo liturgico di Andrea di Creta composto per i Vespri solenni dell’Annunciazione può aver ispirato la composizione di quest’icona: Ineffabile è la natura di questo annientamento; ineffabile è il modo di questa concezione. “Un angelo fa da servitore a questa meraviglia: il seno di una Vergine riceve il Figlio; lo Spirito Santo la ricopre della sua ombra; il Padre dall’alto dei cieli si compiace e questa unione si compie secondo una comune volontà”.


La Natività

Immagine

In questo capolavoro appartenente alla scuola di A.Rublev (XV sec.) si fondono in unità vari elementi narrativi: il modello principale riguarda la coppia madre-bambino. Fino al VI secolo Maria era raffigurata con il Bambino sulle ginocchia secondo l’insegnamento autorevole di S.Giovanni Crisostomo: “Lei stessa posò il Bambino nella mangiatoia, poi lo prese sulle ginocchia”. Atteggiamento che indicava ch’ella non aveva sofferto le doglie del parto riflettendo così la preoccupazione molto viva in quel periodo di affermarne la verginità perenne. Quando invece la verginità fisica non fu più oggetto di dubbio, Maria fu raffigurata distesa come le puerpere a sottolineare la concretezza umana dell’evento.
La scena del bagno del Bambino indica un duplice influsso: dal vangelo apocrifo di Matteo viene la figura della levatrice, quale testimone del parto verginale; il bagno del neonato era un elemento classico dell’iconografia pagana. Non essendovi però motivo di purificazione per il Verbo incarnato, il bagno prese il significato di prefigurazione del battesimo, e di conseguenza la vasca assume la forma di un fonte battesimale.
L’icona si presenta suddivisa in tre fasce orizzontali dove al centro sta la scena della Natività.
In quella inferiore sono raffigurati gli aspetti terreni dell’evento. A destra aspetti della realtà concreta: il bagno e la nutrice; a sinistra aspetti della sua estraneità alle leggi della generazione naturale: S.Giuseppe completamente staccato dalla coppia madre-bambino indica la sua non partecipazione alla concezione del bambino. Può anche esprimere la difficoltà del pensiero umano a entrare nel Mistero. Il personaggio che gli sta di fronte non si sa chi sia con certezza: potrebbe essere un personaggio della mitologia pagana oppure una personificazione del diavolo tentatore incaricato appunto di rendere difficile a Giuseppe l’abbandono al Mistero.
Nella fascia centrale compare la prima manifestazione del Verbo incarnato: agli angeli e ai pastori. Maria è al centro dell’icona e si presenta distesa nel riposo come ogni donna che ha da poco partorito. Allo stesso tempo si presenta come Madre di Dio, che il tappeto rosso intessuto d’oro incornicia in una mandorla di gloria. Il Bambino avvolto in fasce anticipa l’Uomo stretto nelle bende funerarie e deposto nel sepolcro. Infatti più che in una culla sembra essere deposto in una piccola bara. Il suo capo si trova sull’asse verticale dell’icona indicato dal Raggio divino. Proprio attorno a questo piccolo Figlio dell’uomo si scatenerà la grande battaglia che s’intravede alle sue spalle: la grotta tenebrosa. Però essendo posto sull’Asse del mondo ne è la realtà salvifica decisiva.
Le figure tradizionali del bue e dell’asino (che qui è un cavallo perché in Russia l’asino era sconosciuto), illuminate, simboleggiano quella “creazione che attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio” (Rm 8,19) e che già ha riconosciuto nel Bambino il Creatore e Salvatore.
Infine nella fascia superiore è rappresentata la manifestazione (epifania) del Signore ai Magi, che in Oriente è celebrata insieme alla festa della Natività. La Stella è il segno della presenza di Dio. Gli angeli sono in adorazione mentre i Magi che rappresentano coloro che si recano a Betlemme, sembrano invece dirigersi verso l’alto, fuori dal tempo, verso il raggio divino, attirati dalla sua luce.
La terra da cui si eleva la montagna si protende verso la Stella. Il movimento abbraccia la grotta oscura ed è potenziato dalla diagonale rosso fuoco della Madre che, in forte contrasto con il nero della grotta, sembra ardere dall’interno come una grande fiamma tranquilla.
Dall’alto la luce rimbalza sulle rocce in cascate trasparenti; fa scintillare tronchi e rami: è il preludio della nuova creazione trasfigurata dal Verbo incarnato.
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Re: Commento al Credo

Messaggioda GrisAdmi » dom dic 21, 2008 5:45 pm

PATI’ SOTTO PONZIO PILATO
FU CROCIFISSO, MORI’ E FU SEPOLTO
DISCESE AGLI INFERI



PATI’ SOTTO PONZIO PILATO, FU CROCIFISSO

La Chiesa resta fedele all'“interpretazione di tutte le Scritture” data da Gesù stesso sia prima, sia dopo la sua Pasqua: “Non bisognava che il Cristo sopportasse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?” (Lc 24,26-27; Lc 24,44-45). Le sofferenze di Gesù hanno preso la loro forma storica concreta dal fatto che egli è stato “riprovato dagli anziani, dai sommi sacerdoti e dagli scribi” (Mc 8,31), i quali lo hanno consegnato “ai pagani” perché fosse “schernito e flagellato e crocifisso” (Mt 20,19).
La fede può dunque cercare di indagare le circostanze della morte di Gesù, fedelmente riferite dai Vangeli e illuminate da altre fonti storiche, al fine di una migliore comprensione del senso della Redenzione.


Gli Ebrei non sono collettivamente responsabili della morte di Gesù.

Tenendo conto della complessità storica del processo di Gesù espressa nei racconti evangelici, e quale possa essere il peccato personale dei protagonisti del processo (Giuda, il Sinedrio, Pilato), che Dio solo conosce, non si può attribuirne la responsabilità all'insieme degli Ebrei di Gerusalemme, malgrado le grida di una folla manipolata [Cf Mc 15,11] e i rimproveri collettivi contenuti negli appelli alla conversione dopo la Pentecoste [Cf At 2,36; At 3,13-14; At 4,10; 597 At 5,30; At 7,52; At 10,39; At 13,27-28; 1Ts 2,14-15 ]. Pietro, sull’esempio di Gesù che sulla croce chiede al Padre il perdono dei suoi assassini ‘perché non sanno quello che fanno’, riconosce l'“ignoranza” (At 3,17) degli Ebrei di Gerusalemme ed anche dei loro capi. 
Nel Concilio Vaticano II la Chiesa ha dichiarato: “Quanto è stato commesso durante la Passione non può essere imputato né indistintamente a tutti gli Ebrei allora viventi, né agli Ebrei del nostro tempo. . . Gli Ebrei non devono essere presentati né come rigettati da Dio, né come maledetti, come se ciò scaturisse dalla Sacra Scrittura” [Conc. Ecum. Vat. II, Nostra aetate, 4].


Tutti i peccatori furono gli autori della Passione di Cristo

La Chiesa, nel magistero della sua fede e nella testimonianza dei suoi santi, non ha mai dimenticato che “ogni singolo peccatore è realmente causa e strumento delle. sofferenze” del divino Redentore [Catechismo Romano, 1, 5, 11; cf Eb 12,3 ]. Tenendo conto del fatto che i nostri peccati offendono Cristo stesso, [Cf Mt 25,45; At 9,4-5 ] la Chiesa non esita ad imputare ai cristiani la responsabilità più grave nel supplizio di Gesù, responsabilità che troppo spesso essi hanno fatto ricadere unicamente sugli Ebrei. 
È chiaro che più gravemente colpevoli sono coloro che più spesso ricadono nel peccato. Se infatti le nostre colpe hanno tratto Cristo al supplizio della croce, coloro che si immergono nell'iniquità crocifiggono nuovamente, per quanto sta in loro, il Figlio di Dio e lo scherniscono [Cf Eb 6,6 ] con un delitto ben più grave in loro che non negli Ebrei. Questi infatti - afferma san Paolo non avrebbero crocifisso Gesù se lo avessero conosciuto come re divino [Cf 1Cor 2,8 ].
”E neppure i demoni lo crocifissero, ma sei stato tu con essi a crocifiggerlo, e ancora lo crocifiggi, quando ti diletti nei vizi e nei peccati” [San Francesco d'Assisi, Admonitio, 5, 3].
 

MORI’ …


La morte redentrice di Cristo nel disegno divino della salvezza


“Gesù consegnato secondo il disegno prestabilito di Dio”

La morte violenta di Gesù non è stata frutto del caso in un concorso sfavorevole di circostanze. Essa appartiene al mistero del disegno di Dio, come spiega san Pietro agli Ebrei di Gerusalemme fin dal suo primo discorso di Pentecoste: “Egli fu consegnato a voi secondo il prestabilito disegno e la prescienza di Dio” (At 2,23). Questo linguaggio biblico non significa che quelli che hanno “consegnato” Gesù (At 3,13) siano stati solo esecutori passivi di una vicenda scritta in precedenza da Dio. Egli stabilì dunque il suo disegno eterno di “predestinazione” includendovi la risposta libera di ogni uomo alla sua grazia.
Dio ha permesso che Erode, Ponzio Pilato, con le genti e i popoli d'Israele commettessero quegli atti derivati dal loro accecamento [Cf Mt 26,54; Gv 18,36; Gv 19,11 ] al fine di compiere il suo disegno di salvezza [Cf At 3,17-18 ]. 


“Dio l'ha fatto peccato per noi”

I peccati degli uomini, conseguenti al peccato originale, sono sanzionati dalla morte [Cf Rm 5,12; 1Cor 15,56 ]. Inviando il suo proprio Figlio nella condizione di servo, [Cf Fil 2,7 ] quella di una umanità decaduta e votata alla morte a causa del peccato, [Cf Rm 8,3 ] “colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo trattò da peccato in nostro favore, perché noi potessimo diventare per mezzo di lui giustizia di Dio” (2Cor 5,21).
Gesù non ha conosciuto la riprovazione come se egli stesso avesse peccato [Cf Gv 8,46 ], ma nell'amore redentore che sempre lo univa al Padre, [Cf Gv 8,29 ] egli ci ha assunto nella nostra separazione da Dio a causa del peccato al punto da poter dire a nome nostro sulla croce: “Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato?” (Mc 15,34; 603 Sal 22,2). 
 

Dio ha l'iniziativa dell'amore redentore universale

Nel consegnare suo Figlio per i nostri peccati, Dio manifesta che il suo disegno su di noi è un disegno di amore benevolo che precede ogni merito da parte nostra. “In questo sta l'amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati” (1Gv 4,10) [Cf 1Gv 4,19 ]. “Dio dimostra il suo amore verso di noi, perché mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi” (Rm 5,8).
Questo amore è senza esclusioni. La Chiesa, seguendo gli Apostoli, [Cf 2Cor 5,15; 1Gv 2,2) insegna che Cristo è morto per tutti senza eccezioni: “Non vi è, non vi è stato, non vi sarà alcun uomo per il quale Cristo non abbia sofferto” (Concilio di Quierzy (853)).
Questo desiderio di abbracciare il disegno di amore redentore del Padre suo anima tutta la vita di Gesù [Cf Lc 12,50; Lc 22,15; Mt 16,21-23] perché la sua Passione redentrice è la ragion d'essere della sua Incarnazione: “Padre, salvami da quest'ora? Ma per questo sono giunto a quest'ora!” (Gv 12,27). “Non devo forse bere il calice che il Padre mi ha dato?” (Gv 18,11).


Gesù sostituisce la sua obbedienza alla nostra disobbedienza

“Come per la disobbedienza di uno solo tutti sono stati costituiti peccatori, così anche per l'obbedienza di uno solo tutti saranno costituiti giusti” ( Rm 5,19). Con la sua obbedienza fino alla morte, Gesù ha compiuto la sostituzione del Servo sofferente che offre “se stesso in espiazione ”, mentre porta “il peccato di molti”, e li giustifica addossandosi “la loro iniquità” [Cf Is 53,10-12 ]. Gesù ha riparato per i nostri errori e dato soddisfazione al Padre per i nostri peccati [Cf. Concilio di Trento: Denz. -Schönm., 1529].
“Sua sanctissima passione in ligno crucis nobis justificationem meruit - La sua santissima passione sul legno della croce ci meritò la giustificazione”, insegna il Concilio di Trento, [Denz.1529] sottolineando il carattere unico del sacrificio di Cristo come “causa di salvezza eterna” (Eb 5,9). E la Chiesa venera la croce cantando: “O crux, ave, spes unica - Ave, o croce, unica speranza”.
 

La nostra partecipazione al sacrificio di Cristo

La croce è l'unico sacrificio di Cristo, che è il solo “mediatore tra Dio e gli uomini” (1Tm 2,5). Ma, poiché nella sua Persona divina incarnata, “si è unito in certo modo ad ogni uomo”, egli offre “a tutti la possibilità di venire in contatto, nel modo che Dio conosce, con il mistero pasquale” [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 22]. Egli chiama i suoi discepoli a prendere la loro croce e a seguirlo. Infatti egli vuole associare al suo sacrificio redentore quelli stessi che ne sono i primi beneficiari [Cf Mc 10,39; Gv 21,18-19; Col 1,24].


… E FU SEPOLTO.

Nel suo disegno di salvezza, Dio ha disposto che il Figlio suo non solamente morisse “per i nostri peccati” (1Cor 15,3) ma anche “provasse la morte”, ossia conoscesse lo stato di morte, lo stato di separazione tra la sua anima e il suo Corpo per il tempo compreso tra il momento in cui egli è spirato sulla croce e il momento in cui è risuscitato. Questo stato di Cristo morto è il Mistero del sepolcro e della discesa agli inferi. È il Mistero del Sabato Santo in cui Cristo deposto nel sepolcro [Cf Gv 19,42 ] manifesta il grande riposo sabbatico di Dio [Cf Eb 4,4-9 ].


Cristo nel sepolcro con il suo Corpo

Dio [il Figlio] non ha impedito che la morte separasse l'anima dal corpo, come naturalmente avviene, ma egli li ha di nuovo ricongiunti l'uno all'altra con la Risurrezione, al fine di essere lui stesso, nella sua Persona, il punto d'incontro della morte e della vita arrestando in sé la decomposizione della natura causata dalla morte e divenendo lui stesso principio di riunione per le parti separate [San Gregorio di Nissa, Oratio catechetica, 16: PG 45, 52B].
La morte di Cristo è stata una vera morte in quanto ha messo fine alla sua esistenza umana terrena. Ma a causa dell'unione che la Persona del Figlio ha mantenuto con il suo Corpo, non si è trattato di uno spogliamento mortale come gli altri, perché “non era possibile che” la morte “lo tenesse in suo potere” [At 2,24].


DISCESE AGLI INFERI

Le frequenti affermazioni del Nuovo Testamento secondo le quali Gesù “è risuscitato dai morti” (At 3,15; Rm 8,11; 1Cor 15,20) presuppongono che, preliminarmente alla Risurrezione, egli abbia dimorato nel soggiorno dei morti [Cf Eb 13,20 ]. È il senso primo che la predicazione apostolica ha dato alla discesa di Gesù agli inferi: Gesù ha conosciuto la morte come tutti gli uomini e li ha raggiunti con la sua anima nella dimora dei morti. Ma egli vi è disceso come Salvatore, proclamando la Buona Novella agli spiriti che vi si trovavano prigionieri [Cf 1Pt 3,18-19 ].
La Scrittura chiama inferi, shéol o ade [Cf Fil 2,10; At 2,24; Ap 1,18; Ef 4,9 ] il soggiorno dei morti dove Cristo morto è disceso, perché quelli che vi si trovano sono privati della visione di Dio [Cf Sal 6,6; Sal 88,11-13 ]. Tale infatti è, nell'attesa del Redentore, la sorte di tutti i morti, cattivi o giusti; [Cf Sal 89,49; 633 1Sam 28,19; Ez 32,17-32 ]. “Furono appunto le anime di questi giusti in attesa del Cristo a essere liberate da Gesù disceso all'inferno” [Catechismo Romano, 1, 6, 3]. Gesù non è disceso agli inferi per liberare i dannati [Cf Concilio di Roma (745),ma per liberare i giusti che l'avevano preceduto.
La discesa agli inferi è il pieno compimento dell'annunzio evangelico della salvezza. È la fase ultima della missione messianica di Gesù, fase condensata nel tempo ma immensamente ampia nel suo reale significato di estensione dell'opera redentrice a tutti gli uomini di tutti i tempi e di tutti i luoghi, perché tutti coloro i quali sono salvati sono stati resi partecipi della Redenzione.

Oggi sulla terra c'è grande silenzio, grande silenzio e solitudine. Grande silenzio perché il Re dorme: la terra è rimasta sbigottita e tace perché il Dio fatto carne si è addormentato ed ha svegliato coloro che da secoli dormivano. . . Egli va a cercare il primo padre, come la pecora smarrita. Egli vuole scendere a visitare quelli che siedono nelle tenebre e nell'ombra di morte. Dio e il Figlio suo vanno a liberare dalle sofferenze Adamo ed Eva, che si trovano in prigione. . . “Io sono il tuo Dio, che per te sono diventato tuo figlio. Svegliati, tu che dormi! Infatti non ti ho creato perché rimanessi prigioniero nell'inferno. Risorgi dai morti. Io sono la Vita dei morti” .

[Da un'antica “Omelia sul Sabato Santo”: PG 43, 440A. 452C, cf Liturgia delle Ore, II, Ufficio delle letture del Sabato Santo].
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Re: Commento al Credo

Messaggioda GrisAdmi » dom dic 21, 2008 6:58 pm

IL TERZO GIORNO RISUSCITO' DA MORTE;
SALI' AL CIELO, SIEDE ALLA DESTRA DEL PADRE ONNIPOTENTE;
DI LA' VERRA' PER GIUDICARE I VIVI E I MORTI



L TERZO GIORNO RISUSCITO' DAI MORTI

Noi vi annunziamo la Buona Novella che la promessa fatta ai padri si è compiuta, poiché Dio l'ha attuata per noi, loro figli, risuscitando Gesù” (At 13,32-33). La Risurrezione di Gesù è la verità culminante della nostra fede in Cristo, creduta e vissuta come verità centrale dalla prima comunità cristiana, trasmessa come fondamentale dalla Tradizione, stabilita dai documenti del Nuovo Testamento, predicata come parte essenziale del Mistero pasquale insieme con la croce: 
Cristo è risuscitato dai morti. Con la sua morte ha vinto la morte, Ai morti ha dato la vita [Liturgia bizantina, Tropario di Pasqua].


L'avvenimento storico e trascendente

Il mistero della Risurrezione di Cristo è un avvenimento reale che ha avuto manifestazioni storicamente constatate, come attesta il Nuovo Testamento. Già verso l'anno 56 san Paolo può scrivere ai cristiani di Corinto: “Vi ho trasmesso dunque, anzitutto, quello che anch'io ho ricevuto: che cioè Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture, fu sepolto ed è risuscitato il terzo giorno secondo le Scritture, e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici” (1Cor 15,3-4).
  

Il sepolcro vuoto

“Perché cercate tra i morti colui che è vivo? Non è qui, è risuscitato” (Lc 24,5-6). Nel quadro degli avvenimenti di Pasqua, il primo elemento che si incontra è il sepolcro vuoto. Non è in sé una prova diretta. L'assenza del corpo di Cristo nella tomba potrebbe spiegarsi altrimenti [Cf .Gv 20,13; Mt 28,11-15]. Malgrado ciò, il sepolcro vuoto ha costituito per tutti un segno essenziale. La sua scoperta da parte dei discepoli è stato il primo passo verso il riconoscimento dell'evento della Risurrezione. Dapprima è il caso delle pie donne, [Cf. Lc 24,3; Lc 24,22-23 ] poi di Pietro [Cf. Lc 24,12]. “Il discepolo... che Gesù amava” (Gv 20,2) afferma che, entrando nella tomba vuota e scorgendo “le bende per terra” (Gv 20,6), “vide e credette” (Gv 20,8). Ciò suppone che egli abbia constatato, dallo stato in cui si trovava il sepolcro vuoto, [Cf. Gv 20,5-7 ] che l'assenza del corpo di Gesù non poteva essere opera umana e che Gesù non era semplicemente ritornato ad una vita terrena come era avvenuto per Lazzaro [Cf. Gv 11,44 ].


Le apparizioni del Risorto

Maria di Magdala e le pie donne che andavano a completare l'imbalsamazione del Corpo di Gesù, sepolto in fretta la sera del Venerdì Santo a causa del sopraggiungere del Sabato, [Cf .Gv 19,31; Gv 19,42] sono state le prime ad incontrare il Risorto [Cf. Mt 28,9-10; Gv 20,11-18]. Le donne furono così le prime messaggere della Risurrezione di Cristo per gli stessi Apostoli [Cf. Lc 24,9-10]. A loro Gesù appare in seguito: prima a Pietro, poi ai Dodici [Cf.1Cor 15,5 ]. Pietro, chiamato a confermare la fede dei suoi fratelli, [Cf. Lc 22,31-32] vede dunque il Risorto prima di loro ed è sulla sua testimonianza che la comunità esclama: “Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone” (Lc 24,34).
Tutto ciò che è accaduto in quelle giornate pasquali impegna ciascuno degli Apostoli - e Pietro in modo del tutto particolare - nella costruzione dell'era nuova che ha inizio con il mattino di Pasqua. Come testimoni del Risorto essi rimangono le pietre di fondazione della sua Chiesa. La fede della prima comunità dei credenti è fondata quindi sulla testimonianza di uomini concreti, conosciuti dai cristiani e, nella maggior parte, ancora vivi in mezzo a loro. Questi testimoni della Risurrezione di Cristo [Cf.At 1,22] sono prima di tutto Pietro e i Dodici, ma non solamente loro: Paolo riferisce chiaramente di più di cinquecento persone alle quali Gesù è apparso in una sola volta, oltre che a Giacomo e a tutti gli Apostoli [Cf.Cor 15,4-8].
Davanti a queste testimonianze è impossibile interpretare la Risurrezione di Cristo senza riconoscerla come un avvenimento storico. Risulta dai fatti che la fede dei discepoli è stata sottoposta alla prova radicale della passione e della morte in croce del loro Maestro che aveva lui stesso preannunziata [Cf. Lc 22,31-32]. Lo sconcerto provocato dalla passione fu così grande che i discepoli (almeno alcuni di loro) non credettero subito alla notizia della Risurrezione. I Vangeli non ci presentano una comunità presa da una esaltazione mistica, quanto piuttosto i discepoli in preda ad un evidente smarrimento [Avevano il “volto triste”:Lc 24,17 ] e spaventati, [Cf.Gv 20,19]. Si sono rifiutati di credere alle pie donne che tornavano dal sepolcro, tanto che “quelle parole parvero loro come un vaneggiamento” (Lc 24,11; Cf. Mc 16,11; Mc 16,13). Ed è Gesù stesso quando si manifesta agli Undici la sera di Pasqua che li rimprovera “per la loro incredulità e durezza di cuore, perché non avevano creduto a quelli che lo avevano visto risuscitato” (Mc 16,14). Tuttavia, anche messi davanti alla realtà di Gesù risuscitato, i discepoli dubitano ancora, [Cf. Lc 24,38] tanto la cosa appare loro impossibile: credono di vedere un fantasma [Cf. Lc 24,39]. “Per la grande gioia ancora non credevano ed erano stupefatti” (Lc 24,41). Tommaso conobbe la medesima prova del dubbio [Cf.Gv 20,24-27] e, quando vi fu l'ultima apparizione in Galilea riferita da Matteo, “alcuni dubitavano” (Mt 28,17). Per tutte queste numerose testimonianze, l'ipotesi secondo cui la Risurrezione sarebbe stata un “prodotto” della fede (o della credulità) degli Apostoli, non ha fondamento. Al contrario, la loro fede nella Risurrezione è nata - sotto l'azione della grazia divina - dall'esperienza diretta della realtà di Gesù Risorto.


Lo stato dell'umanità di Cristo risuscitata

Gesù risorto stabilisce con i suoi discepoli rapporti diretti, attraverso il contatto [Cf. Lc 24,39; Gv 20,27] e la condivisione del pasto [Cf. Lc 24,30; Lc 24,41-43; Gv 21,9; Gv 21,13-15]. Li invita a riconoscere da questi contatti che egli non è un fantasma, [Cf. Lc 24,39] ma soprattutto a constatare che il corpo risuscitato con il quale si presenta a loro è il medesimo che è stato martoriato e crocifisso, poiché porta ancora i segni della passione [Cf. Lc 24,40; Gv 20,20; Gv 20,27 ]. Questo corpo autentico e reale possiede però al tempo stesso le proprietà nuove di un corpo glorioso; esso non è più situato nello spazio e nel tempo, ma può rendersi presente a suo modo dove e quando vuole, [Cf. Mt 28,9; Mt 28,16-17; Lc 24,15; Lc 24,36; Gv 20,14; Gv 20,19; Gv 20,26; Gv 21,4] poiché la sua umanità non può più essere trattenuta sulla terra essendo ormai appartenente alla sfera divina del Padre [Cf.Gv 20,17]. Anche per questa ragione Gesù risorto è libero di apparire come vuole: sotto l'aspetto di un giardiniere [Cf.Gv 20,14-15] o sotto altre sembianze, [Cf. Mc 16,12] che erano familiari ai discepoli, e ciò per suscitare la loro fede [Cf. Gv 20,14; Gv 20,16; Gv 21,4; Gv 20,7].
 

La Risurrezione come evento trascendente

“O notte - canta l'“Exultet” di Pasqua - tu solo hai meritato di conoscere il tempo e l'ora in cui Cristo è risorto dagli inferi”. Infatti, nessuno è stato testimone oculare dell'avvenimento stesso della Risurrezione e nessun evangelista lo descrive. Nessuno ha potuto dire come essa sia avvenuta fisicamente. Ancor meno fu percettibile ai sensi la sua essenza più intima, il passaggio ad un'altra vita. Avvenimento storico constatabile attraverso il segno del sepolcro vuoto e la realtà degli incontri degli Apostoli con Cristo risorto, la Risurrezione resta in ciò in cui trascende e supera la storia, al cuore del Mistero della fede. Per questo motivo Cristo risorto non si manifesta al mondo, ma ai suoi discepoli, [Cf. Gv 14,22] “a quelli che erano saliti con lui dalla Galilea a Gerusalemme”, i quali “ora sono i suoi testimoni davanti al popolo” (At 13,31).


Senso e portata salvifica della Risurrezione

“Se Cristo non è risuscitato, allora è vana la nostra predicazione e vana anche la vostra fede” (Cor 15,14). La Risurrezione costituisce anzitutto la conferma di tutto ciò che Cristo stesso ha fatto e insegnato. Tutte le verità, anche le più inaccessibili allo spirito umano, trovano la loro giustificazione se, risorgendo, Cristo ha dato la prova definitiva, che aveva promesso, della sua autorità divina.
La verità della divinità di Gesù è confermata dalla sua Risurrezione. Egli aveva detto: “Quando avrete innalzato il Figlio dell'uomo, allora saprete che Io Sono” (Gv 8,28). La Risurrezione del Crocifisso dimostrò che egli era veramente “Io Sono”, il Figlio di Dio e Dio egli stesso.
Vi è un duplice aspetto nel Mistero pasquale: con la sua morte Cristo ci libera dal peccato, con la sua Risurrezione ci dà accesso ad una nuova vita. Questa è dapprima la giustificazione che ci mette nuovamente nella grazia di Dio [Cf. Rm 4,25] “perché, come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova” (Rm 6,4). Essa consiste nella vittoria sulla morte del peccato e nella nuova partecipazione alla grazia [Cf. Ef 2,4-5; 1Pt 1,3]. Essa poi compie l'adozione filiale poiché gli uomini diventano fratelli di Cristo, come Gesù stesso chiama i suoi discepoli dopo la sua Risurrezione: “Andate ad annunziare ai miei fratelli” (Mt.28,10; Gv 20,17). Fratelli non per natura, ma per dono della grazia, perché questa filiazione adottiva procura una reale partecipazione alla vita del Figlio unico, la quale si è pienamente rivelata nella sua Risurrezione.
Infine, la Risurrezione di Cristo - e lo stesso Cristo risorto - è principio e sorgente della nostra risurrezione futura: “Cristo è risuscitato dai morti, primizia di coloro che sono morti. . . e come tutti muoiono in Adamo, così tutti riceveranno la vita in Cristo” (1Cor 15,20-22). Nell'attesa di questo compimento, Cristo risuscitato vive nel cuore dei suoi fedeli. “Egli è morto per tutti, perché quelli che vivono non vivano più per se stessi, ma per colui che è morto e risuscitato per loro” (2Cor 5,15).


GESU' SALI' AL CIELO, SIEDE ALLA DESTRA DI DIO PADRE ONNIPOTENTE

Salì al Cielo

“Il Signore Gesù, dopo aver parlato con loro, fu assunto in cielo e sedette alla destra di Dio” (Mc 16,19). Il Corpo di Cristo è stato glorificato fin dall'istante della sua Risurrezione, come lo provano le proprietà nuove e soprannaturali di cui ormai gode in modo permanente [Cf. Lc 24,31; Gv 20,19; Gv 20,26]. Ma durante i quaranta giorni nei quali egli mangia e beve familiarmente con i suoi discepoli [Cf. At 10,41] e li istruisce sul Regno, [Cf. At 1,3] la sua gloria resta ancora velata sotto i tratti di una umanità ordinaria [Cf. Mc 16,12; Lc 24,15; Gv 20,14-15; Gv 21,4 ]. L'ultima apparizione di Gesù termina con l'entrata irreversibile della sua umanità nella gloria divina simbolizzata dalla nube [Cf.At 1,9; cf. anche Lc 9,34-35] e dal cielo [Cf. Lc 24,51] ove egli siede ormai alla destra di Dio [Cf. Mc 16,19; At 2,33; At 7,56]. 
Quest'ultima tappa rimane strettamente unita alla prima, cioè alla discesa dal cielo realizzata nell'Incarnazione. Solo colui che è “uscito dal Padre” può far ritorno al Padre: Cristo [Cf. Gv 16,28]. “Nessuno è mai salito al cielo fuorché il Figlio dell'uomo che è disceso dal cielo” (Gv 3,13) [Cf. Ef 4,8-10]. 


Siede alla destra del Padre

Cristo, ormai, siede alla destra del Padre. “Per destra del Padre si intende la gloria e l'onore della divinità, ove colui che esisteva come Figlio di Dio prima di tutti i secoli come Dio e della stessa sostanza del Padre, s'è assiso corporalmente dopo che si è incarnato e la sua carne è stata glorificata” [San Giovanni Damasceno, De fide orthodoxa, 4, 2, 2: PG 94, 1104D].
L'essere assiso alla destra del Padre significa l'inaugurazione del regno del Messia, compimento della visione del profeta Daniele riguardante il Figlio dell'uomo: “ [Il Vegliardo] gli diede potere, gloria e regno; tutti i popoli, nazioni e lingue lo servivano; il suo potere è un potere eterno, che non tramonta mai, e il suo regno è tale che non sarà mai distrutto” (Dn 7,14). 


DI LA' VERRA' A GIUDICARE I VIVI E I MORTI
 
In linea con i profeti [Cf. Mt 3] e Giovanni Battista, [Cf. Mc 12,38-40] Gesù ha annunziato nella sua predicazione il Giudizio dell'ultimo Giorno. Allora saranno messi in luce la condotta di ciascuno [Cf. Lc 12,1-3; Gv 3,20-21; Rm 2,16; 1Cor 4,5 ] e il segreto dei cuori [Cf. Mt 11,20-24; Mt 12,41-42 ]. Allora verrà condannata l'incredulità colpevole, che non ha tenuto in alcun conto la grazia offerta da Dio. Sarà l'atteggiamento verso il prossimo a rivelare l'accoglienza o il rifiuto della grazia e dell'amore divino [Cf. Mt 5,22; Mt 7,1-5]. Gesù dirà nell'ultimo giorno: “Ogni volta che avete fatto queste cose ad uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me” (Mt 25,40).
Cristo è Signore della vita eterna. Il pieno diritto di giudicare definitivamente le opere e i cuori degli uomini appartiene a lui in quanto Redentore del mondo. Egli ha “acquisito” questo diritto con la sua croce. Anche il Padre “ha rimesso ogni giudizio al Figlio” (Gv 5,22) [Cf. Gv 5,27; Mt 25,31; At 10,42; At 17,31; 2Tm 4,1]. Ora, il Figlio non è venuto per giudicare, ma per salvare [Cf. Gv 3,17] e per donare la vita che è in lui [Cf. Gv 5,26]. È per il rifiuto della grazia nella vita presente che ognuno si giudica già da se stesso, [Cf. Gv 3,18; Gv 12,48] riceve secondo le sue opere [Cf. 1Cor 3,12-15] e può anche condannarsi per l'eternità rifiutando lo Spirito d'amore [Cf. Mt 12,32; Eb 6,4-6; Eb 10,26-31].
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Re: Commento al Credo

Messaggioda GrisAdmi » dom dic 21, 2008 7:29 pm

CREDO NELLO SPIRITO SANTO


Conduce e ridesta alla fede

“Nessuno può dire "Gesù è Signore" se non sotto l'azione dello Spirito Santo” (1Cor 12,3). “Dio ha mandato nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio che grida: Abbà, Padre!” (Gal 4,6). Questa conoscenza di fede è possibile solo nello Spirito Santo. Per essere in contatto con Cristo, bisogna dapprima essere stati toccati dallo Spirito Santo. È lui che ci precede e suscita in noi la fede. In forza del nostro Battesimo, primo sacramento della fede, la Vita, che ha la sua sorgente nel Padre e ci è offerta nel Figlio, ci viene comunicata intimamente e personalmente dallo Spirito Santo nella Chiesa.
Lo Spirito Santo con la sua grazia è il primo nel destare la nostra fede e nel suscitare la vita nuova che consiste nel conoscere il Padre e colui che ha mandato, Gesù Cristo [Cf. Gv 17,3]. Tuttavia è l'ultimo nella rivelazione delle Persone della Santa Trinità.
San Gregorio Nazianzeno, spiega questa progressione introducendo l’espressione “pedagogia della condiscendenza” divina:

L'Antico Testamento proclamava chiaramente il Padre, più oscuramente il Figlio. Il Nuovo ha manifestato il Figlio, ha fatto intravvedere la divinità dello Spirito. Ora lo Spirito ha diritto di cittadinanza in mezzo a noi e ci accorda una visione più chiara di se stesso. Infatti non era prudente, quando non si professava ancora la divinità del Padre, proclamare apertamente il Figlio e, quando non era ancora ammessa la divinità del Figlio, aggiungere lo Spirito Santo come un fardello supplementare, per usare un'espressione un po' ardita. . . Solo attraverso un cammino di avanzamento e di progressso di gloria in gloria”, la luce della Trinità sfolgorerà in più brillante trasparenza ” (1)

“I segreti di Dio nessuno li ha mai potuti conoscere se non lo Spirito di Dio” (1Cor 2,11). Ora, il suo Spirito, che lo rivela, ci fa conoscere Cristo, suo Verbo, sua Parola vivente. Colui che “ha parlato per mezzo dei profeti” ci fa udire la Parola del Padre. Lui, però, non lo sentiamo in modo diretto. Lo possiamo conoscere nel movimento in cui ci rivela il Verbo (Parola) e ci dispone ad accoglierlo nella fede. Lo Spirito di Verità che ci svela Cristo non parla da sé [Cf. Gv 16,13]. Questo chiarisce il motivo per cui “il mondo non può ricevere” lo Spirito, “perché non lo vede e non lo conosce”, mentre coloro che credono in Cristo lo conoscono perché “dimora” presso di loro [Cf. Gv 14,17].


Si fa conoscere nella Chiesa

La Chiesa, comunione vivente nella fede degli Apostoli che essa trasmette, è il luogo della nostra conoscenza dello Spirito Santo:

- nelle Scritture, che egli ha ispirato;
- nella Tradizione di cui i Padri della Chiesa sono sono i testimoni sempre attuali;
- nel Magistero della Chiesa che egli assiste;
- nella Liturgia sacramentale, attraverso le sue parole e i suoi simboli, in cui lo Spirito Santo ci mette in comunione con Cristo;
- nella preghiera, nella quale intercede per noi;
- nei carismi e nei ministeri che edificano la Chiesa;
- nei segni di vita apostolica e missionaria;
- nella testimonianza dei santi, in cui egli manifesta la sua santità e continua l'opera della salvezza.


Gli appellativi dello Spirito Santo

Gesù, quando annunzia e promette la venuta dello Spirito Santo, lo chiama “Paraclito”, letteralmente: “Colui che è chiamato vicino”, “ad-vocatus” (Gv 14,16; Gv 14,26; Gv 15,26; Gv 16,7). “Paraclito” che viene abitualmente tradotto “Consolatore”, essendo Gesù il primo consolatore [Cf. 1Gv 2,1 ].
Il Signore stesso chiama lo Spirito Santo anche “Spirito di verità” (Gv 16,13). (2)

I simboli dello Spirito Santo

L'acqua. Il simbolismo dell'acqua significa l'azione dello Spirito Santo nel Battesimo, poiché dopo l'invocazione dello Spirito Santo, essa diviene il segno sacramentale efficace della nuova nascita: come la gestazione della nostra prima nascita si è operata nell'acqua, allo stesso modo l'acqua battesimale significa realmente che la nostra nascita alla vita divina ci è donata nello Spirito Santo. Maoltre che “battezzati in un solo Spirito”, noi “ci siamo” anche “abbeverati a un solo Spirito” (1Cor 12,13). Lo Spirito, dunque, è anche l'acqua viva che scaturisce da Cristo crocifisso come dalla sua sorgente [Cf. Gv 19,34; 1Gv 5,8] e che in noi zampilla per la Vita eterna [Cf. Gv 4,10-14; Gv 7,38; Es 17,1-6; Is 55,1; 1Cor 10,4; Ap 21,6; Ap 22,17].

L'unzione. Il simbolismo dell'unzione con l'olio è talmente significativa dello Spirito Santo da divenirne addirittura il sinonimo [Cf. 1Gv 2,20; 1Gv 2,27; 2Cor 1,21]. Nell'iniziazione cristiana essa è il segno sacramentale della Confermazione, chiamata giustamente nelle Chiese d'Oriente “Crismazione”. Ma per coglierne tutta la forza, bisogna rifarsi sempre alla prima unzione compiuta dallo Spirito Santo: quella di Gesù.
Cristo [“Messia”, in ebraico] significa “Unto” dallo Spirito di Dio.

Il fuoco. Mentre l'acqua significava la nascita e la fecondità della Vita donata nello Spirito Santo, il fuoco simbolizza l'energia trasformante degli atti dello Spirito Santo. Il profeta Elia, che “sorse simile al fuoco” e la cui “parola bruciava come fiaccola” (Sir 48,1), con la sua preghiera attira il fuoco del cielo sul sacrificio del monte Carmelo, [Cf. 1Re 18,38-39] pre-figura del fuoco dello Spirito Santo che trasforma ciò che tocca. Giovanni Battista, che cammina innanzi al Signore “con lo spirito e la forza di Elia” (Lc 1,17) annunzia Cristo come colui che “battezzerà in Spirito Santo e fuoco” (Lc 3,16), quello Spirito di cui Gesù dirà: “Sono venuto a portare il fuoco sulla terra; e come vorrei che fosse già acceso!” (Lc 12,49). È sotto la forma di “lingue come di fuoco” che lo Spirito Santo si posa sui discepoli il mattino di Pentecoste e li riempie di sé (At 2,3-4). La tradizione spirituale riterrà il simbolismo del fuoco come uno dei più espressivi dell'azione dello Spirito Santo [Cf. San Giovanni della Croce, Fiamma viva d'amore].

La nube e la luce. Questi due simboli sono inseparabili nelle manifestazioni dello Spirito Santo. Fin dalle teofanie dell'Antico Testamento, la Nube, ora oscura, ora luminosa, rivela il Dio vivente e salvatore, velando la trascendenza della sua Gloria: con Mosè sul monte Sinai, [Cf. Es 24,15-18] e durante il cammino nel deserto; [Cf. Es 40,36-38].
Queste figure sono portate a compimento da Cristo nello Spirito Santo. È questi che scende sulla Vergine Maria e su di lei stende la “sua ombra”, affinché ella concepisca e dia alla luce Gesù [Cf. Lc 1,35]. Sulla montagna della Trasfigurazione è lui che viene nella nube che avvolge Gesù, Mosè e Elia, Pietro, Giacomo e Giovanni, e “dalla nube” esce una voce che dice: “Questi è il mio Figlio, l'eletto; ascoltatelo” (Lc 9,34-35). Infine, è la stessa Nube che sottrae Gesù allo sguardo dei discepoli il giorno dell'Ascensione [Cf. At 1,9 ] e che lo rivelerà Figlio dell'uomo nella sua gloria il giorno della sua venuta [Cf. Lc 21,27 ].

La mano. Imponendo le mani Gesù guarisce i malati [Cf. Mc 6,5; Mc 8,23 ] e benedice i bambini [Cf. Mc 10,16 ]. Nel suo Nome, gli Apostoli compiranno gli stessi gesti [Cf. Mc 16,18; At 5,12; At 14,3]. Ancor di più, è mediante l'imposizione delle mani da parte degli Apostoli che viene donato lo Spirito Santo [Cf. At 8,17-19; At 13,3; At 19,6 ].
La Chiesa ha conservato questo segno dell'effusione onnipotente dello Spirito Santo nelle epiclesi sacramentali.

Il dito. “Con il dito di Dio” Gesù scaccia “i demoni” (Lc 11,20). Se la Legge di Dio è stata scritta su tavole di pietra “dal dito di Dio” (Es 31,18), “la lettera di Cristo”, affidata alle cure degli Apostoli, è “scritta con lo Spirito del Dio vivente, non su tavole di pietra, ma sulle tavole di carne dei cuori” (2Cor 3,3). L'inno “Veni, Creator Spiritus” invoca lo Spirito Santo come “digitus paternae dexterae - dito della destra del Padre”.

La colomba. Quando Cristo risale dall'acqua del suo battesimo, lo Spirito Santo, sotto forma di colomba, scende su di lui e in lui rimane [Cf. Mt 3,16]. Per analogia lo Spirito scende e prende dimora nel cuore purificato dei battezzati.
In alcune chiese, la santa Riserva eucaristica è conservata in una custodia metallica a forma di colomba (il columbarium) appeso al di sopra dell'altare. Il simbolo della colomba per indicare lo Spirito Santo è tradizionale nell'iconografia cristiana.


Lo Spirito e la Parola di Dio nel tempo delle promesse (Primo Testamento)

Dalle origini fino alla “pienezza del tempo” (Gal 4,4), la missione congiunta del Verbo e dello Spirito del Padre rimane nascosta, ma è all'opera. Lo Spirito di Dio va preparando il tempo del Messia, e l'uno e l'altro, pur non essendo ancora pienamente rivelati, vi sono già promessi, affinché siano attesi e accolti al momento della loro manifestazione. Per questo, quando la Chiesa legge l'Antico Testamento, [Cf. 2Cor 3,14] vi cerca [Cf. Gv 5,39; Gv 5,46] ciò che lo Spirito, “che ha parlato per mezzo dei profeti”, vuole dirci di Cristo.


Lo Spirito di Cristo nella pienezza del tempo (Nuovo Testamento)

Tutta la missione del Figlio e dello Spirito Santo nella pienezza del tempo è racchiusa nel fatto che il Figlio è l'Unto dello Spirito del Padre dal momento dell'Incarnazione: Gesù è Cristo, il Messia.
Tutto il secondo articolo del Simbolo della fede deve essere letto in questa luce. L'intera opera di Cristo è missione congiunta del Figlio e dello Spirito Santo. Qui si menzionerà soltanto ciò che concerne la promessa dello Spirito Santo da parte di Gesù e il dono dello Spirito da parte del Signore glorificato.
Gesù rivela in pienezza lo Spirito Santo solo dopo che è stato egli stesso glorificato con la sua Morte e Risurrezione. Tuttavia, lo lascia gradualmente intravvedere anche nel suo insegnamento alle folle, quando ad esempio rivela che la sua carne sarà cibo per la vita del mondo [Cf. Gv 6,27; Gv 6,51; Gv 6,62-63], alla donna samaritana (cfr. Gv 4,7-24).
Ai suoi discepoli invece ne parla apertamente a proposito della preghiera [Cf. Lc 11,13 ] e della testimonianza che dovranno dare [Cf.Mt 10,19-20].
Tuttavia è solo quando giunge l'Ora in cui sarà glorificato, che Gesù promette la venuta dello Spirito Santo, poiché la sua Morte e la sua Risurrezione saranno il compimento della Promessa fatta ai Padri: [Cf. Gv 14,16-17; Gv 14,26; Gv 15,26; Gv 16,7-15;] lo Spirito di verità, l'altro Paraclito, sarà donato dal Padre per la preghiera di Gesù; sarà mandato dal Padre nel nome di Gesù; Gesù lo invierà quando sarà presso il Padre, perché è uscito dal Padre. Lo Spirito Santo verrà, noi lo conosceremo, sarà con noi per sempre, dimorerà con noi; ci insegnerà ogni cosa e ci ricorderà tutto ciò che Cristo ci ha detto e gli renderà testimonianza; ci condurrà alla verità tutta intera e glorificherà Cristo; convincerà il mondo quanto al peccato, alla giustizia e al giudizio.
Infine viene l'Ora di Gesù: [Cf.Gv 13,1; Gv 17,1] Gesù consegna il suo spirito nelle mani del Padre [Cf. Lc 23,46; Gv 19,30] nel momento in cui con la sua morte vince la morte, in modo che, “risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre”, egli dona subito lo Spirito Santo “alitando” sui suoi discepoli [Cf. Gv 20,22 ]. A partire da questa Ora, la missione di Cristo e dello Spirito diviene la missione della Chiesa: “Come il Padre ha mandato me, anch'io mando voi” (Gv 20,21) (3)


Lo Spirito nella Pentecoste

Il giorno di Pentecoste (al termine delle sette settimane pasquali), la Pasqua di Cristo si compie nell'effusione dello Spirito Santo, che è manifestato, donato e comunicato come Persona divina: dalla sua pienezza, Cristo, Signore, effonde a profusione lo Spirito [Cf. At 2,33-36]. In questo giorno è pienamente rivelata la Trinità Santa. Da questo giorno, il Regno annunziato da Cristo è aperto a coloro che credono in lui: nell'umiltà della carne e nella fede, essi partecipano già alla comunione della Trinità Santa. Con la sua venuta, che non ha fine, lo Spirito Santo introduce il mondo negli “ultimi tempi”, il tempo della Chiesa, il Regno già ereditato, ma non ancora compiuto. (4)

Abbiamo visto la vera Luce, abbiamo ricevuto lo Spirito celeste, abbiamo trovato la vera fede: adoriamo la Trinità indivisibile, perché ci ha salvati [Liturgia bizantina, Tropario dei Vespri di Pentecoste].


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NOTE

(1) San Gregorio Nazianzeno, Orationes theologicae, 5, 26: PG 36, 161C

(2) Vedi anche CCC n.693

(3) Cf.Mt 28,19; Lc 24,47-48; At 1,8

(4) Per approfondire gli aspetti dello Spirito Santo nella vita del crede si può leggere il CCC dal n. 733 al 741
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Re: Commento al Credo

Messaggioda GrisAdmi » dom dic 21, 2008 7:46 pm

CREDO LA CHIESA CATTOLICA


Dono di Dio

La Chiesa – popolo di Dio in cammino – non nasce da interessi umani o dallo slancio di qualche cuore generoso, ma è dono dall’alto, frutto quindi dell’iniziativa divina. E’ stata pensata da sempre all’interno del disegno del Padre, il quale l’ha preparata attraverso la lunga storia dell’Alleanza con il popolo d’Israele, perché fosse compiuta e realizzata pienamente grazie alla missione del Figlio e all’effusione dello Spirito santo.
Opera di Dio, e non dell’uomo, la Chiesa è nella sua natura più profonda, inaccessibile a uno sguardo puramente umano: è un mistero. Racchiude in se elementi divini ed elementi umani.


Immagine della vita Trinitaria – Sacramento di salvezza

Originata dalla Trinità, si presenta come immagine, icona della Trinità stessa, cioè immagine vivente della comunione del Dio Amore. E’ sacramento di salvezza del Dio amore. La categoria di sacramento, che precede quella di sacramenti (al plurale), significa una realtà invisibile, divina, che agisce attraverso dei segni visibili: i sacramenti della Chiesa appunto.
Mediante il Battesimo nel nome della Trinità lo Spirito unisce a Cristo nuovi figli e li arricchisce dei doni (o carismi), che il Padre ha preparato per ciascuno di loro. La varietà dei carismi esprime l’unità, fondata nell’unico Spirito, e vive nella corresponsabilità a immagine del dialogo tra Padre, Figlio e Spirito.
La crescita di questa vita trinitaria e la piena realizzazione della comunione trovano alimento: nell’ascolto fedele, non occasionale, della Parola di Dio; dalla partecipazione all’Eucarestia;
dal sacramento della Confermazione, che sigilla la maturità del battezzato-testimone;
dal sacramento del Perdono, che rimette i peccati commessi dopo il battesimo;
dal sacramento dell’Ordine, che configura a Cristo Sacerdote e Pastore;
da quello del Matrimonio, che fai dei due il sacramento vivente delle nozze tra Cristo e la Chiesa;
e dal sacramento dell’Unzione degli infermi, che li sostiene e li aiuta a rendersi partecipi della sofferenza di Cristo Redentore.

La Chiesa, in quanto segno e strumento privilegiato dell’opera dello Spirito nella storia, è il sacramento di Cristo, così come Cristo è il sacramento di Dio.


Culmine e fonte della vita ecclesiale
l’Eucarestia fa la Chiesa


Questa totale sacramentalità della Chiesa si esprime nella forma più alta nella celebrazione dell’eucarestia.: culmine e fonte di tutta la vita ecclesiale: memoriale della Pasqua, cioè riattualizzazione di essa nella diversità dei luoghi. Attraverso di essa gli uomini si riconciliano con Dio e fra di loro: fanno la Chiesa.


Chiesa locale

La Chiesa eucaristica è anzitutto Chiesa locale, cioè un’assemblea che celebra in uno spazio e in un tempo definiti; sotto la presidenza del Vescovo. Questa Chiesa locale è già Chiesa in pienezza, cattolica (kath’olou=in pienezza), perché è una e santa nell’unico Corpo di Cristo eucaristico e nell’unico Spirito, ed apostolica nella fedeltà al mandato da Gesù affidato ai suoi: “Fate questo in memoria di me”.


Chiesa universale

Lo stesso Cristo e lo stesso Spirito fondano poi la comunione di ciascuna Chiesa locale con tutte le altre nella comunione universale delle Chiese. Così nell’unica Chiesa universale ogni Chiesa locale riconosce ogni altra Chiesa eucaristica come se stessa, perché riconosce in essa l’unico Signore presente nel suo Spirito e nel Suo Corpo .


La Chiesa fa l’eucarestia

La celebrazione è possibile soltanto attraverso una dimensione ministeriale pluriforme. Infatti la parola non può essere proclamata se non c’è chi l’annunci; il memoriale della Pasqua non è celebrato se non c’è chi lo faccia in obbedienza al mandato del Signore. La Chiesa tutta è impegnata nel triplice compito: profetico – sacerdotale – regale. Compito che deriva dal medesimo e uno battesimo.


La Chiesa espressione di carismi diversi: ministerialità

L’esercizio battesimale, secondo i doni diversi che lo Spirito elargisce ad ognuno, si attua nei diversi ministeri, che sono carismi legati ad un incarico, configurati in forma di un servizio reso nella e per la Chiesa.
La ministerialità della Chiesa si esprime anzitutto nei ministeri ordinati: questi derivano dal sacramento dell’ordine - sono stati tramandati dagli Apostoli e dai loro successori (successione apostolica) – e costituiscono la gerarchia ecclesiastica (vescovi, presbiteri, diaconi).


La gerarchia ecclesiastica

Si tratta del ministero di chi, in forza del carisma ricevuto con l’ordinazione: annuncia la Parola, celebra “nella persona di Cristo Capo” il sacrificio, discerne e coordina i carismi, esprimendo e servendo l’unità del Corpo che è la Chiesa. Il carisma del ministero ordinato è pertanto anzitutto quello di discernere e coordinare i carismi, e viene esercitato mediante l’azione profetica, sacerdotale e pastorale, dal Vescovo per tutta la Chiesa locale, dal presbitero per il campo d’azione che il Vescovo gli affida. Egli infine è il segno e il servo dell’unità della Chiesa locale, realizzata dallo Spirito nell’eucarestia: lo è all’interno della Chiesa locale, e lo è nel rapporto con le altre Chiese, a loro volta espresse dai rispettivi Vescovi. In un grado inferiore stanno i diaconi, ai quali sono imposte le mani non per il sacerdozio ma il servizio. Loro specifica competenza è l’assistenza dei Vescovi e dei presbiteri nelle celebrazioni liturgiche, specialmente nell’Eucarestia. Possono assistere e benedire il matrimonio, proclamare il vangelo e predicare; presiedere ai funerali e dedicarsi ai vari servizi della carità.
La comunione delle Chiese è così manifestata e servita dalla collegialità dei loro Vescovi, ed è strutturata intorno al ministero di unità del Vescovo di Roma; la Chiesa che presiede nell’amore. Il Vescovo romano, il Papa, è nella Chiesa universale il servo dell’unità di tutti i fratelli. Essere in comunione con il Vescovo della Chiesa di Roma è, per i singoli cristiani e per le Chiese, criterio ultimo alla comunione cattolica


Ministerialità laicale

I ministeri ordinati non esauriscono però la ministerialità della Chiesa: dal momento che tutti hanno ricevuto lo Spirito, tutti hanno il dovere di donarlo. Ciò avviene mediante una molteplicità di servizi, che possono essere temporanei o prolungati nel tempo; tutti esercitati mettendo a disposizione degli altri i doni ricevuti. Qualche esempio concreto: i teologi, i catechisti, i genitori-educatori primi alla fede. Il servizio all’altare, l’offerta delle proprie sofferenze da parte degli ammalati. Chi assume una responsabilità nell’ambito pastorale, chi si impegna nella politica, chi nel sociale, ecc.


Chiesa Santa e peccatrice

La comunione ecclesiale, che deriva dal Padre, per Cristo, nello Spirito, e costituita nella sua unità e diversità dei doni e dei servizi ad immagine della comunione trinitaria (santità), tende a sua volta verso l’origine da cui è venuta: nello Spirito, per Cristo, essa è in cammino verso il Padre.
Ogni presunzione di essere arrivati va sempre posta in discussione: la Chiesa è sempre chiamata a continua purificazione (peccatrice) e ad incessante rinnovamento, inappagata da qualsiasi conquista umana.
Ed è in nome della sua meta più grande, che essa dovrà essere ‘sovversiva’ e critica verso tutte le parziali realizzazioni di questo mondo: presente in ogni situazione umana, solidale con il povero e con l’oppresso, non si identificherà mai con una delle speranze della storia. Si tratta di assumere contemporaneamente le speranze umane e di verificarle al vaglio della Risurrezione, che da una parte sostiene ogni impegno autentico di liberazione dell’uomo, dall’altra contesta ogni assolutizzazione di mete terrene.
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