Eucaristia & devozionismo

Si suppone la conoscenza della Dottrina Cattolica in linea di massima. Qui si dà spazio al chiarimento di punti che rimanessero lacunosi per alcuni utenti.

Moderatore: berescitte

Eucaristia & devozionismo

Messaggioda bestap » mar ago 12, 2008 10:52 pm

Con la presente intendo far porre l'attenzione su comportamenti che nel tempo rischiano di creare notevoli nei fedeli difficoltà nel riconoscere palesemente il criterio del Cristianesimo: Gesù, Dio-Salva.
Quanto vado a scrivere si riferisce particolarmente a due interviste proposte da due quotidiani: la repubblica e l'osservatore romano rispettivamente del 31-8-2008 e 26-06-2008 allegate in calce.
Ambedue si soffermano sulla necessità di ricevere la comunione dal papa in ginocchio, motivata peraltro con criteri teologici evidentemente sbagliati.
Chi ha voglia di riprendere in mano i testi poi si sbizzarrirà a trarne le proprie conclusioni, ma il criterio che ne deriva dalle testimonianze di tertulliano, cipriano e cirillo di Gerusalemme ci induce a dover comprendere che il rito della comunione nella prassi per almeno i primi setto o otto secoli fu quello di una certa autonomia del comunicante. Ossia, ricevere il pane consacrato sulle mani e il vino bevendo al calice o con una canula. addirittura, non si fa menzione della posizione da assumere, ma di stare in ginocchio se ne comincia a parlare non prima del X secolo.

Questo ci dice che quanto affermato da monsignor Malcom Ranjith (intervista la repubblica) e monsignor Guido Marini (intervista dell'Osservatore Romano) di tornare ad un " senso del sacro soprattutto nella celebrazione
eucaristica. Perché noi crediamo che quanto succede sull' altare vada molto oltre quanto noi possiamo umanamente immaginare. E quindi .la fede della Chiesa nella presenza reale di Cristo nelle specie eucaristiche va espressa attraverso gesti adeguati e comportamenti diversi da quellidella quotidianità» altro non esprime nei termini a più riprese illustrati di porsi in ginocchio davanti all'eucaristia data dal papa, e solo dal papa, ecco il vero punto discordante, ad un ritorno al devozionismo in piena regola!

Le epoche alle quali si riferisce il gesto di inginocchiarsi davanti la comunione, sono le epoche in cui si credeva che un'eventuale mano sporca potesse "desacralizzare" l'ostia, ma non solo quella del fedele, addirittura quella del sacerdote stesso.
Al fatto poi di ricevere la comunione in ginocchio dal papa, si aggiungono le due candele, segno della presenza di Cristo; Giusto, ma perchè le candele solo dal papa, il Cristo che porta l'ultimo dei diaconi o peggio degli accoliti vale di meno?
Proviamo ad interrogarci in questi termini e non ricercare le banalità del devozionismo. Per quelle bastiamo noi cerimonieri che già ne dobbiamo fronteggiare molte :D

Invito poi a leggere le incongruenze apparse nell'intervista di mons. Marini, il pallio inteso come veste liturgica e non come insegna; le insegne del vescovo hanno una precisa funzione e tra queste c'è quella del pallio, tuttavia si fa riferimento a una necessità di abolire dei meri tradizionalismi per invece riaffermarsi con riti d'antiquariato d.o.c. solo con il rischio di confondere le idee.

Comunque di fatto c'è che il rischio di confusione esiste ed è palese, anche perchè seppure fosse il papa a dare la comunione il fedele secondo il concilio vaticano II ha diritto a riceverla sulla mano, ma si capisca ancor meglio che la problematica non è questa ma quella di dare idea di un Cristo di serie A e uno di serie B perchè dato da un prete di campagna invece che da sua santità.
invito alla riflessione!

PERCHÉ RATZINGER RECUPERA IL SACRO
di Marco Politi
Intervista a monsignor Malcom Ranjith
Il segnale è stato inequivocabile. Prima il Corpus Domini a Roma poi lo si è visto in mondovisione
a Sidney. Benedetto XVI esige che davanti a lui la comunione venga ricevuta in ginocchio. E uno
dei tanti recuperi di questo pontificato: il latino la messa tridentina la celebrazione con le spalle
rivolte ai fedeli.
Papa Ratzinger ha un disegno e lo srilankese monsignor Màlcolm Ranjith che il pontefice ha voluto
con sé in Vaticano come segretario della Congregazione per il Culto lo delinea con efficacia.
L' attenzione alla liturgia spiega ha l' obiettivo di un' «apertura al trascendente». Su richiesta del
pontefice preannuncia Ranjithl a Congregazione per il Culto sta preparando un Compendio
Eucaristico per aiutare i sacerdoti a «disporsi bene per la celebrazione e l' adorazione eucaristica».
La comunione in ginocchio va in questa direzione?
«Nella liturgia si sente la necessità di ritrovare il senso del sacro soprattutto nella celebrazione
eucaristica. Perché noi crediamo che quanto succede sull' altare vada molto oltre quanto noi
possiamo umanamente immaginare. E quindi .la fede della Chiesa nella presenza reale di Cristo
nelle specie eucaristiche va espressa attraverso gesti adeguati e comportamenti diversi da quelli
della quotidianità».
Marcando una discontinuità?...
Non siamo dinanzi ad un capo politico o un personaggio della società moderna ma davanti a Dio.
Quando sull' altare scende la presenza di Dio eterno dobbiamo metterci nella posizione più adatta
per adorarlo. Nella mia cultura nello Sri Lanka dovremmo prostrarci con la testa sul pavimento
come fanno i buddisti e i musulmani in preghiera».
L' ostia nella mano sminuisce il senso di trascendenza dell' eucaristia?
«In un certo senso sì. Espone il comunicante a sentirla quasi come un pane normale. Il Santo
Padre parla spesso della necessità di salvaguardare il senso dell'aI-di-là nella liturgia in ogni sua
espressione. Il gesto di prendere l'ostia sacra e metterla noi stessi in bocca e non riceverla riduce il
profondo significato della comunione».
Si vuole contrastare una banalizzazione della messa?
«In alcuni luoghi si è perso quel senso di eterno sacro o di celeste. C' è stata la tendenza a mettere
l' uomo al centro della celebrazione e non il Signore. Ma il Concilio Vaticano Il parla chiaramente
della liturgia come actio Dei actio Christi. Invece in certi circoli liturgici vuoi per ideologia vuoi
per un certo intellettualismo si è diffusa l' idea di una liturgia adattabile a varie situazioni in cui si
debba far spazio alla creatività perché sia accessibile e accettabile a tutti. Poi magari c' è chi ha
introdotto innovazioni senza nemmeno rispettare il sensus fidei e i sentimenti spirituali dei fedeli».
A volte anche vescovi impugnano il microfono e vanno verso l' uditorio con domande e risposte.
Il pericolo moderno è che il sacerdote pensi di essere lui al centro dell 'azione. Così il rito può
assumere l' aspetto di un teatro o della performance di un presentatore televisivo. Il celebrante vede
la gente che guarda a lui come punto di riferimento e c' è il rischio che per avere più successo
possibile con il pubblico inventi gesti ed espressioni facendo da protagonista».
Quale sarebbe l' atteggiamento giusto?
«Quando il sacerdote sa di non essere lui al centro ma Cristo. Rispettare in umile servizio al
Signore e alla Chiesa la liturgia e le sue regole come qualcosa di ricevuto e non di inventato.
significa lasciare più spazio al Signore perché attraverso lo strumento del sacerdote possa
stimolare la coscienza dei fedeli».
Sono deviazione anche le omelie pronunciate dai laici?
«Sì. Perché l' omelia come dice il Santo Padre è il modo con cui la Rivelazione e la grande
tradizione della Chiesa viene spiegata affinché la Parola di Dio ispiri la vita dei fedeli nelle loro
scelte quotidiane e renda la celebrazione liturgica ricca di frutti spirituali. E la tradizione liturgica
della Chiesa riserva l' omelia al celebrante. Ai Vescovi ai sacerdoti e ai diaconi. Ma non ai laici».
Assolutamente no?
«Non perché loro non siano capaci di fare una riflessione ma perché nella liturgia i ruoli vanno
rispettati. Esiste come diceva il Concilio una differenza "in essenza e non solo in grado" tra il
sacerdozio comune di tutti i battezzati e quello dei sacerdoti".
Già il cardinale Ratzinger lamentava nei riti la perdita del senso del mistero.
«Spesso la riforma conciliare è stata interpretata o considerata in modo non del tutto conforme
alla mente del Vaticano II. Il Santo Padre definisce questa tendenza l' antispirito del Concilio».
A un anno dalla piena reintroduzione della messa tridentina qual è il bilancio?
«La messa tridentina ha al suo interno valori molto profondi che rispecchiano tutta la tradizione
della Chiesa. C' è più rispetto verso il sacro attraverso i gesti le genuflessioni i silenzi. C' è più
spazio riservato alla riflessione sull' azione del Signore e anche alla personale devozionalità del
celebrante che offre il sacrificio non solo per i fedeli ma per i propri peccati e la propria salvezza.
Alcuni elementi importanti del vecchio rito potranno aiutare anche la riflessione sul modo di
celebrare il Novus ordo. Siamo all' interno di un cammino».
Un domani vede un rito che prenda il meglio del vecchio e del nuovo?
«Può darsi... io forse non lo vedrò. Penso che nei prossimi decenni si andrà verso una valutazione
complessiva sia del rito antico che del nuovosalvaguardando quanto di eterno e soprannaturale
avviene sull'altare e riducendo ogni protagonismo per lasciare spazio al contatto effettivo tra il
fedele e il Signore attraverso la figura non predominante del sacerdote».
Con posizioni alternate del celebrante? Quando il sacerdote sarebbe rivolto verso l'abside?
«Si potrebbe pensare all'offertorioquando le offerte vengono portate al Signoree di là sino alla
fine della preghiera eucaristicache rappresenta il momento culminante della "trans-substantiatio"
e la "communio"».
Disorienta i fedeli il prete che volge le spalle?
«E sbagliato dire così. Al contrarioinsieme al popolo si rivolge al Signore. Il Santo Padre nel
suo libro Lo spirito del Concilio .ha spiegato che quando ci si siede attornoguardando ognuno la
faccia dell'altrosi forma un circolo chiuso. Ma quando il sacerdote e i fedeli insieme guardano
l'Orienteverso il Signore che vieneè un modo di aprirsi all'eterno".
In questa visione si inserisce anche il recupero del latino?
«Non mi piace la parola recuperare. Realizziamo il Concilio Vaticano Ilche afferma
esplicitamente che l'uso della lingua latinasalvo un diritto particolaresia conservato nei riti latini.
Dunqueanche se è stato dato spazio all'introduzione delle lingue vernacolariil latino non va
abbandonato completamente. L'uso di una lingua sacra è tradizione in .tutto il mondo.
Nell'Induismo la lingua di preghiera è il sanscritoche non è più in uso. Nel Buddismo si usa il
Palilingua che oggi solo i monaci buddisti studiano. Nell'Islain si impiega l'arabo del Corano.
L'uso di una lingua sacra. ci aiuta a vivere la sensazione dell'al-di-là».
Il latino come lingua sacra nella Chiesa?
«Certo. Il Santo Padre stesso ne parla nell' esortazione apostolica Sacrarnentum Caritatis al
paragrafo 62: "Per meglio esprimere l'unità e l'universalità della Chiesa vorrei raccomandare
quanto suggerito dal Sinodo dei vescovi in sintonia con le direttive del Concilio Vaticano II.
Eccettuate le letturel'omelia e la preghiera dei fedeliè bene che tali celebrazioni siano in lingua
latina". Benintesodurante incontri internazionali».
Ridando forza alla liturgiadove Vuole arrivare Benedetto XVI?
«Il Papa vuole offrire la possibilità d'accesso alla meraviglia della vita in Cristouna vita che
pur vivendola qui sulla terra già ci fa sentire la libertà e l'eternità dei figli di Dio. E una tale
esperienza si vive fortemente attraverso un autentico rinnovamento della fede quale presuppone il
pregustare delle realtà celesti nella liturgia che si credesi celebra e si vive. La Chiesa èe deve
diventarelo strumento valido e la via per questa esperienza liberante. È la sua liturgia quella che
la rende capace di stimolare tale esperienza nei suo i fedeli».
Da La Repubblica – Giovedì 31 luglio 2008

Il pallio papale
tra continuità e sviluppo

di Gianluca Biccini

Dal 29 giugno cambia il pallio indossato da Benedetto XVI per le solenni celebrazioni liturgiche. Quello che il Papa adopererà per la messa dei santi Pietro e Paolo sarà a forma circolare chiusa, con i due capi che pendono nel mezzo del petto e del dorso. La foggia risulterà più larga e più lunga, mentre sarà conservato il colore rosso delle croci che lo adornano. "Si tratta dello sviluppo della forma del pallio latino utilizzato fino a Giovanni Paolo ii" spiega il maestro delle Celebrazioni Liturgiche Pontificie, monsignor Guido Marini, che illustra motivazioni storiche e liturgiche della nuova insegna in questa intervista a "L'Osservatore Romano".

Quali sono gli elementi di continuità e quelli di innovazione rispetto al passato?

Alla luce di attenti studi, in merito allo sviluppo del pallio nel corso dei secoli, sembra che si possa affermare che il pallio lungo e incrociato sulla spalla sinistra non è stato più portato in Occidente a partire dal ix secolo. Infatti, il dipinto presente nel Sacro Speco di Subiaco, risalente al 1219 circa e raffigurante Papa Innocenzo iii con questo tipo di pallio, pare un "arcaismo" consapevole. In questo senso l'uso del nuovo pallio intende venire incontro a due esigenze: anzitutto quella di sottolineare maggiormente il continuo sviluppo che nell'arco di oltre dodici secoli questa veste liturgica ha continuato ad avere; in secondo luogo quella di carattere pratico, in quanto il pallio usato da Benedetto XVI dall'inizio del pontificato ha comportato diversi e fastidiosi problemi da questo punto di vista.

Restano le differenze tra il pallio papale e quello che il Pontefice impone agli arcivescovi?

La differenza rimane anche nel pallio attuale. Quello che sarà indossato da Benedetto XVI a partire dalla solennità dei santi Pietro e Paolo riprende la forma del pallio usato fino a Giovanni Paolo ii, sebbene con foggia più larga e più lunga, e con il colore rosso delle croci. La differente forma del pallio papale rispetto a quello dei metropoliti mette in risalto la diversità di giurisdizione che dal pallio è significata.

Da alcuni mesi è cambiato anche il pastorale che il Papa adopera nelle celebrazioni. Quali sono le motivazioni di questa scelta?

Il pastorale dorato a forma di croce greca - appartenuto al beato Pio ix e usato per la prima volta da Benedetto XVI nella celebrazione della Domenica delle Palme di quest'anno - è ormai utilizzato costantemente dal Pontefice, che ha così ritenuto di sostituire quello argenteo sormontato dal crocifisso, introdotto da Paolo vi e utilizzato anche da Giovanni Paolo i, Giovanni Paolo ii e da lui stesso. Tale scelta non significa semplicemente un ritorno all'antico, ma testimonia uno sviluppo nella continuità, un radicamento nella tradizione che consente di procedere ordinatamente nel cammino della storia. Questo pastorale, denominato "ferula", risponde infatti in modo più fedele alla forma del pastorale papale tipico della tradizione romana, che è sempre stato a forma di croce e senza crocifisso, perlomeno da quando il pastorale è entrato nell'uso dei Romani Pontefici. Non bisogna poi dimenticare un elemento di praticità: la ferula di Pio ix risulta più leggera e maneggevole del pastorale introdotto da Paolo vi.

E il pastorale realizzato da Lello Scorzelli per Papa Montini a metà degli anni Sessanta?

Resta a disposizione della sagrestia pontificia, insieme a tanti oggetti appartenuti ai predecessori di Benedetto XVI.

Lo stesso discorso vale per la scelta dei paramenti indossati dal Papa nelle varie celebrazioni?

Anche in questo caso va detto che le vesti liturgiche adottate, come anche alcuni particolari del rito, intendono sottolineare la continuità della celebrazione liturgica attuale con quella che ha caratterizzato nel passato la vita della Chiesa. L'ermeneutica della continuità è sempre il criterio esatto per leggere il cammino della Chiesa nel tempo. Ciò vale anche per la liturgia. Come un Papa cita nei suoi documenti i Pontefici che lo hanno preceduto, in modo da indicare la continuità del magistero della Chiesa, così nell'ambito liturgico un Papa usa anche vesti liturgiche e suppellettili sacre dei Pontefici che lo hanno preceduto per indicare la stessa continuità anche nella lex orandi. Vorrei però far notare che il Papa non usa sempre abiti liturgici antichi. Ne indossa spesso di moderni. L'importante non è tanto l'antichità o la modernità, quanto la bellezza e la dignità, componenti importanti di ogni celebrazione liturgica.

Un esempio lo si ha nei viaggi in Italia e fuori Italia, dove i paramenti papali sono predisposti dalle Chiese locali.

Certamente. Basti pensare a quello negli Stati Uniti o a quello in Italia, prima a Genova e poi nel Salento. In entrambi i casi sono state le diocesi a predisporre le vesti liturgiche del Papa, in accordo con l'Ufficio delle Celebrazioni Liturgiche del Sommo Pontefice. Nella varietà degli stili e con attenzione a elementi caratteristici locali, il criterio adottato è stato quello della bellezza e della dignità, dimensioni tipiche dell'azione sacra che si compie nella celebrazione eucaristica.

A questo punto potrebbe anticiparci qualche particolare aspetto liturgico del prossimo viaggio internazionale?

Posso dire che il tempo della preparazione è stato molto fruttuoso e la collaborazione trovata in Australia molto cordiale e disponibile. Papa Benedetto XVI incontrerà ancora una volta i giovani di tutto il mondo e tutti preghiamo perché di nuovo questo incontro possa essere motivo di grande grazia per tutti, occasione per conoscere con più intensità il volto di Gesù e il volto della Chiesa, stimolo per una risposta pronta e generosa alla chiamata del Signore. L'augurio è che anche le celebrazioni liturgiche, preparate con cura e davvero partecipate perché vissute a partire dal cuore, siano occasioni privilegiate per l'accoglienza di questa grazia.

Che cosa ci può dire dell'alto trono papale, utilizzato in occasioni come il concistoro, e della croce ritornata al centro dell'altare?

Il cosiddetto trono, usato in particolari circostanze, vuole semplicemente mettere in risalto la presidenza liturgica del Papa, successore di Pietro e vicario di Cristo. Quanto alla posizione della croce al centro dell'altare, essa indica la centralità del crocifisso nella celebrazione eucaristica e l'orientamento esatto che tutta l'assemblea è chiamata ad avere durante la liturgia eucaristica: non ci si guarda, ma si guarda a Colui che è nato, morto e risorto per noi, il Salvatore. Dal Signore viene la salvezza, Lui è l'Oriente, il Sole che sorge a cui tutti dobbiamo rivolgere lo sguardo, da cui tutti dobbiamo accogliere il dono della grazia. La questione dell'orientamento liturgico nella celebrazione eucaristica, e il modo anche pratico in cui questo prende forma, ha grande importanza, perché con esso viene veicolato un fondamentale dato insieme teologico e antropologico, ecclesiologico e inerente la spiritualità personale.

È questo il criterio per capire anche la decisione di celebrare all'altare antico della Cappella Sistina, in occasione della festa del Battesimo del Signore?

Esattamente. Nelle circostanze in cui la celebrazione avviene secondo questa modalità, non si tratta tanto di volgere le spalle ai fedeli, quanto piuttosto di orientarsi insieme ai fedeli verso il Signore. Da questo punto di vista "non si chiude la porta all'assemblea", ma "si apre la porta all'assemblea" conducendola al Signore. Si possono verificare particolari circostanze nelle quali, a motivo delle condizioni artistiche del luogo sacro e della sua singolare bellezza e armonia, divenga auspicabile celebrare all'altare antico, dove tra l'altro si conserva l'esatto orientamento della celebrazione liturgica. Non ci si dovrebbe sorprendere: basta andare in San Pietro al mattino e vedere quanti sacerdoti celebrano secondo il rito ordinario scaturito dalla riforma liturgica, ma su altari tradizionali e dunque orientati come quello della Sistina.

Nella recente visita a Santa Maria di Leuca e Brindisi il Papa ha distribuito la comunione ai fedeli in bocca e in ginocchio. È una prassi destinata a diventare abituale nelle celebrazioni papali?

Penso proprio di sì. Al riguardo non bisogna dimenticare che la distribuzione della comunione sulla mano rimane tuttora, dal punto di vista giuridico, un indulto alla legge universale, concesso dalla Santa Sede a quelle conferenze episcopali che ne abbiano fatto richiesta. La modalità adottata da Benedetto XVI tende a sottolineare la vigenza della norma valida per tutta la Chiesa. In aggiunta si potrebbe forse vedere anche una preferenza per l'uso di tale modalità di distribuzione che, senza nulla togliere all'altra, meglio mette in luce la verità della presenza reale nell'Eucaristia, aiuta la devozione dei fedeli, introduce con più facilità al senso del mistero. Aspetti che, nel nostro tempo, pastoralmente parlando, è urgente sottolineare e recuperare.

Cosa risponde il maestro delle celebrazioni liturgiche a chi accusa Benedetto XVI di voler imporre così modelli preconciliari?

Anzitutto mi piace sottolineare l'adesione cordiale e convinta che si nota anche in merito al magistero liturgico del Santo Padre. Per quanto riguarda, poi, termini come "preconciliari" e "postconciliari" utilizzati da alcuni, mi pare che essi appartengano a un linguaggio ormai superato e, se usati con l'intento di indicare una discontinuità nel cammino della Chiesa, ritengo che siano errati e tipici di visioni ideologiche molto riduttive. Ci sono "cose antiche e cose nuove" che appartengono al tesoro della Chiesa di sempre e che come tali vanno considerate. Il saggio sa ritrovare nel suo tesoro le une e le altre, senza appellarsi ad altri criteri che non siano quelli evangelici ed ecclesiali. Non tutto ciò che è nuovo è vero, come d'altronde neppure lo è tutto ciò che è antico. La verità attraversa l'antico e il nuovo ed è a essa che dobbiamo tendere senza precomprensioni. La Chiesa vive secondo quella legge della continuità in virtù della quale conosce uno sviluppo radicato nella tradizione. Ciò che più importa è che tutto concorra perché la celebrazione liturgica sia davvero la celebrazione del mistero sacro, del Signore crocifisso e risorto che si fa presente nella sua Chiesa riattualizzando il mistero della salvezza e chiamandoci, nella logica di un'autentica e attiva partecipazione, a condividere fino alle estreme conseguenze la sua stessa vita, che è vita di dono di amore al Padre e ai fratelli, vita di santità.

Ancora oggi il motu proprio Summorum Pontificum, sull'uso della liturgia romana anteriore alla riforma effettuata nel 1970, sembra dare adito a interpretazioni contrastanti. Sono ipotizzabili celebrazioni presiedute dal Papa secondo la forma straordinaria, che è quella antica?

Si tratta di una domanda a cui non so dare risposta. Quanto al motu proprio citato, considerandolo con serena attenzione e senza visioni ideologiche, insieme alla lettera indirizzata dal Papa ai vescovi di tutto il mondo per presentarlo, risalta un duplice preciso intendimento. Anzitutto, quello di agevolare il conseguimento di "una riconciliazione nel seno della Chiesa"; e in questo senso, come è stato detto, il motu proprio è un bellissimo atto di amore verso l'unità della Chiesa. In secondo luogo - e questo è un dato da non dimenticare - il suo scopo è quello di favorire un reciproco arricchimento tra le due forme del rito romano: in modo tale, per esempio, che nella celebrazione secondo il messale di Paolo VI (che è la forma ordinaria del rito romano) "potrà manifestarsi in maniera più forte di quanto non lo è spesso finora, quella sacralità che attrae molti all'antico uso".
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