[Florilegio]: I controversisti cattolici della Controriforma

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[Florilegio]: I controversisti cattolici della Controriforma

Messaggioda polymetis » sab ott 15, 2011 5:18 pm

Cari amici, vi propongo alcune pagine di argomento storico scritte da colui che forse è il massimo cultore della filosofia scettica contemporanea, e cioè R. Popkin. Nel suo libro “Storia dello scetticismo” egli racconta di come, nel periodo della Controriforma, i controversisti cattolici usarono contro i protestanti argomenti tratti dalle opere degli antichi scettici greci, in particolare da Sesto Empirico. Il brano è veramente interessante, perché tratta del grande problema del “criterio”, cioè di quale sia la regola che permetta di stabilire qual è la verità e qual è la menzogna. Viene illustrato come i polemisti cattolici scaricarono contro i protestanti un vasto arsenale di argomentazioni scettiche al fine di mostrare come la fede riformata non avesse alcun valido criterio di verità. In particolare viene affrontata l’opera del controversista francese François Veron, e le sue critiche al criterio del Sola Scriptura. Siccome il capitolo che tratta questo argomento è di ben 21 pagine, ho fatto dei tagli per non appesantire troppo la lettura nel forum. Il testo è stato ottenuto tramite un OCR, e dunque, sebbene l’abbia riletto, può darsi mi sia sfuggito qualche errore di formattazione.

L’influsso del nuovo pirronismo

Tra la fine del Cinquecento e l’inizio del Seicento la rinascita dell’antico pirronismo ha lasciato il segno in diversi ambiti culturali.
(…)Esso esercitò un influsso particolarmente significativo nelle controversie teologiche, dove gli argomenti e le tesi dello scetticismo greco furono giudicate molto utili. L’arsenale del pirronismo si rivelò non solo un’eccellente fonte di argomentazioni da contrapporre ai propri oppositori, ma anche il fondamento di una teoria fideistica atta a giustificare le posizioni dei controriformatori francesi.
(…). In un’epoca di grandi controversie come questa, è facile immaginare quanto possa essere apparso utile lo stile argomentativo proposto da Sesto e dai suoi seguaci.
L’impiego del pirronismo come mezzo di distruzione dei propri avversari teologici e come strumento di difesa della propria fede è un tratto comune agli scritti di alcuni tra i maggiori esponenti della Controriforma francese. Il periodo di circa settantacinque anni seguito al concilio di Trento sembra caratterizzato dall’alleanza stretta tra controriformatori e nouveaux pyrrhoniens allo scopo di annientare la forza intellettuale del calvinismo francese. Il successo di questa entente cordiale va attribuito senz’altro al fatto che, nella Francia di questo periodo, la teologia cattolica è dominata per lo più da posizioni negative e agostiniane; più che a una sistematica e coerente difesa intellettuale della fede, si mirava ad attaccare la scolastica, il razionalismo e il calvinismo. Come vedremo, alla radice di tale alleanza c’era non tanto una temporanea convergenza di idee tra scettici e cattolici ortodossi quanto un insieme di rapporti improntati ad amicizia personale e a reciproca ammirazione.
Verso la metà del Cinquecento, le fortune del movimento calvinista in Francia conobbero una spinta notevolissima e in pochi anni il paese precipitò nella guerra civile sia sul piano militare che su quello intellettuale. Furono prese misure drastiche per evitare che le cittadelle del pensiero francese cadessero nelle mani dei riformatori. Una di tali misure consistette nel mettere il pirronismo al servizio della chiesa. Il primo passo in questa direzione è rappresentato dalla pubblicazione, nel 1569, di una versione latina degli scritti di Sesto Empirico per opera di un esponente di spicco del cattolicesimo francese, quel Gentian Hervet che era segretario del cardinale di Lorraine. Come si è detto, Hervet nella sua prefazione affermava arditamente che questa raccolta di dubbi aveva in sé la chiave di una risposta ai calvinisti e alle loro teorizzazioni sulla divinità. Hervet era convinto che distruggere con lo scetticismo ogni pretesa umana alla razionalità significava distruggere anche tutte le teorizzazioni dei calvinisti. Una volta denunciata l’inanità dei tentativi umani di comprendere Dio, sarebbe emerso con chiarezza il messaggio fideistico: non essendo in grado di conoscere Dio con la ragione, l’uomo può conoscerlo solo per fede.
Il consapevole disegno di Hervet - quello di impiegare il pirronismo per minare la teoria calvinistica e, poi, proporre il cattolicesimo su base fideistica - era destinato a diventare, implicitamente o esplicitamente, la posizione di molti tra i principali oppositori della Riforma in Francia. Adattando lo schema argomentativo degli scettici al dibattito in corso, i controriformatori misero a punto “una nuova macchina da guerra” intesa a ridurre i loro avversari a uno “scetticismo senza vie d’uscita” in cui non potessero esser certi di nulla. A partire dal grande teologo gesuita Juan Maldonat che incominciò ad insegnare a Parigi qualche anno dopo il 1560 (Maldonat era amico di Montaigne e di Hervet e, a quanto pare, condivideva le loro idee fideistiche), fu elaborato, grazie soprattutto ai polemisti gesuiti, un tipo di dialettica capace di abbattere le fondamenta stesse del calvinismo, facendo leva su tutta una serie di difficoltà scettiche. Questo stile argomentativo compare, in tutto o in parte, in vari autori che, o come studenti o come docenti, erano passati attraverso l’esperienza dei collegi gesuitici, specialmente di quelli di Clermond e di Bordeaux. E il caso di personalità come san Francesco di Sales, il Car-dinal du Perron, il Cardinal Bellarmino, padre Gontery e padre Veron.
L’attacco inizia con il vaglio del problema del criterio sollevato dalla Riforma. Come stabilire quale sia la regula fidei, ossia il criterio atto a distinguere la fede vera da quella falsa? Lutero e Calvino avevano messo sotto accusa il criterio della chiesa, l’appello alla tradizione apostolica scritta e orale, alle opere dei padri della chiesa e alle decisioni dei papi e dei concili. Ma come stabilire se Lutero e Calvino hanno ragione oppure no? Essi non ci danno altro che la loro opinione: poiché la chiesa può sbagliare, ed effettivamente sbaglia, in materia di fede, la regula fidei cattolica è insicura e inaffidabile. Sennonché, come osservava San Francesco di Sales nelle sue Controverses, scritte nel 1595,

I
Se la chiesa può sbagliare, o Calvino, o Lutero, a chi potrò rivolgermi quando mi troverò in difficoltà? Voi dite: alla Scrittura. Ma, dati i miei limiti, come potrò sbarazzarmi dei miei problemi, visto che li ho proprio nei confronti della Scrittura? Sulla necessità di uniformare la mia fede alla Scrittura, non ci sono dubbi; chi non sa che essa è la parola di verità? Sennonché il mio problema è proprio quello di comprendere la Scrittura.

Chi è in grado di dire che cosa voglia insegnarci la Scrittura? È su questo punto che c’è controversia, e non solo tra cattolici e riformatori, ma anche tra Lutero, Zuinglio e Calvino. Se la chiesa sbaglia, perché rivolgersi a una persona invece che all’altra alla ricerca della regula fidei? Ecco come enuncia il problema san Francesco di Sales:

Ma l’assurdità delle assurdità e la più orribile delle follie è che, pur sostenendo che l’intera chiesa ha sbagliato per millenni nell’interpretazione della parola di Dio, Lutero, Zuinglio e Calvino possano essere certi di comprenderla bene; e, ancora peggio, che un semplice pastore impegnato a predicare come parola di Dio che l’intera chiesa visibile ha sbagliato e che Calvino può sbagliare, né più né meno di tutti gli altri uomini, osi scegliere tra le interpretazioni della Scrittura quella che gli piace, la sostenga con sicurezza e ne faccia la parola di Dio; ancora peggio, che delle persone che sentono dire che in materia religiosa tutti possono sbagliare, che può sbagliare perfino l’intera chiesa, credano poi così cocciutamente al loro ministro della parola da non voler sentire nulla di diverso e da non prendere neppure in esame altre opinioni tra le migliaia di sette che si vantano di comprendere e di predicare la parola di Dio nel modo corretto. Se, nell’interpretare la Scrittura, tutti possono sbagliare, perché mai non potete sbagliare anche tu e il tuo ministro? Mi meraviglia molto che tu non ti aggiri perennemente tremebondo e incerto. Mi sorprende che tu possa vivere con tanta sicurezza nella dottrina che professi, come se non potessi sbagliare, mentre dai per certo che tutti gli altri hanno sbagliato e possono sbagliare.

Questa, che è la versione iniziale dello schema argomentativo di cui ci stiamo occupando, si proponeva di segnalare questa circostanza: non appena si ammetta, come fanno i riformatori, che la chiesa può sbagliare (ciò che comporta la negazione della regula fidei tradizionale), non si può più evitare la disperazione scettica. Ove il criterio alternativo della vera fede venga identificato con la Scrittura, infatti, secondo san Francesco di Sales, il Cardinal du Perron, Pierre Charron, il vescovo Camus e altri, nessuno potrà più identificare il messaggio o il significato della Scrittura sulla base della sola Scrittura. La Riforma non può offrirci se non le dubbie opinioni di Lutero, di Calvino e di Zuinglio.
Quest’arma dialettica venne trasformata in una perfetta macchina da guerra da due zelanti polemisti della Compagnia di Gesù, Jean Gontery e Francois Veron. Quest’ultimo, di cui esamineremo l’argomentazione, fu un esponente quasi leggendario della Controriforma. Dopo aver insegnato filosofia e teologia a La Flèche (dove studiò Cartesio), Veron riscosse un tale successo nella polemica con i protestanti da venir dispensato dai doveri dell’insegnamento e, più tardi, dagli stessi doveri verso l’ordine di appartenenza, per poter attendere all’ufficio di difensore della fede per conto del Re di Francia. Insieme alla protezione del Re gli fu dato il permesso di partecipare agli incontri e ai riti dei calvinisti e di entrare in polemica con i riformatori senza limiti di tempo e di luogo. Diventò così rapidamente il fustigatore dei protestanti francesi che cercavano disperatamente di evitare la sua persona e i suoi attacchi.
Il metodo di Veron, che egli attribuiva a sant’Agostino, consisteva nel mettere gradualmente in luce due cose: che i calvinisti non avevano nessuna ragione per presentare le proprie tesi come articoli di fede e che l’applicazione sistematica di una serie di obiezioni scettiche alla regula fidei dei riformatori non poteva che farli approdare ad un pirronismo completo e radicale. Il nerbo di questa riduzione del calvinismo allo scetticismo totale consiste in un attacco all’uso di procedure e di prove razionali per giustificare qualsiasi enunciazione di una verità religiosa. Ciò che Veron intende sostenere non è che le nostre facoltà e conoscenze razionali siano dubbie, ma solo che esse non possono fungere da fondamento o da sostegno della fede, dal momento che questa poggia “soltanto sulla parola di Dio annunciata dalla chiesa”.
Per cominciare Veron pone ai calvinisti la seguente domanda: “Come sapete, signori, che i libri del Vecchio e del Nuovo Testamento appartengano alla Sacra Scrittura?” La questione della canonicità solleva una difficoltà peculiare. I calvinisti fanno della Scrittura la regula fidei ebbene, in che modo stabiliranno quali libri appartengano alla Sacra Scrittura? La risposta di Calvino che li si riconosce dalla persuasione interiore dello Spirito Santo anzitutto implica l’introduzione di una regula fidei diversa dalla Scrittura e, in secondo luogo, solleva il problema dell’autenticità della persuasione interiore: come distinguerla dalla follia, dal falso entusiasmo e simili? Per poterlo fare, occorre un criterio che ci consenta di individuare la veracità della persuasione interiore. La debolezza dell’appello alla persuasione interiore era già stata messa a fuoco sia da Pierre Charron che da san Francesco di Sales:

Vediamo ora di che regola si servono per distinguere i libri canonici da tutti gli altri libri ecclesiastici. “La testimonianza e la persuasione dello Spirito Santo”, dicono. Che cosa peregrina, mio Dio, che nebbia, che notte! Non si può certo dire che una risposta simile su una questione così importante e grave sia illuminante. Il problema è quello di come identificare i libri canonici. Vogliamo una regola che ci permetta di identificarli e ci si parla di qualcosa che avviene nell'intimità dell'anima, di un evento che nessuno vede, nessuno conosce, se non l’anima stessa e il suo creatore.

Per poter erigere a regula della Scrittura la persuasione interiore, occorre essere certi che essa sia causata dallo Spirito Santo e che non sia un puro e semplice prodotto della nostra immaginazione.
Ma anche ammesso di potere stabilire quali libri appartengano alla Scrittura, com’è che individueremo il loro messaggio? Cos’è che dovremo credere? Il testo, come dirà qualche decennio dopo un cattolico deciso a riproporre la victorieuse méthode di Veron, non è altro che “un insieme di parole plasmabili come cera, ancora prive di una qualsiasi sanzione e di un interprete certo, suscettibili di venire variamente giocate sulla scorta delle intuizioni più imprevedibili”. Così, poiché i libri sacri sono solo un insieme di parole, senza istruzioni per la lettura, per la loro interpretazione occorre una regola. E ancora una volta la regula fidei calvinistica, quella consistente nell’identificazione della regola con la Scrittura stessa, va abbandonata. E ripiegare sulla persuasione interiore vorrebbe dire prestare il fianco alle obiezioni già enunciate: la persuasione interiore è inverificabile e può essere illusoria.
Se, per difendersi, i calvinisti insisteranno che la loro è una lettura ragionevole del testo sacro e che essi non fanno altro che trarne delle inferenze logiche, diventeranno un bersaglio facile quanto ovvio della “macchina da guerra” di Veron. Innanzitutto, in assenza di una regola interpretativa infallibile, qualsiasi presunta interpretazione è incerta e può essere sbagliata. Andar oltre le parole per trarne delle inferenze - come, a dire di Veron, hanno fatto i calvinisti quando hanno enucleato i loro articoli di fede - è una procedura che non ha nulla di scritturale. La Bibbia non enuncia nessun canone ermeneutico e nessuna regola logica. La tesi che le verità della religione debbano fondarsi su procedure logiche, inoltre, è priva di ogni garanzia. I riformatori protestarono che la ragione è una capacità naturale dell’uomo e che anche Gesù e i Padri della chiesa ragionavano logicamente. E Veron replicò che le regole della logica erano state formulate da un pagano, Aristotele, e che, anche ammesso che egli fosse arbitro dell’argomentazione valida, certo nessuno lo aveva nominato giudice della verità religiosa. Gesù e i Padri della chiesa hanno affermato che i loro insegnamenti erano veri non già perché fossero stati derivati secondo procedure logiche, ma perché erano parola di Dio. Alcuni riformatori gli risposero attribuendo le regole dell’inferenza a Zenone, anziché ad Aristotele; e la replica di Veron fu: “Una bella obiezione! Che differenza fa se quelle regole sono opera di Zenone o di qualcun altro? Forse che questi ultimi sono giudici migliori delle nostre controversie?” Pierre du Moulin, che era una figura di spicco del protestantesimo francese suoi Elementi di logica francece obiettò che la logica non si basa sulle opinioni di qualche antico greco: “c’è una logica naturale di cui l’uomo si serve senza introdurvi nulla di artificiale. Anche i contadini fanno sillogismi e li fanno senza pensarci” . La reazione di Veron fu: “ E veramente una religione da poco questa che deve poggiare sulle regole della logica di Zenone o sulla forza del ragionamento di un contadino!” Una cosa inaffidabile come il ragionamento naturale di un contadino non è certo in grado di costituire il fondamento assolutamente certo della fede. Tanto più che l’applicazione dei principi di inferenza, osservava infine Veron, a volte è sbagliata; la gente, infatti, a volte opera inferenze sbagliate. Che cosa potrà mai garantirci che, in un caso qualsiasi, non sia stato commesso un errore logico? (Quando si controlla un ragionamento facendo appello alle regole della logica sorge il problema sollevato da Hume nel Trattato: come puoi sincerarti che il controllo sia stato accurato?) Il succo dell’opposizione di Veron alla tesi della possibilità di raggiungere la verità religiosa ragionando sul testo della Scrittura fu riassunto in quelli che egli chiamò i suoi otto “[/i] moyens[/i]”: 1) la Scrittura non contiene nessuna delle conclusioni raggiunte per inferenza dai riformatori; 2) la Scrittura non opera inferenze di questo tipo; 3) operare inferenze significa erigere a giudice delle verità religiose non la Scrittura, ma la ragione; 4) la nostra ragione può sbagliare; 5) che le conclusioni raggiunte mediante procedure logiche siano articoli di fede, la Scrittura non lo insegna mai; 6) le conclusioni a cui sono pervenuti i riformatori erano ignote ai Padri della chiesa; 7) tali conclusioni sono, nella migliore delle ipotesi, soltanto probabili e poggiano su una cattiva filosofia ossia su sofismi; 8 ) nemmeno le conclusioni necessariamente vere tratte dalla Scrittura sono articoli di fede; e ciò perché “nulla che non sia stato rivelato da Dio è un articolo di fede” .
La crisi scettica che Veron cercava di innescare tra i suoi oppositori calvinisti era un po’ diversa da quella a cui miravano Montaigne e Charron. Questi, con il loro pirronismo radicale, mettevano in discussione le capacità razionali dell’umanità nell’intento di addensare dubbi su ogni conoscenza e quindi anche sulle ragioni per cui i protestanti professavano la loro fede. Veron, al contrario, si guarda bene dall' invocare lo “scetticismo nei confronti della ragione” o lo “scetticismo nei confronti dei sensi”. Il suo scetticismo riguarda gli usi dei sensi e della ragione nelle questioni religiose e la correttezza della loro applicazione a un dato campo. In tal modo egli ha cercato di mostrare che, non appena i riformatori avessero rinunciato al loro giudice infallibile, non avrebbero più potuto professare nessuna fede certa, in quanto non disponevano di una regula fidei difendibile. Tutti i criteri di conoscenza religiosa che avevano adottato - Scrittura, persuasione interiore e ragione - risultavano bensì estremamente dubbi come regula fidei, ma non erano necessariamente dubbi in altri campi e per altri scopi. La conclusione finale del bombardamento operato dalla “macchina da guerra” di Veron è, secondo lui, il seguente: “ O Babilonia, regno della confusione! Com’è incerta questa presunta religione su tutti i punti controversi!” . I calvinisti finirono per vedersi negare ogni certezza, in quanto nella determinazione della verità religiosa non disponevano di nessun criterio capace di sopravvivere agli attacchi dello scetticismo veroniano.
Messi alle strette da questo attacco, i calvinisti cercarono di reagire in molti modi. In generale nella posizione di Veron non videro altro che una professione di scetticismo nei confronti dei sensi e della ragione, e quindi pensarono che la soluzione alle difficoltà loro proposte andasse cercata nella distruzione dello scetticismo. Così diversi riformatori cercarono o di lumeggiare il pirronismo radicale e catastrofico a cui sarebbe approdata l’applicazione del metodo di Veron o di mostrare che esistono conoscenze vere sul mondo, basate sull’impiego delle nostre facoltà naturali, ossia dei sensi e della ragione.
Uno dei grandi polemisti protestanti del tempo, Jean Daillé, sostenne che sollevare dubbi sull’affidabilità delle nostre facoltà raziocinative in riferimento a problemi specifici significava inaugurare un tipo di scetticismo che poteva applicarsi ugualmente bene a tutte le nostre conoscenze razionali. Se la ragione a volte ci inganna, come potremo essere certi che non sia in errore in campo fisico e matematico, e perfino quando enunciamo verità ovvie come “la neve è bianca”, “il fuoco brucia”, ecc.?
“Ecco il grado di disperazione a cui giungono questi ‘metodisti’ [ossia coloro che applicano il metodo di Veron] quando ripropongono uno scetticismo radicale. Per impedire ai protestanti di giustificare la propria fede appellandosi alla Scrittura, distruggono ogni cosa - i fondamenti del loro sapere, la loro scienza e la stessa conoscenza sensoriale - e condannano la razza umana “al buio eterno”. Il fatto che i sensi e la ragione a volte siano in errore non è un buon motivo per non fidarsene mai e per non usarli. Chi, constatando che a volte le nostre facoltà ci ingannano, ne trarrà la conseguenza che dobbiamo dubitare di tutto, farà bene ad andare dal medico a farsi purificare il cervello con l’elleboro.“

E sulla falsariga della tradizione aristotelica, Daillé insisteva che le nostre facoltà sono naturalmente affidabili e che, in presenza delle condizioni appropriate, non mentono mai. Un uomo di “buon senso” è sempre in grado di dire se ha ragionato correttamente. (…) Veron reagì accusando Daillé di non aver compreso il suo metodo e di essere diventato “ministro di Charenton, neopirroniano e religiosamente indifferente”. I problemi legati all’applicazione della ragione a specifiche questioni non implicano lo scetticismo universale che ne ha desunto Daillé; questi, quindi, “ha combattuto contro la sua ombra”. Le questioni da lui sollevate, dice Veron, erano di due tipi. La prima: i calvinisti insistevano nel sostenere l’erroneità dell’interpretazione della Scrittura proposta dalla Chiesa e denunciavano la fallibilità di tutti gli uomini; come potevano, allora, essere così certi di non aver commesso errori nelle loro particolari interpretazioni della Scrittura? Tutto ciò, osserva Veron, non comporta lo scetticismo nei confronti del ragionamento scientifico e matematico; alcuni principi e alcune inferenze, infatti, “sono evidenti e certe”.Ma sostenere che una cosa simile possa dirsi dell’interpretazione protestante della Scrittura “non è forse la mossa della disperazione? Diremo forse che i santi Padri e i loro precursori erano privi di quel buon senso che hanno soltanto il ministro protestante e il suo ciabattino? E possibile che solo loro siano certi di ciò che dicono e che, sulla base di questa certezza e di questa follia, siano disposti a rischiare la dannazione?”

In questa luce appare chiaro che dietro la pretesa dei protestanti di essere i soli depositari del buon senso, i soli che hanno interpretato correttamente la Bibbia, mentre l’intera tradizione cattolica negli ultimi cento anni avrebbe perso il retto cammino, c’è solo una dose altissima di presunzione e di audacia. Pertanto, continua Veron, non è affatto vero che i dubbi da lui avanzati sulla correttezza di certe interpretazioni scritturali implichino un dubbio più generalizzato sul valore di tutta la nostra conoscenza.
Ma veniamo alla seconda questione. Il fatto che in alcuni campi si diano ragionamenti “evidenti e certi” non significa affatto che ciò che è evidente e certo sia un articolo di fede. Quando Daillé mi attribuisce una posizione scettica, afferma Veron, “lo fa perché, secondo lui, dire che una conoscenza non è un articolo di fede è come dire che è una conoscenza dubbia”. Per Veron, molte cose - conoscenze scientifiche e anche prove della religione cristiana - non sono affatto dubbie, ma nello stesso tempo non sono articoli di fede e, a meno che non ci vengano rivelate da Dio, sono destinate a non diventare mai tali.
(…) Contro Veron scese in campo anche un altro protestante, un certo Paul Ferry secondo il quale la sola risposta vincente al bombardamento di Veron consisteva nella difesa della razionalità - ciò che costituiva un rovesciamento quasi completo della posizione calvinistica iniziale. Dopo aver cercato di provare che gli articoli di fede calvinistici sono presenti nella Scrittura (cosa che egli, lungi dal dimostrare, di fatto smentì, affermando che gli articoli di fede sono semplicemente ragionevoli interpretazioni del testo), Ferry difese l’uso della ragione per individuare le verità religiose. Secondo lui, noi abbiamo una disposizione una capacità naturale, la ragione, che è una componente fondamentale della natura umana e che ci consente di conoscere le cose. Grazie alla nostra “esperienza universale” noi conosciamo molte verità naturali, per esempio che il fuoco è caldo; grazie ai nostri “primi principi”, ossia alle “verità che sono nate con noi”, conosciamo certe verità generali, per esempio che “il tutto è maggiore della parte”; e grazie al “giudizio” siamo in grado di individuare le conseguenze logiche delle verità che conosciamo. Tutte queste cose ci assicurano un indubitabile fondamento di razionalità che in noi è naturale. Contestare questa fondamentale razionalità naturale vorrebbe dire tentare di distruggere la nostra umanità e di trasformarci in bruti. Dal momento che possediamo queste capacità e queste abilità, possiamo senz’altro ragionare su un piano di certezze a partire da ciò che conosciamo, e quindi anche derivare verità nuove dalle verità religiose che possediamo.
Veron accantonò questa difesa della razionalità dicendo: “ E chi dubita di questo? Tutte queste considerazioni, però, non bastano a stabilire un articolo di fede, perché nessuna di queste cose è parola di Dio, e credere vuol dire proprio ritenere vera una cosa perché Dio ce l’ha detta”. Ad essere in gioco non è la difesa della ragione, ma solo la questione se un articolo di fede possa essere stabilito dalla ragione. Esaltando le nostre capacità razionali, le persone come Ferry giungono quasi ad abbracciare quella che Bayle chiamava l’eresia sociniana, ossia la tesi che fa della ragione la regola della fede. Per Veron, la ragione può essere benissimo assolutamente corretta e indubitabile, ma ciò non basta ad escludere lo scetticismo sulla sua capacità di stabilire gli articoli della fede. Lo stesso ragionamento teologico, che pure, per ammissione di Veron, può essere “necessario e certo”, non approda mai come a sua conclusione a verità religiose - a meno che non siano in gioco verità che ci sono state anche rivelate da Dio
Il metodo veroniano mirava a privare i riformatori di qualsiasi criterio per l’accertamento della verità delle loro convinzioni religiose. Per evitare che i protestanti potessero giustificare la propria fede appellandosi alla Scrittura o ragionando a partire dalla Scrittura, egli elaborò una sorta di scetticismo parziale consistente nell’applicazione di una parte delle tecniche pirroniane, con il preciso intento di dimostrare che la visione dei riformatori non può vantare una certezza completa. Poté così concludere: “ Povera religione priva di certezze, abbandonata alla discrezione di incolti confusionari!” Grazie all’abile uso della “nuova macchina da guerra”, la fortezza dei protestanti perdette gran parte della considerazione da cui era circondata e i suoi difensori parvero gente che crede in un libro di cui non è in grado né di difendere l’autenticità né di individuare con certezza il significato. La sola possibilità che restò loro fu di affrontare il proprio compito impiegando delle capacità umane fallibili di cui non erano in grado di dimostrare l’adeguatezza. Così Veron era convinto di aver messo in luce il dubbio valore delle tesi dei riformatori e di aver dimostrato che il loro metodo di individuazione delle verità religiose non poteva che approdare allo scetticismo religioso e, forse, a un pirronismo radicale.
(…)
Ma la “macchina da guerra” di Veron, così ammirata in quel tempo dai leader della Controriforma, non consisteva semplicemente, come ebbe a dire Bredvold, in un uso strategico dello scetticismo per fronteggiare la sfida del calvinismo. Al contrario, essa era, secondo me, il prodotto di un altro e più profondo influsso dello scetticismo nei primi decenni dei Seicento: l’alleanza di pirronismo e cattolicesimo nella difesa di un cristianesimo fideistico. (…)
Il cardinal du Perron, un convertito al cattolicesimo che fu forse la personalità di maggiore spicco della Controriforma francese, nei suoi scritti polemici non ha concesso praticamente nessuno spazio alla presentazione di prove a sostegno della propria causa, preoccupandosi soprattutto di mettere a fuoco l’inadeguatezza della teoria calvinistica della conoscenza religiosa. E significativo che il cardinale fosse amico della fille d’alliance di Montaigne, Mademoiselle de Gournay, e grande ammiratore degli scritti fideistici del discepolo di Montaigne, Pierre Charron. Un aneddoto riguardante Du Perron dice chiaramente quale fosse la sua considerazione della ragione umana in campo teologico. Una volta fu invitato a cena da Enrico III e a tavola presentò un discorso contro l’ateismo, proponendo diverse prove dell’esistenza di Dio. Quando il Re gli espresse il suo compiacimento e i suoi elogi, du Perron rispose: “Sire, oggi ho dimostrato con ragioni forti ed evidenti che c’è Dio. Domani, se a Vostra Maestà piacerà di concedermi un’altra udienza, dimostrerò con ragioni altrettanto forti ed evidenti che Dio non c’è”. Il Re, che evidentemente non era un fideista, andò su tutte le furie e congedò il suo ospite.
Anche l’esponente spiritualmente più elevato della Controriforma francese, san Francesco di Sales, presenta qualche timida tendenza fideistica. Pur condannando, come ebbe a dire, “quei nostri contemporanei che pretendono di revocare in dubbio ogni cosa”, scelse come proprio segretario il pirroniano Jean- Pierre Camus e dedicò parte del proprio tempo alla guida spirituale dell’erede di Montaigne, mademoiselle de Gournay. Nel suo primo scritto, Les controverses, citò Montaigne come una delle poche autorità contemporanee in materia religiosa. Nel complesso il suo libro non può dirsi fideistico. Ma in difesa dei miracoli cita un passo probabilmente ironico dei Saggi “in cui si cerca di dimostrare la fede rifacendosi ai miracoli”.
Dei legami esistenti tra controriformatori e “nouveau pyrrhonisme” ci sono molti altri sintomi. A quanto sembra, con sorpresa dello stesso Montaigne, il Vaticano manifestò solo una blanda disapprovazione per le idee sostenute nei Saggi e invitò il loro autore a scrivere in difesa della chiesa. All’inizio del Seicento, moltissimi discepoli di Montaigne furono protetti è incoraggiati dai cardinali Richelieu e Mazarino. Il vescovo di Boulogne Claude Dormy, che era un grande ammiratore di Charron, intervenne per ottenere l’approvazione de La sagesse. Le sue tendenze fideistiche erano così forti che disapprovò perfino i suoi deboli sforzi di moderare il suo pirronismo cristiano di fronte alle critiche avanzate dalla Sorbona. Il confessore del Re, il gesuita Nicolas Caussin, fece stampare una sintesi essenziale dello scetticismo fideistico di Charron nel suo La cour sainte. Il cardinal Bérulle nella sua critica della conoscenza razionale elaborò una posizione sorprendentemente vicina a quella di Charron. Negli anni venti del Seicento, quando Charron fu accusato di essere “ateo in segreto”, fu difeso prima da padre Ogier, e poi dal grande teologo giansenista Saint-Cyran (Jean Duvergier du Hauranne). Questi, oltre ad affermare che il cardinal du Perron gli aveva raccomandato la teologia di Charron, insistette che tale teologia era un’apprezzabile forma di agostinismo e che il pirronismo cristiano di Charron era in sintonia non solo con la Scrittura, ma anche con le migliori espressioni del pensiero religioso.
Queste espressioni di approvazione del nuovo pirronismo e dei nuovi pirroniani da parte delle personalità più in vista della Controriforma francese documentano, a mio parere, l’enorme influenza esercitata dalla rinascita dello scetticismo greco in questo periodo. (…) Se le aporie scettiche servono alla distruzione della posizione avversa, il fideismo impedisce l’autodistruzione. La teoria scettica della conoscenza religiosa avanzata da Montaigne e dai suoi discepoli fornì un quadro teorico in cui la “macchina da guerra” poteva funzionare senza colpire anche chi la azionava: una cornice entro la quale lo scetticismo totale sul piano razionale diventava la premessa per la rivelazione della vera fede. (…) Ogni deviazione dalla tradizione della chiesa implicherebbe l’intervento di una decisione umana nella definizione del vero e del falso in campo religioso. Per prendere una decisione così importante, occorreva avere ragioni adeguate. Perciò i controriformatori e gli scettici loro alleati cercarono di mostrare che, nel farlo, i riformatori elevavano la ragione a regula fidei. E, una volta argomentata questa tesi, elaborarono una posizione scettica o al riguardo dell’uso della ragione in religione o al riguardo dell’uso della ragione tout court. Nel frattempo, per controriformatori e scettici, la vera religione era costantemente rivelata da Dio attraverso la sua chiesa. Restando nello schieramento tradizionale e poggiando sulla roccia della fede, essi potevano sparare a raffica sui nuovi dogmatici, cioè sui calvinisti, nuovi difensori dell’efficacia delle facoltà razionali dell’uomo nella determinazione della verità religiosa. Nel corso della battaglia i cattolici potevano starsene al sicuro nella loro fortezza fideistica - ovviamente alla sola condizione che Dio, schierato dalla loro parte, li sostenesse. Ciò che mademoiselle de Gournay disse delle credenze religiose sue e di Montaigne è vero in larga misura anche di quelle di tutti i controriformatori francesi. Per tutti quanti, pietra di paragone della vera religione erano

la sacra legge dei nostri padri, la loro tradizione e la loro autorità. Chi riesce ancora a sopportare i nuovi Titani del nostro tempo, questi arrampicatori convinti di poter raggiungere la conoscenza di Dio con i propri mezzi e di poter racchiudere Lui, la Sua opera e le proprie credenze entro i limiti delle proprie capacità e della propria ragione - decisi a non accettare nulla per veto se non a condizione che tale verità appaia loro probabile?

Fine

R. Popkin, Storia dello scetticismo, Milano, 2008, Bruno Mondadori, pp. 97-114

Sebbene non sia affatto necessario sposare la tesi di questi cattolici cinquecenteschi secondo i quali il fideismo era l'unica via possibile per il cattolicesimo, molti argomenti di François Veron appaiono utili anche oggi al fine mostrare l'assenza di un criterio valido per determinare la verità in seno alla Babele protestante.
Sorge una domanda leggendo questo brano, e cioè se davvero, come dice Popkin, lo scetticismo di Veron distrugga il protestantesimo ma nel contempo distrugga qualsiasi teologia razionale, e dunque, anche il cattolicesimo stesso. Si può infatti obiettare che se lo scetticismo veroniano è corretto, allora, esattamente come non esistono criteri sicuri per l’interpretare la Bibbia, non dovrebbero esisterne per interpretare i testi della Tradizione Cattolica che sono usati per spiegare la Bibbia: Padri della Chiesa, encicliche, documenti dei Concili Ecumenici, ecc.
È fondata quest’obiezione? Evidentemente no, e sorge da un malinteso, cioè dalla tendenza a credere che il cattolicesimo, alla carta della Bibbia, aggiunga solo altra carta, moltiplicando così i problemi interpretativi. Ma non è così: i cattolici credono a queste ulteriori "carte" solo perché, come la Bibbia stessa, esse sono un' emanazione della Chiesa, ed è dunque nella Chiesa, e non in queste carte, che essi ripongono fiducia.
Vale a dire che il magistero cattolico non è stampato, come invece nei protestanti che fanno della Bibbia il loro papa di carta, bensì è un magistero vivente, fatto di uomini in carne ed ossa. La Chiesa infatti è colonna e sostegno della verità, ed era infallibile non solo quando promulgava dei canoni conciliari 16 secoli fa, ma lo è anche oggi, perché è la stessa Chiesa. Sicché non c’è alcun problema di tipo scettico nell’interpretazione di ulteriori documenti, perché c’è un magistero vivente con cui si può interloquire, e che se hai dei dubbi di interpretazione può risponderti, a differenza di quanto possa fare un foglio stampato.

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Re: [Florilegio]: I controversisti cattolici della Controriforma

Messaggioda GrisAdmi » dom ott 16, 2011 12:59 pm

polymetis ha scritto:

È fondata quest’obiezione? Evidentemente no,


Anche alla luce della filosofia ermeneutica contemporanea.

Molto interessante questa esposzione (possiedo il libro, ma non ricordavo molto delle pagine che hai citato). La cosa affascinante è che, per molti versi, la Riforma è un parto della scolastica decadente e del nominalismo occamista. E' ironico pensare come gli autori calvinisti cercassero di rispondere alle argomentazioni dei loro oppositori cattolici appellandosi a quello che noi oggi chiameremmo "pensiero forte", lì dove la loro stessa ragion d'essere, in quanto teologi riformati, affonda le proprie radici in quella filosofia che di tale pensiero è da sempre la più acerrima nemica. E' il cane che si morde la coda.
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Re: [Florilegio]: I controversisti cattolici della Controriforma

Messaggioda Armando » mer ott 19, 2011 9:00 pm

Per Veron, molte cose - conoscenze scientifiche e anche prove della religione cristiana - non sono affatto dubbie, ma nello stesso tempo non sono articoli di fede e, a meno che non ci vengano rivelate da Dio, sono destinate a non diventare mai tali.

Credo che la posizione di Veron non distrugga la teologia razionale dei preaubula fidei, per esempio. Ma l'esempio di Perron citato a corte con il re evidentemente sì.
Contro Veron scese in campo anche un altro protestante, un certo Paul Ferry secondo il quale la sola risposta vincente al bombardamento di Veron consisteva nella difesa della razionalità - ciò che costituiva un rovesciamento quasi completo della posizione calvinistica iniziale.

E' interessante l'effetto prodotto sui protestanti, ossia una loro maggiore apertura verso la ragione. Apertura da sfruttare per portare ulteriori prove. Ad es. il sola scriptura è una regola interpretativa del testo ossia si fonda su un imperativo estraneo alla Scrittura stessa. La Tradizione storicamente viene prima della Scrittura e quindi è luce di quest'ultima.
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Re: [Florilegio]: I controversisti cattolici della Controriforma

Messaggioda Armando » gio ott 20, 2011 6:25 am

polymetis ha scritto:
Sebbene non sia affatto necessario sposare la tesi di questi cattolici cinquecenteschi secondo i quali il fideismo era l'unica via possibile per il cattolicesimo, molti argomenti di François Veron appaiono utili anche oggi al fine mostrare l'assenza di un criterio valido per determinare la verità in seno alla Babele protestante.
Sorge una domanda leggendo questo brano, e cioè se davvero, come dice Popkin, lo scetticismo di Veron distrugga il protestantesimo ma nel contempo distrugga qualsiasi teologia razionale, e dunque, anche il cattolicesimo stesso. Si può infatti obiettare che se lo scetticismo veroniano è corretto, allora, esattamente come non esistono criteri sicuri per l’interpretare la Bibbia, non dovrebbero esisterne per interpretare i testi della Tradizione Cattolica che sono usati per spiegare la Bibbia: Padri della Chiesa, encicliche, documenti dei Concili Ecumenici, ecc.
È fondata quest’obiezione? Evidentemente no, e sorge da un malinteso, cioè dalla tendenza a credere che il cattolicesimo, alla carta della Bibbia, aggiunga solo altra carta, moltiplicando così i problemi interpretativi. Ma non è così: i cattolici credono a queste ulteriori "carte" solo perché, come la Bibbia stessa, esse sono un' emanazione della Chiesa, ed è dunque nella Chiesa, e non in queste carte, che essi ripongono fiducia.
Vale a dire che il magistero cattolico non è stampato, come invece nei protestanti che fanno della Bibbia il loro papa di carta, bensì è un magistero vivente, fatto di uomini in carne ed ossa. La Chiesa infatti è colonna e sostegno della verità, ed era infallibile non solo quando promulgava dei canoni conciliari 16 secoli fa, ma lo è anche oggi, perché è la stessa Chiesa. Sicché non c’è alcun problema di tipo scettico nell’interpretazione di ulteriori documenti, perché c’è un magistero vivente con cui si può interloquire, e che se hai dei dubbi di interpretazione può risponderti, a differenza di quanto possa fare un foglio stampato.

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Volevo fare un'altra riflessione. Credo che purtroppo in ultima analisi anche i protestanti facciano affidamento su uomini in carne ed ossa e siano loro stessi (credo che il dibattito di Veron verteva prorpio su questo) con il loro libero esame. La differenza sta tutta nell'umiltà di credere in un'istituzione fondata da Dio stesso che ne continua il MInistero o di credere in sè stessi con interpretazioni diverse quante sono le fantasie e le inclinazioni umane.
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