[Libro] L' illusione dell'ateismo.

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[Libro] L' illusione dell'ateismo.

Messaggioda GrisAdmi » lun feb 08, 2010 10:53 am

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Titolo L' illusione dell'ateismo. Perché la scienza non nega Dio
Autore Timossi Roberto G.
Prezzo € 24,00
Dati 2009, 576 p., brossura
Editore San Paolo Edizioni (collana Prospettive teologiche)

Descrizione:

Il tema del rapporto tra scienza e fede è di sicura attualità sia in ambito "laico" sia in campo cattolico. Ma finora i testi di ispirazione cristiana o anche di scienziati genericamente credenti non affrontano direttamente e in contraddittorio le tesi dei numerosi atei scientisti, i cui libri hanno conosciuto e conoscono un crescente successo editoriale (tra tutti, l'ultimo saggio di Richard Dawkins The God Delusion, tradotto in italiano L'illusione di Dio). Questo testo, invece, si propone di replicare a quegli scienziati e uomini di cultura che ritengono che la scienza abbia confutato l'esistenza di Dio e tolto valore alla fede religiosa dimostrando in modo solido e pacato l'unilateralità delle loro posizioni. La novità di questo saggio consiste nell'essere il primo tentativo argomentato e approfondito di replicare all'ateismo partendo dagli stessi elementi utilizzati dagli scientisti (le conoscenze consolidate delle scienze naturali, in particolare della cosmologia, della fisica e della biologia), confrontandosi col metodo scientifico e non abbandonando mai il terreno della razionalità. Anche nelle piccole puntate polemiche (con Dawkins, con Dennett, con Odifreddi, con Pievani, con Mainardi, con Bellone, eccetera), si richiamano sempre dati oggettivi storici o scientifici e argomentazioni razionali.
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Scienza atea, una illusione.

Messaggioda GrisAdmi » mer feb 17, 2010 6:53 am

Roberto Timossi ha condotto una vasta decostruzione delle teorie scientifiche che negano Dio, da Dawkins a Odifreddi • «Un gigante come Max Planck aveva una coscienza chiara del fatto che la fisica non andava contro il bisogno religioso, anzi lo sviluppava E che la fede era un 'aiuto'»

di Andrea Galli

Tratto da Avvenire del 29 luglio 2009

La definizione sicuramente non gli piace, ma quello che si può considerare l’ «anti­Odifreddi» – genovese, sei anni in meno del logico cuneese – ha appena portato in libreria la sua risposta all’ultima ondata pamphlettistica di scientisti con­tro Dio. Da Daniel Dennett a Ri­chard Dawkins, da Telmo Pievani a Odifreddi e Danilo Mainardi: Roberto Timossi, teologo e filo­sofo della scienza, ha passato tre anni a raccogliere e vagliare la recente pubblicistica antiteistica uscendone con il tomo L’illusio­ne dell’ateismo. Perché la scienza non nega Dio (San Paolo, pagine 574, euro 24), che porta una pre­sentazione del cardinale Angelo Bagnasco.

Timossi, qual è l’aporia più dif­fusa nell’argomentare dei Dawkins e Odifreddi vari?
«Direi il riconoscere in base al­l’epistemologia contemporanea che la scienza è fallibile e limita­ta, e allo stesso tempo arrivare a conclusioni apodittiche su que­stioni su cui la scienza empirica per definizione non può espri­mersi, come quelle metafisiche o spirituali».

La scienza è conoscenza solida, seppur sempre perfezionabile, e impermeabile alla fede. Come risponderebbe?
«Che la scienza stessa ha biso­gno, spingendosi in ipotesi non verificabili direttamente, di ' atti di fede'. Le faccio un esempio recente. Il principio cosmologico è quello secondo cui l’universo sarebbe in ogni situazione iso­tropo e omogeneo, ovvero ugua­le e soggetto alle stesse leggi in tutte le sue zone. Se non c’è la possibilità della ripetibilità, sen­za il presupposto che l’universo abbia ovunque le stesse leggi, di­venta difficile fare delle afferma­zioni che abbiano valore, appun­to, universale. Recentemente al­cuni importanti ricercatori ame­ricani che studiano la cosiddetta energia oscura, per spiegare del­le anomalie nelle osservazioni sono giunti a mettere in discus­sione il principio cosmologico. Ne ha dato conto la rivista Scien­tific American sul numero di a­prile. Anche questo è un ' atto di fede'. Come lo sono tutte quelle ipotesi da cui grandi scienziati partono e in cui credono senza avere ancora osservazioni, docu­mentazioni, dati empirici certi per poter dire che è così».

Dopo la sua disamina enciclo­pedica, quale differenze trova tra la produzione ateistica di lingua ingle­se e quella italiana?
«La produzione italiana risente spesso di un ta­glio provinciale, quindi scade nella polemica an­ti- cattolica e anti- eccle­siale, finendo per allon­tanarsi da quello che do­vrebbe essere su questi temi un dialogo, o anche un scontro, alto. Mi viene in mente l’ultimo nu­mero di Micro Mega, che contie­ne un intervento di Telmo Pieva­ni e Orlando Franceschelli – stu­diosi che per altre cose apprezzo – contro il cosiddetto ' darwini­smo ecclesiastico'. Una polemi­ca su un intervento di monsi­gnor Fiorenzo Facchini e sulla sua prefazione a un recente libro di Francisco Ayala. Una polemi­ca quasi politica, che alla fine ha poco o nulla che fare con il vero dibattito sul rapporto tra scienza e fede. O penso ancora a un in­tervento di Pievani contro mon­signor Ravasi e altri, prima di a­ver sentito quello che avrebbero detto in occasione del convegno su Darwin organizzato dal Ponti­ficio consiglio della cultura, lo scorso marzo».

Il tempo passa, Darwin resta u­no degli appigli preferiti per lo scientismo ateo.

«Sì, anche se penso che lo stesso naturalista inglese – che nelle sue lettere prese le distanze dalle repentine strumentalizzazioni delle sue teorie – sarebbe il pri­mo a schermirsi».

In due parole, come definirebbe il rapporto corretto tra scienza e fede?
«Userei la famosa diade del ma­tematico e filosofo Gottlob Fre­ge: senso e significato. La scien­za ci mostra come non sia il caos a prevalere, come esistano delle leggi, un’intelaiatura del reale. Questo è quello che potremmo chiamare il ' senso'. Il problema su cui devono lavorare invece fi­losofia e teologia, partendo da quanto è mostrato dalla scienza, è quello del ' significato'».

Nel suo libro lei passa in rasse­gna un numero sbalorditivo di scienziati la cui attività è andata di pari passo con un’apertura alla fede o alla dimensione reli­giosa. Chi, in questa carrellata, è per lei più significativo?
«Gli esempi sono tanti, si potreb­be parlare di Galileo, Lemaître o Mendel. Dovendo sceglierne u­no, direi forse il fisico tedesco Max Planck. Planck aveva una proprensione filosofica sponta­nea, nutrita poi con delle letture specifiche. Aveva una grande a­pertura al mistero sottostante al reale: la scoperta che l’ha reso famoso, quella dei quanti, è av­venuta in fondo contro quello che lui stesso si riproponeva. A­veva una coscienza chiara del fatto che la scienza non andava contro il bisogno religioso, anzi lo sviluppava, e che il credere in Dio agevolava il lavoro dello scienziato: la sua capacità di me­ravigliarsi, la sua voglia di fare e scoprire».
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Re: [Libro] L' illusione dell'ateismo.

Messaggioda GrisAdmi » dom feb 21, 2010 10:37 am

Ho finito di leggere questo libro ieri. E' sicuramente un testo ben concepito e molto utile sotto innumerevoli punti di vista. Ottimo è, a mio avviso, il capitolo sulla critica dell'anti-teodicea, ad esempio.
D'altro canto, il volume è manchevole sotto l'approccio metafisico. L'autore non entra mai nel merito della filosofia dell'essere, l'unica che può veramente condurci a Dio in modo razionalmente saldo e, tra le righe, si legge una sua tendenziale ostilità verso la medesima, nonché una sostanziale incomprensione dei fondamenti della filosofia aristotelico-tomistica, derivante da un'implicita sottoscrizione delle critiche razionaliste alla medesima. Non sono, ad esempio, minimamente d'accordo su quanto dice l'autore a proposito di un auspicabile superamento del tomismo (troppo segnato, a suo avviso, da una filosofia della natura che avrebbe fatto il suo tempo) per dare un nuovo slancio alla riflessione teologica. Ad esempio, egli "spiega" come ormai sarebbe insostenibile il concetto di "materia" così come delineato da Aristotele, facendo confusione (come spesso accade) tra la "materia" aristotelica e la "massa" newtoniana e mancando, quindi, totalmente il bersaglio. La fondamentale equivalenza tra masse ed energia che emerge dalla teoria relativistica, infatti, non inficia minimamente il concetto aristotelico di materia, nel quale rientrano sia il concetto di massa che quello di energia che quello, addirittura, di vuoto o nulla quantistico (in quanto ente materiale che nulla ha a che vedere con il vuoto ontologico inteso in senso aristotelico, il quale, come giustamente aveva intuito Aristotele, non può esistere in quanto contraddittorio). A mio parere, anche la critica che l'autore fa all'idea dell'esistenza di universi multipli quale argomento ad hoc onde eliminare Dio dall'orizzonte dell'essere intacca solo la “superficie” del problema, non affrontandolo in senso teoretico.
Suggerisco quindi ai lettori di questo testo di approfondire le tematiche in questo affrontate da un punto di vista più strettamente filosofico, magari leggendo i testi di Gianfranco Basti che Timossi cita nella bibliografia.
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